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martedì 19 maggio 2015

Diciamo basta al sostegno delle esportazioni industriali in cambio di prodotti agricoli

- gli agricoltori operano in un mercato artefatto, non reale, dove qualche politico ha deciso che occorre sostenere l’industria e, pertanto, c’è bisogno di lavoratori, che, per forza, devono provenire dall’agricoltura;

- sostenere l’industria significa sostenere le esportazioni industriali;

- sostenere le esportazioni per un Paese significa avere dei prodotti competitivi, ma significa anche trovare delle merci di scambio, poichè molto spesso i Paesi importatori non hanno dollari o euro per pagare (nel dopoguerra la FIAT, poté esportare auto in Jugoslavia in cambio di acciaio);

- le uniche merci che certi Paesi riescono a fornire in cambio di prodotti industriali sono costituite da prodotti agroalimentari;

- questi Paesi, però non hanno le nostre regole produttive …….. fa niente basta abbassare le nostre al loro livello;

- in questa situazione per non far “incazzare” i nostri agricoltori, che non riescono certo ad essere competitivi con i costi di questi Paesi, i politici si inventano i contributi PAC (350-400 euro per ettaro che non fanno mai male);

- contributi PAC che vanno agli agricoltori, ma che, indirettamente, servono all’industria, in quanto se non ci fossero le importazioni come contropartita di prodotti agricoli, col cavolo che le industrie esporterebbero.

Allora, è necessario operare una “Eliminazione degli alimenti dagli accordi del WTO. Nessun Paese deve subire delle conseguenze, sulla base delle scelte agroalimentari di altri Paesi”……… se gli americani amano la carne agli ormoni …… potrò essere libero di non comprarla?

Non è possibile che negli ultimi 30 anni nel nostro Paese siano scomparse il 60% delle aziende agricole di collina e il 70% di quelle di montagna, per il sol fatto che non riescono a competere con il basso prezzo del prodotto di importazione, con tutte le conseguenze sull'assetto idrogeologico del territorio.

mercoledì 22 aprile 2015

Appunto n. 3 per la carta di Milano Expo - Pacchetto di revisione del processo decisionale per l’autorizzazione degli OGM sia come alimenti, sia come mangimi.

La Commissione europea ha adottato in data odierna un Pacchetto di revisione del processo decisionale per l’autorizzazione degli organismi geneticamente modificati (OGM) sia come alimenti, sia come mangimi.
Questa revisione deriva dagli orientamenti politici presentati al Parlamento europeo nel luglio 2014, in base ai quali la Commissione è stata eletta, e conferma l'esigenza di cambiamenti che riflettano le opinioni del pubblico e consentano ai governi nazionali di avere più voce in merito all'uso di OGM autorizzati a livello dell'UE destinati all'alimentazione umana (alimenti) o animale (mangimi). L’Esecutivo dell’Ue propone pertanto di modificare la legislazione in vigore al fine di conferire agli Stati membri maggiore libertà di limitare o proibire l'uso di OGM autorizzati a livello dell'UE negli alimenti o nei mangimi nel loro territorio.
Secondo quanto riportato nel comunicato stampa della Commissione europea, il nuovo approccio proposto è volto a raggiungere il giusto equilibrio tra il mantenimento del sistema di autorizzazione dell'UE e la libertà di decisione degli Stati membri riguardo all'uso degli OGM nel loro territorio. Data l'importanza cruciale di mantenere un sistema unico di gestione del rischio al fine di garantire lo stesso livello di protezione in tutta l'UE, non è modificato l'attuale sistema di autorizzazione e non sono modificate le norme in materia di etichettatura che garantiscono la libertà di scelta per il consumatore. La novità consiste nel fatto che, una volta che un OGM è stato autorizzato per l'uso in Europa come alimento o come mangime, gli Stati membri avranno la possibilità di decidere se consentire o no che un determinato OGM venga usato nella loro catena alimentare (misure di opt-out).
Gli Stati membri dovranno giustificare la compatibilità delle loro misure di opt-out con la legislazione dell'UE, compresi i principi che disciplinano il mercato interno, e con gli obblighi internazionali dell'UE, di cui sono parte integrante gli obblighi assunti dall'UE nell'ambito dell'OMC. Le misure di opt-out dovranno inoltre essere fondate su motivi legittimi diversi da quelli valutati a livello dell'UE (rischi per la salute umana o animale o per l'ambiente).


Questa proposta, insieme a quella che consente agli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione degli OGM, è un “Cavallo di Troia”, che consentirà in pochi anni di aprire le porte ai prodotti transgenici, in quanto, sarà vietata l’importazione di mangimi OGM, ma non sarà vietata l’importazione della carne, delle uova, del latte, ecc. ottenuti all’estero dall’utilizzazione di mangimi OGM e che saranno venduti nel nostro Paese confondendoli con quelli prodotti da noi “OGM free”.  Ecco allora che in questa situazione di “concorrenza sleale” i nostri allevatori saranno svantaggiati e ben presto si lamenteranno chiedendo anche loro di poter utilizzare gli OGM per l’alimentazione animale. Se si vuole veramente che questa norma abbia la sua efficacia è necessario intervenire sull’etichettatura dei derivati da mangimi OGM (carne, latte, uova, ecc.), al fine di consentire al consumatore una scelta consapevole.

martedì 21 aprile 2015

Appunto n. 2 per la Carta di Milano Expo - Serve un agronomo/veterinario di campagna che segua le aziende agricole

