Il Dipartimento Americano
dell’Agricoltura ha dato il via libera alla vendita della prima mela OGM,
riaccendendo un dibattito ormai assopito sulla sicurezza degli alimenti OGM.
Arctic, così si chiama questa mela, non scurisce quando viene tagliata e lasciata all’aria.
Si tratta di una caratteristica che come al solito avvantaggia tutti tranne gli
agricoltori e i consumatori. Al momento ci sono due tipologie di prodotto: la
Arctic Granny e la Arctic Golden, le versioni OGM rispettivamente della Granny
Smith e della Golden Delicious. Con l’annuncio, il dipartimento
dell’Agricoltura ha spiegato di avere dato il semaforo verde perché crede che
questa mela non ponga rischi ad altre piante e prodotti agricoli. E’ la Food
and Drug Administration che deve garantire che il frutto sia sicuro da mangiare
ma la sua analisi – in corso – è volontaria.
La mela Arctic è uno dei pochi alimenti
ogm che puntano direttamente alla gola dei consumatori, in quanto finora mais,
soia e colza OGM sono destinati per la quasi totalità all’alimentazione animale.
Per queste motivazioni l’azienda produttrice intende apporre sulle confezioni
un logo (in pratica una etichettatura) che richiama un fiocco di neve in modo
tale che la mela Arctic possa essere distinta da altre varietà. Ma prima che
Arctic arrivi sugli scaffali dei supermercati bisognerà aspettare fino almeno
al 2017. L’azienda produttrice afferma che nei prossimi anni saranno piantati
70 mila alberi e ci vorranno molti anni prima che la produzione raggiunga
livelli significativi per il mercato.
Ci serve veramente questa mela? Gli
agricoltori la adotteranno?
Alla prima domanda non siamo in grado di
rispondere, poiché nessuno è materialmente in grado di comprendere la reale
portata di una innovazione. Spesso innovazioni che a prima vista erano
considerate inutili, si sono poi rivelate di importanza “vitale” per lo
sviluppo della Società.
Più semplice è rispondere alla seconda
domanda, soprattutto in un momento come questo, in cui nel nostro Paese e nei
Paesi dell’UE l’80% dei consumatori si dichiara contrario all’acquisto e al
consumo di alimenti OGM. Probabilmente solo qualche agricoltore “fortemente
innovatore” e “amante del rischio” coltiverebbe qualche pianta di questa mela
(poi, nel tempo, ovviamente se il mercato le richiede, amplierebbe le
superfici). La gran parte dei melicoltori, che ancora non hanno ammortizzato
completamente i costi delle certificazioni IGP ottenute, con ogni probabilità
non coltiverà questa mela.
La mela OGM non è mais OGM, non è soia
OGM, non è colza OGM. Mais OGM, soia OGM e colza OGM sono destinati
all’alimentazione animale e l’uomo si nutre di questi OGM indirettamente,
attraverso l’utilizzazione dei loro derivati (carne, latte, uova, ecc.). Per la
mela il discorso è diverso e sarebbe il primo prodotto dopo il “pomodoro che
non marcisce” (eliminato dal mercato poiché sembra avesse un forte sapore
metallico- di alluminio) ad essere destinato ad alimentazione diretta umana. Il
nostro consumatore già non si fida degli OGM destinati all’alimentazione umana,
figuriamoci se si fiderà di quelli destinati alla sua diretta alimentazione e a
quella dei suoi figli.
Ma c’è di più. Il nostro melicoltore
dovrebbe abbandonare cultivar sicure, cultivar che finora gli hanno dato grandi
soddisfazioni economiche per impiantare queste mele (costo di impianto e di allevamento
delle piante dell’ordine di 50.000 euro/ha ), che cominceranno a produrre tra
4-5 anni e che produrranno delle mele delle quali non conosciamo le reali
caratteristiche organolettiche o, quantomeno, come queste caratteristiche
saranno percepite dal consumatore (potrebbero avere delle ottime
caratteristiche organolettiche, ma solo perché OGM potrebbero comunque essere
scartate dal consumatore). Da questo punto di vista abbiamo la “quasi certezza”
che i consumatori, almeno quelli italiani, non ne compreranno una di queste
mele.
Per l’agricoltore, melicoltore, esiste
poi un altro problema. Queste mele saranno sicuramente brevettate, per cui il
detentore del brevetto attiverà sicuramente dei contratti di coltivazione
simili alla “Soccida” e attualmente adottati per l’allevamento animale e per
talune particolari coltivazioni frutticole. E’ ovvio che in una situazione di
questo tipo il valore aggiunto andrà nelle mani del proprietario del brevetto
sulla mela e al nostro melicoltore, come al solito, non rimarrà nulla, o quasi.
Per il nostro Paese si pongono poi altri
problemi, come per esempio quello di dare la possibilità a Paesi che non hanno
strutture produttive, o che non hanno capacità professionali, di poter coltivare
questa mela nel nostro Paese. Tale strategia è resa possibile dal brevetto,
poiché il Paese estero potrebbe coltivare sulla base di “contratti simil
Soccida” la mela nel nostro Paese, per poi commercializzarla nei Paesi
limitrofi al nostro. E’ ovvio che questa mela farà concorrenza alle nostre mele
e, questo, non è sicuramente un vantaggio per i nostri melicoltori e per la
nostra economia.
E se invece di fare la “mela che non
marcisce” educassimo i bambini, dicendo loro che la mela sbucciata che dopo
qualche minuto diventa un pò neruccia è ugualmente buona come l’altra?