di G. Sinatti - 26 maggio 2013
Un'analisi di 926 cablogrammi diplomatici del Dipartimento
di Stato provenienti da 113 paesi, fra il 2005 ed il 2009, svolta
dall'organizzazione americana Food & Water Watch, dimostra le fortissime
pressioni esercitate dalla diplomazia Usa sui Paesi esteri, specialmente quelli
meno sviluppati, per spingerli a introdurre le colture modificate geneticamente
nella loro agricoltura, nonostante fin dal 2009 il prestigioso International
Assessment of Agricultural Knowledge, Science and Technology for Development
abbia dimostrato che i costi elevati dei semi e dei prodotti chimici correlati,
l'incertezza sulle rese ed i rischi per la sicurezza alimentare locale rendano
questi prodotti una scelta errata per i Paesi in via di sviluppo.
Impostata come una "diplomazia della scienza",
l'azione diplomatica si coordinava con le attività dello USAID (agenzia
governativa Usa per lo sviluppo internazionale) e del ministero
dell'agricoltura Usa (USDA), indipendentemente dall'orientamento politico dei
governi Usa, come dimostra la piena continuità da Bush ad Obama di questa
azione di pressione. L'esigenza di sostenere gli ogm in agricoltura dipende
dalla fortissima opposizione che queste colture hanno trovato non solo in
Europa, ma anche in Sud America, Asia, Oceania ed Africa, dove, ad esempio,
oltre 400 organizzazioni, ad esempio, hanno richiesto nel 2012 il bando della
coltivazione e dell'importazione di sementi biotech.
Per un mercato mondiale che, secondo i dati ISAAA
(l'organizzazione statunitensi pro-Ogm), vale 15 miliardi di dollari l'anno,
proprio l'Africa rappresenta la "frontiera finale" della diffusione
delle colture biotech. Allineato con questa impostazione, il Dipartimento di
Stato, per esempio, si concentra sul Kenya, fondamentale per bocca della stessa
segretaria del Dipartimento di Stato, Hillary Clinton che dichiara: "Con
il Kenya alla guida delle biotecnologie e della biosicurezza, non solo possiamo
rafforzare l'agricoltura in Kenya, ma il Kenya può diventare il leader di tutta
l'Africa". Ecco quindi che la diplomazia Usa affianca le sperimentazioni,
rivelatesi poi fallimentari, di Rockfeller Foundation, Gates Foundation e
Monsanto sulla cassava e sulle patate in Kenya, sul fagiolo dall'occhio, sul
sorgo e ancora sulla cassava in Nigeria, così come in altri 42 Paesi oggetto
della pressione Usa, sfruttando anche i programmi che lo Usaid gestisce in
stretto partenariato con Monsanto, DuPont, Cargill e Syngenta.
Ai Paesi africani si prospetta anche la possibilità di
penetrare con i loro prodotti a basso costo nel mercato europeo, in modo da
colpire uno dei maggiori ostacoli alla diffusione degli Ogm agro-alimentari: le
norme sull'etichettatura obbligatoria. Esse vengono adottate, oltre che
dall'Unione Europea, anche da Australia, Brasile, Cina, Giappone, Nuova
Zelanda, Russia, Arabia Saudita, e Sud Corea, con soglie di contenuto GM che
variano da zero al 5 per cento. Per questo, la pressione diplomatica Usa si
concentra in modo particolare sull'ottenere dai governi esteri regolamentazioni
e normative che consentano l'utilizzo di sementi e colture biotech e che non
adottino etichettature obbligatorie per tracciare la presenza di OGM nei
prodotti agro-alimentari.
Contro l'Europa in particolare gli Usa combattono una lunga
battaglia di diplomazia commerciale, sfruttando anche le regole
dell'organizzazione mondiale del commercio (WTO) per fare breccia nei bandi che
molti Paesi europei hanno proclamato contro le colture geneticamene modificate
in agricoltura.
La lotta contro le resistenze europee è particolarmente dura
e si concentra sui Paesi di più recente accessione all'Unione Europea, come
Romania e Bulgaria, chiedendo alla prima, ad esempio, di "svolgere un
ruolo attivo per difendere la possibilità di utilizzo delle colture biotech da
parte degli agricoltori", ed alla seconda di "diventare un modello di
successo e sostenere l'agricoltura biotech nella UE".
Ma non sono solo i nuovi Paesi europei il bersaglio della
pressione Usa, ma le stesse maggiori agricolture europee, come quella italiana,
fortemente ostile all'introduzione degli Ogm. Risulta chiaramente da un
cablogramma del 23 novembre 2005 che il Dipartimento di Stato non si fa
scrupolo di utilizzare tutti gli strumenti mediatici e comunicativi, inclusa
l'organizzazione da parte del consolato Usa di Milano, in Italia, col sostegno
della Regione Lombardia, di un tour pro-ogm nel settembre 2005 da parte di un
eminente studioso Usa, il prof. Bruce Chassy, in quattro città del nord Italia,
comprendente l'incontro con alti dirigenti del Ministero dell'Agricoltura
italiano, una storica intervista al settimanale di centro-sinistra L'Espresso
("Non sparate sugli Ogm", L'Espresso, 15 settembre 2005), ripetute
comparizioni televisive, oltre all'intervento pro-ogm davanti a 200 studiosi e
rappresentanti pubblici, in occasione della "Prima conferenza mondiale sul
futuro della scienza" promossa a Venezia dalla Fondazione Veronesi.
L'ampio report di Food & Water Watch è uno lavoro
fondamentale perché dimostra come nella questione degli Ogm in agricoltura non
sono solo in gioco modelli diversi di concepire la produzione agricola ed il
rapporto tra agricoltura e ambiente, ma sono soprattutto in gioco la sovranità
alimentare e l'indipendenza economico-commerciale dei Paesi dalle strategie
mondialiste delle grandi multinazionali che fondano il loro potere sulla
capacità di controllare il cibo del mondo.