        In un futuro ormai prossimo, occorrerà operare una produzione di cibo locale e sostanzialmente naturale, attenta al mantenimento della fertilità dei suoli (rotazioni, concimi organici, ecc.) e al consumo di risorse non rinnovabili, senza quelle forzature imposte dal mercato (primizie, colorazione dei frutti, assenza di difetti estetici, ecc.). In un contesto di questo tipo, in cui l’”asimmetria informativa” la farà da padrone sul mercato, fondamentale per la Gastronomia del futuro sarà la certificazione del processo produttivo mediante l’adozione di specifici “disciplinari di produzione” e specifica etichettatura, al fine di consentire al consumatore una scelta consapevole. Più in generale, dovranno essere riviste le norme in merito all’utilizzazione “ad libitum” di fertilizzanti, di fitofarmaci, di medicinali e/o di altri presidi sanitari, che tanto hanno contribuito a modificare l’assetto produttivo e ambientale del territorio agricolo. In particolare, proprio al fine di ottenere la massima efficienza nell’utilizzazione di mezzi tecnici che possono avere un certo impatto ambientale, si auspica l’introduzione dell’agronomo/veterinario di campagna e il contingentamento dei mezzi chimici impiegabili in agricoltura, poiché non è ipotizzabile che noi affidiamo il pagamento delle nostre tasse ad un ragioniere o ad un commercialista e, nello stesso tempo, affidiamo a chiunque la produzione del nostro cibo, senza alcuna preoccupazione sulla sua professionalità, sulle tecniche produttive utilizzate, sui mezzi tecnici impiegati e sulle modalità di risoluzione di determinate problematiche.

martedì 2 settembre 2014

Commercio mondiale: il Ttip e la lotta di classe al contrario, di Enrico Lobina | 19 agosto 2014

Ttip sta per Transatlantic Trade and Investment Partnership, cioè per Partenariato Transatlantico sul commercio gli investimenti. Si tratta di un trattato su libero scambio ed investimenti che Stati Uniti (Usa) ed Unione Europea (Ue) stanno negoziando. In segreto. Peccato che tocchi tutti gli aspetti della vita sociale, economica e culturale della nostra terra.

Tra gli anni novanta ed i duemila un vasto movimento (i “no-global“) si opposero ai negoziati portati avanti dalla Omc (Organizzazione Mondiale del Mercato), che avevano come scopo di eliminare non solamente tariffe doganali, bensì la possibilità per piccoli Stati e lavoratori di difendersi dallaconcorrenza selvaggia e dai voleri delle multinazionali.

Grazie ad un vasto movimento di popolo (ricordate Genova 2001), e ad una chiara azione dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), spalleggiati dai paesi non-allineati, i negoziati fallirono. Gli Usa e la Ue ripiegarono su trattati bilaterali. Ora è venuto il momento del trattato tra i due giganti del neoliberismo, che dovrebbe essere concluso entro il 2015.

C’è poco tempo, e tutto è segreto! Alla faccia degli open data e della trasparenza, non si può sapere su cosa si sta trattando. Qualcosa trapela, ma non sia mai che l’opinione pubblica possa sapere cosa gli succederà. Il nocciolo del trattato non è la diminuzione delle tariffe, già quasi nulle, bensì l’eliminazione delle “barriere normative” che limitano profitti potenzialmente realizzabili dalle società transnazionali.

Cosa significa “barriere normative”? Vediamo qualche esempio.

La società francese Veolia, che ha in gestione lo smaltimento dei rifiuti ad Alessandria, in Egitto, ha fatto causa allo stato egiziano perché ha aumentato i salari del settore pubblico e privato al tasso d’inflazione, e questo ha compresso i propri margini di profitto. Per “barriere normative” s’intende anche questo. Con le misure proposte dal Ttip per la protezione degli investitori qualsiasi peggioramento (per l’investitore) delle condizioni contrattuali può dar luogo a richieste di risarcimento. Il meccanismo, se entrasse in funzione, avrebbe una forza dirompente dal punto di vista delle aspettative e delle azioni governative. Chi più si azzarderebbe ad aumentare i salari?

Nel caso vi sia una diatriba tra lo stato ed una multinazionale, questa non sarà costretta a rivolgersi ai tribunali dello stato nazionale (sono di parte!), bensì ad un arbitrato internazionale, in cui uno degli arbitri è scelto dalla multinazionale, uno dallo stato ed il terzo congiuntamente. Peccato che questi arbitri siano una cinquantina in tutto!

Questo meccanismo è l’Isds (Investor-State Dispute Settlement), ed è fortemente voluto dagli Usa. Sta incontrando una crescente resistenza a Bruxelles, però non è chiaro se nei negoziati ancora se ne sta parlando e se lo si sta prevedendo. Ma anche senza Isds, per gli agricoltori ed i piccoli e medi imprenditori europei, insieme a tutti i lavoratori, il Ttip sarebbe un disastro.
Gli agricoltori, e tutti coloro che hanno a cuore la propria alimentazione, sappiano che Ttip significa “deregolamentazione della sicurezza alimentare”. Con l’eliminazione delle normative europee sulla sicurezza alimentare (le famose “barriere normative”) entreranno gli Ogn (Organismi Geneticamente Modificati) e, più in generale, verrà meno il “principio di precauzione” europeo.

Per quanto riguarda l’ambiente, il principio è lo stesso. Oltre ad indebolire le normative fondamentali sull’ambiente, che dovranno allinearsi a quelle Usa, vi sarà un’inversione dell’onere della prova nel settore chimico: “Non inquino fin quando tu, Stato, non lo dimostri”. Ora, in Europa, è il contrario: è l’industria che deve dimostrare che non si inquina.

Questo e molto altro è il Ttip. A fronte di una crescita nulla in seguito a questo trattato, sappiamo però che lavoreremo peggio, che mangeremo cibi meno sani e  vivremo in un ambiente meno pulito. Tutto ciò per favorire qualche miliardario, che miliardario lo era anche prima. La lotta di classe al contrario, insomma.

Per quanto attiene agli OGM, taluni Paesi faranno di tutto per farli accettare ai Paesi contari.



Interessanti sono anche questi interventi 

di Lori Wallach



martedì 8 luglio 2014

Per un dialogo autentico sugli OGM, considerazioni del Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, card. Turkson

Un documento interessante per capire la posizione della Chiesa nei confronti degli OGM applicati al settore agroalimentare..........

"E' azzardato - e in ultima analisi assurdo, anzi peccaminoso - impiegare le biotecnologie senza la guida di un'etica profondamente responsabile."

"Si promuovono le nuove tecnologie asserendo che aumenteranno il cibo a disposizione di ciascuno, ma questo è solo un pezzo della storia. In realtà, le innovazioni sono concepite e realizzate a beneficio di un numero circoscritto di persone già molto abbienti. Man mano che si procede, molti piccoli produttori saranno inevitabilmente esclusi e/o spostati dalle loro terre. Saranno “amputati” dalle loro occupazioni tradizionali e dal loro stile di vita. Lo sradicamento di singoli, famiglie e comunità non è soltanto una dolorosa separazione dalla terra, ma investe il loro intero ambiente esistenziale e spirituale, minacciando e talvolta sconvolgendo le poche certezze della loro vita. Non dovrebbe sorprenderci il fatto che alcune popolazioni rifiutino certe innovazioni, non perché siano cattive o percepite come tali, ma perché il modo in cui vengono diffuse comporta costi insostenibili per coloro che in teoria dovrebbero beneficiarne. Non sono loro che non capiscono; è chi si rifiuta di guardare il quadro dell’insicurezza alimentare nel suo complesso – le persone, la loro dignità e la loro vita, oltre alla produzione e alla distribuzione del cibo – a non cogliere il nocciolo della questione, proprio come il chirurgo che ha in mente solo le braccia e non la persona intera."

http://www.aggiornamentisociali.it/easyne2/LYT.aspx?Code=AGSO&IDLYT=769&ST=SQL&SQL=ID_Documento=10102

lunedì 7 luglio 2014

Ancora sulle micotossine nel mais

Tra le “mezze verità” che vengono dette in giro in merito alle proprietà miracolose degli OGM, vi è anche quella relativa al fatto che gli OGM servirebbero per la risoluzione delle problematiche connesse alla proliferazione delle aflatossine. Ovviamente, in questa sede non si vuole sostenere che il mais Bt non serva a nulla, ma, purtroppo, il mais Bt, molto probabilmente, non rappresenta, da solo, il mezzo per la risoluzione del problema delle micotossine. In particolare, negli U.S.A., dove si fa largo uso di mais Bt, il contenuto ammesso di aflatossine negli alimenti è 10 volte quello consentito nei Paesi dell’UE (0,50 ppb negli USA, contro gli 0,05 ppb nei Paesi dell’UE), segno inequivocabile che il mais Bt da solo non rappresenta la soluzione al problema e serve qualcos’altro.
Nell’Unione Europea i limiti massimi di aflatossine sono quelli stabiliti dal Reg. Ce 165/2010, che prevede per il mais valori differenti a seconda della destinazione della granella. In particolare, per l’alimentazione umana è consentita la presenza di 5 ppb - parti per miliardo - per l’aflatossina B1 e 10 ppb per le B1+B2+G1+G2. Per l’alimentazione animale è consentita la presenza di 20 ppb per la B1. Nel latte crudo, nel latte trattato termicamente e nel latte destinato alla fabbricazione di prodotti a base di latte, il tenore massimo è di 0,05 ppb di aflatossina M1.

Diversa è la legislazione americana, in particolare per le aflatossine nei prodotti destinati all’alimentazione animale. La normativa Usa, infatti, distingue i limiti massimi a seconda della specie e del periodo di vita dell’animale e varia notevolmente, passando dal valore minimo di 20 ppb nei prodotti a base di mais per mangimi destinati alle vacche da latte, fino ad un massimo di 300 ppb per quelli destinati ai bovini in finissaggio.

Nel nostro Paese i Limiti Massimi Tollerabili di aflatossine in prodotti destinati all’alimentazione  umana (espressi in µg/Kg ) sono riportati nella Direttiva 2006/1881/CE. Al limite comunitario di 0.050 ppb per l’aflatossina M1 nel latte crudo e termicamente trattato si sono adeguati anche alcuni paesi asiatici, africani e dell’America Latina. 

In netto contrasto con quanto prescritto nei Paesi dell’UE sono gli Stati Uniti e alcuni Paesi dell’Europa orientale e asiatici, che hanno adottato un limite dieci volte superiore, ovvero 0.50 ppb, limite  adottato anche dal Codex Alimentarius nel 2001.

Pertanto, negli USA, pur avendo a disposizione l’arma del mais Bt, sono consapevoli che esso da solo non serve a risolvere il problema aflatossine.

Negli U.S.A., pur potendo contare sulla possibilità di coltivare mais Bt, può accadere poi che in particolari annate i limiti possano anche essere ritoccati, in relazione al fatto che vengono superate le soglie ammesse:



Nella realtà esistono altre problematiche legate alla diffusione di aflatossine nel mais. In particolare:

-        Occorre in primo luogo prestare attenzione alle rotazioni, al fine di limitare la diffusione della  piralide. A questo proposito, occorre rilevare che negli ultimi decenni le aziende agricole, anche al fine di contenere i costi di produzione, si sono fortemente specializzate, per cui privilegiano la monocoltura di mais, con tutti i risvolti negativi in merito alla diffusione di insetti e di piante infestanti;


-        Esiste poi il problema delle attuali varietà di mais che hanno le brattee che non coprono completamente la pannocchia, per cui si sviluppano attacchi fungini. Anche in questo caso l’umidità ristagna nelle parti apicali della pannocchia, per cui si ha proliferazione di agenti micotici;


-        Esiste poi il problema delle irrigazioni effettuate massicciamente allo scopo di ottenere una maggior produzione, ma che rappresentano un elemento importante per lo sviluppo delle aflatossine;


-        Esiste poi il problema della “aree rifugio”, che devono essere attuate insieme alla coltivazione del mais e che, se non trattate con insetticidi, origineranno un prodotto con ingenti attacchi di piralide e, conseguentemente, con un alto contenuto di aflatossine.

A cosa servono le “Aree Rifugio”? Sono aree coltivate a mais convenzionale (fino al 50% della superficie coltivata a mais Bt), allo scopo di evitare che soggetti di piralide resistenti alla proteina BT localizzati nel campo di mais BT vadano a fecondare altri soggetti resistenti, sempre localizzati nel campo di mais BT, dando così origine ad una progenie resistente. Il giochetto è presto spiegato: se noi accanto ad un campo di mais BT mettiamo un campo di mais convenzionale, con ogni probabilità nel campo di mais Bt si selezioneranno soggetti resistenti alla tossina Bt, mentre nel campo convenzionale ci saranno soggetti non resistenti. L’esclusiva presenza di coltivazioni di mais Bt avrebbe determinato una forte presenza di soggetti resistenti, con creazione di progenie di insetti resistenti. Mettendo accanto al campo di mais Bt un campo di mais convenzionale, la formazione di progenie di piralide resistente alla tossina Bt è notevolmente rallentata, non evitata, in quanto soggetti resistenti provenienti dal campo di mais Bt possono fecondarsi con soggetti non resistenti provenienti dal campo di mais convenzionale, dando così origine ad una progenie che solo in parte è resistente.




Anche nel caso delle “Aree Rifugio” l’introduzione di piante transgeniche resistenti agli insetti non ha risolto completamente il problema e non ha semplificato la coltivazione del mais. In particolare:


-              molto spesso gli agricoltori non hanno seguito il consiglio delle ditte sementiere, per cui non hanno messo in atto la strategie delle “aree rifugio”;


-              coloro che hanno creato le “aree rifugio” hanno dovuto adottare due specifiche tecniche di coltivazione per lo stesso prodotto, in quanto la parte coltivata con piante convenzionali deve essere trattata in modo diverso da quella coltivata con piante transgeniche.


In conclusione alle considerazioni effettuate sulle piante transgeniche resistenti agli insetti, occorre chiedersi se quello delle “aree rifugio” è un modello produttivo adatto all’agricoltura italiana, che, come è risaputo, è costituita da aziende di modestissima dimensione (6-7 ettari), dove non è raro incontrare campi coltivati a mais o a soia dell’ordine di poche decine di migliaia di metri quadrati.  

In merito agli effetti del mais Bt sul contenuto di micotossine, il problema è il seguente: consapevoli del fatto che le aree rifugio saranno oggetto di “grandi attenzioni” da parte della piralide, cosa ne sarà della granella prodotta in termini di micotossine se non si faranno trattamenti insetticidi specifici? La granella prodotta sarà buttata? Sarà destinata alla produzione di biocombustibili?



A conclusione di queste piccole osservazioni sulle aflatossine nel mais Bt, si può far rilevare che il valore massimo consentito  per l’aflatossina M1 nel latte adottato dall’UE è tra i più bassi al mondo.

Senza entrare nel dibattito sulla possibilità o opportunità di richiedere o meno una modifica nella normativa europea sui tenori massimi di aflatossine nel mais, forse troppo stretti, va precisato che questa procedura è lunga e complessa, anche perché richiede che siano prodotte nuove informazioni scientifiche, che devono essere valutate dall’Efsa (l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare) e dal Comitato permanente della catena alimentare della salute animale.

martedì 10 dicembre 2013

Aumento dei prezzi del cibo e fame nel mondo

Ciclicamente il problema dell’aumento del prezzo del cibo e della conseguente crisi alimentare si ripresenta nella sua gravità. L’insicurezza alimentare non è certamente una novità nel panorama dei problemi mondiali, e, purtroppo, la sua gravità non accenna a diminuire: secondo i dati diffusi dalla FAO, nel mondo sono circa 900 milioni le persone che soffrono la fame. E questo a dispetto dei numerosi e solenni impegni presi nelle più alte assise internazionali: nel 1996, i Paesi partecipanti al Vertice ONU sull’alimentazione si impegnarono a dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati rispetto al 1991, riducendolo a 412 milioni. Nel 2000, invece, l’ONU approvò gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, fra cui quello di dimezzare la percentuale di chi soffre la fame, sempre entro il 2015 e in riferimento al 1991. Per raggiungere questo secondo obiettivo gli affamati nel mondo avrebbero dovuto ridursi a 585 milioni, mentre purtroppo dal 1996 essi sono in costante aumento.
Il cibo nel mondo non manca (secondo la FAO ci sarebbe cibo sufficiente per 12 miliardi di persone) e quella attuale è sicuramente una “crisi alimentare” dovuta alla mancanza di risorse economiche necessarie per poter acquistare il cibo, in relazione ad un rapido aumento dei prezzi degli alimenti e ad una stagnazione dei salari.
A questo punto, anche al fine di trovare le auspicabili soluzioni, è necessario interrogarsi sulle cause di tali aumenti del prezzo del cibo. È possibile affermare che l’attuale congiuntura è determinata da una serie di fattori, identificabili soprattutto:
- nella dinamica della domanda e dell’offerta di alimenti;
- nel  funzionamento dei mercati.
Per quanto attiene alla domanda di derrate agroalimentari occorre rilevare che la popolazione mondiale è in costante aumento e, secondo le previsioni più autorevoli, dovrebbe raggiungere gli 8 miliardi entro il 2020. Questo significa che solo per assicurare alla popolazione futura agli attuali livelli di alimentazione, sarà necessario aumentare del 40-50% la disponibilità di alimenti. Ma, a parte alcuni territori di Africa e America Latina, la possibilità di incrementare le superfici coltivate è piuttosto limitata, in quanto il suolo disponibile per nuove coltivazioni è troppo freddo, arido e/o in forte pendenza. Inoltre l’incremento della popolazione non si distribuisce uniformemente sul pianeta, ma spesso è concentrato proprio dove esistono già problemi di sottoalimentazione.
Anche la concentrazione della popolazione in agglomerati di grandi dimensioni è responsabile dell’incremento dei costi di produzione e di distribuzione degli alimenti e, in definitiva, del loro prezzo. I luoghi di produzione degli alimenti sono sempre più lontani da quelli di consumo. In questo contesto è cruciale o la redistribuzione della popolazione anche sul territorio rurale o lo sviluppo di quei servizi di mercato in grado di razionalizzare e di rendere efficiente la distribuzione degli alimenti (conservazione, imballaggio, trasporto, ecc.). Ovviamente questi servizi hanno un costo, che si ripercuote sul prezzo degli alimenti, a volte più elevato dello stesso costo dell’alimento.
Un altro fattore determinante della tensione sui prezzi delle derrate agroalimentari è l’innescarsi di processi di crescita economica in alcuni Paesi emergenti del Globo. L’incremento del reddito pro capite in taluni Paesi (ad esempio Cina e India) conduce ad una lievitazione della domanda di alimenti, che a sua volta, in presenza di una offerta mondiale sostanzialmente costante, determina la crescita dei prezzi. Ma questo diminuisce le possibilità di accesso al cibo di quei Paesi, o di quegli strati sociali, il cui reddito non è cresciuto e che così si ritrovano relativamente ancora più poveri. Si tratta di una vera e propria «guerra tra poveri», dove gli unici che guadagnano sono coloro che dispongono della proprietà legale del cibo, spesso con intenti speculativi.
Un fenomeno analogo deriva dalla ricchezza dei Paesi sviluppati, che permette loro di consumare — e spesso sprecare — troppi alimenti, aumentandone la domanda e quindi il prezzo. Occorrerebbe una maggiore sobrietà nel consumo di alimenti da parte dei Paesi ricchi, consapevoli del fatto che un incremento dei consumi da parte di taluni può determinare una carenza di alimenti per altri. Per esempio, nei Paesi sviluppati si consuma troppa carne: alcune stime indicano che se i Paesi Meno Avanzati (pma) raggiungessero i nostri livelli di consumo, sarebbero necessari 7 Pianeti per produrre i mangimi da destinare all’allevamento animale. Infatti, l’attività di ingrasso degli animali può essere rappresentata come la trasformazione di alcuni alimenti (i mangimi) in carne. Al contrario di quanto avveniva un tempo, oggi gli animali non mangiano più prodotti di scarto, ma competono con gli uomini, in quanto mangiano gli stessi prodotti (mais e soia, soprattutto). Ecco allora che l’incremento di prezzo delle derrate alimentari è dovuto a comportamenti di consumo elitari, che non tengono conto delle necessità alimentari di coloro che con noi condividono il pianeta e hanno diritto a una porzione adeguata delle sue risorse.
Nei tempi più recenti ha fatto la sua comparsa anche un altro potente protagonista nella competizione per l’allocazione dei prodotti agroalimentari: in seguito al boom del prezzo del petrolio, e di conseguenza delle altre risorse energetiche, assistiamo oggi all’utilizzo di risorse alimentari (soia, mais, girasole, ecc.) per la produzione di energia. In particolare, agli attuali prezzi del petrolio, le derrate agricole possono essere convenientemente utilizzate per la produzione di biodiesel, etanolo, singas (gas di sintesi), biomassa, ecc. Automobili che funzionano a biodiesel o a etanolo sono ormai una realtà, in particolare in Paesi come Stati Uniti e Brasile, così come centrali elettriche che funzionano a singas o a biomassa. Non v’è dubbio che si tratti di un competitore molto importante, in quanto l’economia mondiale è affamata di energia e tutti i mezzi risultano idonei pur di averne in quantità e a basso prezzo.
Significativi sono anche i fenomeni che influenzano l’andamento dell’offerta di derrate agroalimentari. Sicuramente i recenti incrementi del prezzo mondiale degli alimenti, sono dovuti anche all’aumento dei prezzi dei fattori della produzione, soprattutto quelli derivati in qualche modo dal petrolio (forza motrice, concimi, fitofarmaci, trasporti, conservazione, ecc.).
All’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli ha sicuramente contribuito anche la presenza di situazioni ambientali avverse. In particolare, appare ormai evidente che i cambiamenti climatici hanno determinato situazioni produttive anomale. Nel 2007 la produzione di cereali in alcuni dei principali Paesi produttori, come Australia o Ucraina, ha subito forti flessioni a causa della siccità. Il che, a fronte di una domanda sostanzialmente rigida, avrebbe favorito un incremento dei prezzi. Non sappiamo se si tratti di un fenomeno episodico o di carattere permanente. Di certo la comunità scientifica e i Governi dei diversi Paesi sono molto preoccupati dal fenomeno del «riscaldamento globale» e dalla crisi idrica che ne dovrebbe conseguire. Se così accadrà, sembrano inevitabili ulteriori aumenti dei prezzi degli alimenti.
Poco sopra abbiamo menzionato l’esistenza di una competizione per l’allocazione dei prodotti agroalimentari fra usi alternativi. Un fenomeno analogo si verifica anche per un fattore produttivo insostituibile per l’agricoltura, la terra coltivabile, che viene destinata a insediamenti di vario tipo (abitazioni, ferrovie, strade, centri commerciali, campi da golf, aeroporti, ecc.). Purtroppo, tale sottrazione avviene molto spesso a scapito dei terreni migliori, ai margini degli antichi insediamenti urbani, che, per le necessità alimentari della popolazione, furono costruiti proprio dove erano presenti i terreni migliori. Si tratta di un processo inarrestabile, in quanto i guadagni che si possono ottenere dall’uso agricolo dei suoli non sono in grado di competere con quelli generati dalle destinazioni alternative extra agricole.
Ad aggravare le prospettive di sicurezza alimentare di taluni Paesi Meno Avanzati contribuirebbe anche l’uso dei terreni per coltivazioni di pregio destinate ai mercati dei Paesi ricchi. Con la produzione/esportazione di derrate agricole destinate ai Paesi ricchi, i Paesi Meno Avanzati cercano di acquisire valuta pregiata con la quale poter poi acquistare altri beni sui mercati internazionali: non a caso si parla in questi casi di cash crop (piantagioni da «cassa»). Si tratta di un fenomeno antico, almeno per prodotti come caffè o cacao, che negli ultimi anni si è ulteriormente esteso: basti pensare, ad esempio, alla coltivazione di fiori per il mercato europeo in Kenya o alla trasformazione delle risaie in allevamenti di gamberetti da esportazione in India. È ovvio che queste produzioni sono in competizione con la coltivazione di cibo per la popolazione locale e conseguentemente contribuiscono all’incremento dei prezzi delle derrate agroalimentari.
Da ultimo esaminiamo una serie di fattori che incidono sull’aumento dei prezzi dei prodotti agroalimentari derivanti dalle modalità concrete con cui funzionano i relativi mercati.
La domanda di prodotti alimentari, in confronto a quella di altri prodotti di consumo, è sostanzialmente rigida, in quanto le necessità biologiche riducono la libertà dei consumatori di comprimerne i consumi, anche a fronte di un aumento dei prezzi. Questo fatto aumenta il potere di mercato dei produttori e le loro possibilità di guadagno, spingendo i grandi potentati economici a tentare di costruire monopoli del cibo, al fine di controllane i prezzi. Vari strumenti vengono utilizzati a questo scopo, tra cui: acquisto massiccio delle terre agricole disponibili; realizzazione di forme di integrazione verticale tra produttori e distributori; espansione dei mercati a termine; tutela brevettuale del materiale genetico necessario per produrre il cibo (semi geneticamente modificati, animali clonati geneticamente modificati, ecc.). Evidentemente condotte di questo genere non possono che sollevare profondi dubbi in termini etici, in considerazione degli effetti che ne possono conseguire. Inoltre, in anni recenti si è registrato un notevole sviluppo di prodotti finanziari derivati, legati all’andamento delle quotazioni dei prodotti agroalimentari, in analogia con quanto è andato accadendo nella gran parte dei mercati borsistici e delle materie prime. L’abbondante liquidità disponibile in alcune aree del mondo, unitamente ai bassi tassi di interesse e all’alto prezzo del petrolio, ha reso il mercato di tali derivati estremamente attraente per speculatori in cerca di opportunità di diversificare il rischio e ottenere maggiori profitti, fino al punto che l’andamento di tali mercati concorre a trascinare i prezzi dei prodotti su cui i derivati si basano. Anche in questo caso è indispensabile sottolineare che una speculazione con tali effetti perde ogni giustificazione sul piano etico: l’attività speculativa, infatti, può ritenersi legittima solo quando rappresenta un incentivo all’efficienza dei mercati ed è al servizio dell’uomo, non più quando diventa un elemento di perturbazione tale da mettere a repentaglio le condizioni di vita di milioni di persone.
Un forte contributo alla contrazione della produzione di cibo con conseguente incremento dei prezzi è dato dalla modificazione delle politiche agricole di alcuni Paesi produttori. In particolare, l’ue, con la c.d. «Riforma Mc Sharry» attuata a partire dai primi anni del 2000, è passata da una politica agricola basata sul sostegno dei prezzi a una basata sul sostegno del reddito dell’agricoltore. Nel primo caso venivano fissati prezzi minimi garantiti e, di conseguenza, i guadagni dei produttori crescevano al crescere delle quantità prodotte. Una politica di questo genere spingeva dunque all’aumento della produzione e delle rese per ettaro, con il ricorso massiccio a concimi, fitofarmaci e irrigazione, e con effetti sicuramente criticabili in termini di impatto ambientale.
La nuova politica agricola dell’UE ha profondamente modificato il modo di produrre in agricoltura, in quanto ricorre a strumenti come:
-         limitazione delle superfici a seminativo;
-         progressiva riduzione dei prezzi interni al livello di quelli che si formano sul mercato mondiale;
-         introduzione di forme di sostegno al reddito dell’agricoltore legate alle superfici coltivate e non tanto alle quantità prodotte (con la conseguenza che l’agricoltore ottiene il sussidio anche se produce poco);
-         obbligo per i grandi produttori di destinare al riposo (set aside) una porzione, variabile di anno in anno, della superficie per la quale fruiscono di sussidi;
-         erogazione di aiuti per l’adozione di tecniche produttive eco-compatibili (riduzione dell’uso di concimi e fitofarmaci, diminuzione delle rese, riduzione del patrimonio bovino e ovino) o conformi alle norme sull’«agricoltura biologica»;
-         erogazione di premi per l’imboschimento di terreni normalmente destinati a seminativo.
È indubbio che tali misure abbiano determinato una consistente spinta alla riduzione della produzione cerealicola europea, peraltro storicamente eccedentaria, con effetti di una certa entità sull’offerta e quindi sui prezzi delle derrate agroalimentari a livello globale.
Da più parti, anche a livello politico, le piante geneticamente modificate sono presentate come una possibile soluzione al problema della fame, in quanto consentirebbero di aumentare la produzione e di conseguenza ridurre i prezzi. La questione è affiorata anche in occasione del vertice FAO di inizio giugno, senza che si potesse giungere ad un accordo, anche per la notoria polemica in materia fra USA, molto favorevoli agli ogm, e UE, tenacemente contraria.
Anche trascurando le implicazioni del ricorso agli OGM in termini di tutela della biodiversità e il fatto che la posizione appena espressa ripropone l’idea che la fame derivi soprattutto dall’insufficiente produzione di alimenti — che abbiamo già visto essere falsa —, le esperienze di coltivazione di ogm in alcuni Paesi evidenziano che le promesse non sono state mantenute, mentre si sono manifestati numerosi effetti negativi, vanificando quegli effetti miracolosi che, secondo alcuni sostenitori, costituirebbero il presupposto per la loro introduzione.
In particolare, per quanto riguarda le piante resistenti ai diserbanti totali, è stato riscontrato che l’uso continuo dello stesso diserbante ha determinato la selezione di piante infestanti geneticamente resistenti al diserbante. Inoltre le piante infestanti sono aumentate, in quanto le piante parentali selvatiche hanno acquisito il transgene che conferisce resistenza al diserbante e le piante transgeniche coltivate in una annata agraria sono divenute infestanti di altre piante transgeniche coltivate in annate successive. Per risolvere questi problemi è stato necessario ritornare ai vecchi diserbanti abbinati ai disseccanti totali.
Anche le piante transgeniche resistenti agli insetti presentano degli inconvenienti, in quanto dopo alcune generazioni anche gli insetti maturano una resistenza genetica alla tossina transgenica. Per evitare la selezione di insetti resistenti, i produttori di sementi transgeniche, ad esempio nel caso del mais, hanno consigliato agli agricoltori di riservare una certa quota della superficie coltivata (aree rifugio) al mais convenzionale, rendendo necessaria l’adozione di una pluralità di tecniche di coltivazione e dunque aumentando la complessità e anche i costi per i produttori agricoli (che infatti non sempre hanno seguito tale consiglio).
Infine, alcuni studi indipendenti condotti da ricercatori di Università americane avrebbero verificato poi che non è sempre vero che le piante transgeniche producano di più. In particolare, indagini effettuate su migliaia di ettari coltivati hanno evidenziato che la soia transgenica produce dal 6% all’11% in meno di quella convenzionale, mentre nel caso del mais transgenico si avrebbe un aumento della produzione del 2,6%.
Come le pagine precedenti hanno provato a mostrare, il problema del contenimento del prezzo del cibo non è di facile soluzione, in quanto coinvolge scelte di carattere politico, economico, sociale e di rapporti internazionali tra i diversi Paesi del globo. Affinché la situazione si normalizzi e si determinino condizioni nutrizionali stabili e sufficienti per tutti, sono necessari comportamenti cooperativi da parte degli organismi che compongono la lunga e complessa filiera di produzione del cibo. Questo comporta, necessariamente, che almeno alcuni comincino a mettere da parte forti interessi particolari per lasciare spazio alla ricerca di un bene comune globale.

Sarà necessario, inoltre, da parte di tutti — e in particolare degli abitanti dei Paesi ricchi — un atteggiamento più sobrio nei confronti del cibo, al fine di maturare una nuova consapevolezza verso un bene del quale nessuno può fare a meno.

lunedì 9 dicembre 2013

Meno male che ha vinto Matteo Renzi

Tutti quelli che ritengono che l’agricoltura del nostro Paese non possa competere con gli OGM sul mercato mondiale, ma possa, invece, competere solo sulla base della qualità, saranno contenti della vittoria di Renzi alle primarie del PD.
Perché devono essere contenti? Perché Renzi, non è sicuramente a favore di quella parte del PD (che si mette contro l’80% dei consumatori che non vogliono OGM), che è favorevole all’introduzione degli OGM nella nostra agricoltura. In particolare, durante le primarie del 2012, Renzi, alla domanda formulata da un gruppo di giornalisti, blogger, ricercatori e cittadini………….. Quali politiche intende adottare per la sperimentazione pubblica in pieno campo di OGM e per l’etichettatura anche di latte, carni e formaggi derivati da animali nutriti con mangimi OGM? ha dato la seguente risposta…………..
“Se è vero che molti dei prodotti agricoli che finiscono nelle nostre tavole sono varietà figlie di incroci e selezioni avvenute nei secoli, e che la ricerca in campo agroalimentare è comunque un fattore positivo e una strada da perseguire, altra cosa è aprire l'Italia a produzioni transgeniche che non hanno nulla a che fare con la qualità e la forza economica dei nostri prodotti agricoli. Il futuro dell'agricoltura italiana non credo possa essere legato agli Ogm. 

I nostri agricoltori sono da guinnes, con i 239 prodotti tipici italiani, il più alto numero europeo di produzioni di qualità e prodotti riconosciuti tra Dop, Igt e Stg, un fatturato al consumo di quasi 10 miliardi di euro e oltre un milione di ettari oggi condotti con metodo biologico. Un settore che è cresciuto e sta crescendo soprattutto con i giovani agricoltori nel segno della qualità e del presidio ambientale e garantisce parte dell'attrattività del Made in Italy nel mondo. Va scelta quindi la via dell'eccellenza, della salvaguardia delle nostre eccellenze agroalimentari e della sicurezza alimentare. Credo che occorra studiare bene tutti gli effetti dell'utilizzo in agricoltura di organismi geneticamente modificati e dell'impiego nell'allevamento animale di mangimi Ogm e gli effetti sulla salute pubblica.

Se è giusto, insomma, che la ricerca esplori più campi rispetto a quelli messi in pratica, si tratta di evitare quello che tutte le nostre associazioni agricole temono e cioè il Far West italiano, che qualcuno possa seminare campi di mais Ogm in grado di contaminare i territori circostanti con i pollini Ogm. Il nostro Paese finora ha avuto un comportamento esemplare su tutta la partita Ogm, mettendo sempre al centro il principio di precauzione e la necessità di non mettere a repentaglio l'immagine e la sostanza del nostro made in Italy. Infine, piena trasparenza per cittadini consumatori è la nostra scelta di fondo per etichettatura e corretta informazione rispetto a ciò che viene messo in vendita.”
A mio parere una risposta ottima, sotto tutti i punti di vista, poiché ha parlato di prodotti tipici, ha parlato dei giovani in agricoltura, ha parlato di biologico……………niente da dire.

Non ha risposto, o ha risposto solo in parte, sulla questione relativa all’etichettatura dei derivati da OGM……….una problematica seria, poiché da un lato occorre tutelare il consumatore, dall’altro occorre tutelare gli allevatori, che, purtroppo, al momento utilizzano nella gran parte dei casi anche mangimi OGM……peccato. Occorrerà far capire a Renzi che la mancata etichettatura dei derivati da OGM (carne, latte, uova, ecc.) ottenuti con “mangimi OGM”, porterà prima o poi ad una protesta da parte dei nostri allevatori che utilizzano “mangimi non OGM”, che sono costretti a produrre ai costi del convenzionale in un mercato in cui il prezzo, più basso, è fatto dai derivati ottenuti da “mangimi OGM”.

domenica 8 dicembre 2013

Mais OGM in Italia. A quante polente dovremo rinunciare?

Da sempre la polenta fa parte dell’alimentazione e della gastronomia di gran parte della popolazione italiana. In tutte le Regioni esistono coltivazioni particolari di mais destinate all'ottenimento di granella idonea alla produzione di farina per polenta. Così, per esempio, in Piemonte troviamo il “Mais 8 file di Antignano”, in Lombardia troviamo il “Mais 8 file di Storo”, in Veneto il “Mais Marano”, nelle Marche troviamo il “Mais 8 file di Pollenza”, ecc.  Nel nostro Paese molti ristoranti vivono, e ricavano reddito,  grazie alla polenta, che rappresenta la base per la produzione di numerosi piatti tipici.

http://www.agricoltura.regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=Redazionale_P&childpagename=DG_Agricoltura%2FDetail&cid=1213305708001&packedargs=NoSlotForSitePlan%3Dtrue%26menu-to-render%3D1213287460804&pagename=DG_AGRWrapper

Purtroppo, tutto questo “Ben di Dio” rischia di scomparire se nel nostro Paese sarà  introdotta la coltivazione di mais OGM ….….o, quantomeno, se sarà introdotta la coltivazione di questo mais OGM, che ha il transgene inserito nel genoma nucleare, che ha promotori costitutivi e che ha marcatori antibiotici) . In particolare, abbiamo già spiegato in un altro post che con la coesistenza, in presenza di incertezza produttiva e in assenza di etichettatura dei derivati (carne, latte, uova, ecc.), il mais OGM coltivato per scopi mangimistici è destinato a soppiantare interamente o quasi la coltivazione di mais convenzionale, destinato anch’esso a scopi mangimistici (il mais OGM ha un costo di produzione leggermente inferiore e i derivati da mangimi "non OGM" hanno lo stesso prezzo di vendita di quelli derivati dall’utilizzazione di mangimi OGM, per cui l’allevatore, che non è certo un benefattore, utilizzerà se possibile solo mangimi OGM).
Ma il problema della coesistenza, purtroppo, non riguarda solo il mais destinato alla produzione di mangimi, ma riguarda anche il mais di origine locale e destinato alla produzione di farina per polenta.   In particolare, in una situazione di inquinamento genetico diffuso, in relazione alla forte presenza di mais OGM per la produzione di mangimi (95% del totale),  anche le coltivazioni di “mais 8 file” destinate per la gran parte alla produzione di farina per polenta…..e che polenta! dovranno subire la presenza e l’inquinamento da polline OGM. Da questo punto di vista illuminante è la situazione che si è venuta a determinare in Messico, luogo di origine del mais, dove coltivazioni locali di mais sono state inquinate dal mais OGM.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3001031/

Lo scenario, ipotizzabile e fortemente realistico, che si verrà a determinare è molto semplice:

- la coesistenza con il mais OGM determinerà incertezza produttiva per i coltivatori di “mais 8 file”, che non saranno in grado di prevedere il livello di inquinamento che avrà il loro mais una volta raccolto. Se avrà un livello di OGM inferiore allo 0,9% non succederà niente, ma se avrà un livello superiore allo 0,9%, il loro mais dovrà essere etichettato e dovrà essere venduto come “mais OGM”, con la certezza di non venderne nemmeno un chicco. Questo mais, con ogni probabilità, sarà avviato verso la filiera mangimistica, con grave danno economico per i maiscoltori, in quanto il costo di produzione di questo "mais 8 file" è decisamente superiore al costo di produzione del mais per alimentazione animale;

- l’agricoltore convenzionale del mais 8 file in annate successive non potrà continuare a coltivare ai costi del convenzionale o del biologico destinato all'alimentazione umana per poi vendere ai prezzi del mais transgenico destinato all'alimentazione animale;

- dopo pochi anni, se la soglia di inquinamento genetico da OGM continuerà ad essere superiore allo 0,9%, gli agricoltori del mais convenzionale/biologico smetteranno di coltivare il “mais 8 file”, poichè se etichettato come OGM continueranno a non venderne un chicco e, pertanto, saranno costretti a subire forti perdite economiche;

- in questa situazione di incertezza produttiva, causata dalla presenza del “mais OGM”, si avrà una forte riduzione, se non addirittura la scomparsa, delle produzioni tipiche regionali di “mais 8 file”, poichè non più economicamente valide;

- con la scomparsa della coltivazione di “mais 8 file”, anche i piccoli ristoranti tipici avranno conseguenze negative, così come il turismo enogastronomico legato al consumo di questo preziosissimo alimento;

- nella suddetta situazione anche i piccoli mulini locali, che vivono grazie alla produzione di farina di “mais 8 file”, dovranno chiudere e diminuirà, così, anche il grado di autoapprovvigionamento alimentare locale di un territorio!


Scenario alternativo al precedente potrebbe essere la delocalizzazione produttiva del "mais 8 file" in aree marginali, ovvero in aree dove è antieconomica la produzione di "mais OGM". Se così fosse, la produzione di "mais 8 file" sarebbe comunque garantita, ma si avrebbe un forte aumento dei costi di produzione e, conseguentemente, del prezzo della farina per polenta derivante da “mais 8 file”………ma chi paga?........sempre noi?

sabato 31 agosto 2013

SAPORE DIVINO………………. NANOTECNOLOGICO

Oggigiorno la manipolazione della materia, anche quella vivente, ha raggiunto livelli che fino a pochi anni fa erano impensabili. Così la tecnologia transgenica ci consente di modificare il DNA di un organismo vivente e di ottenere da questo organismo prestazioni impensabili. Allo stesso tempo le nanotecnologie ci consentono di operare una modificazione dello stadio primitivo di atomi e molecole, che  può preludere alla realizzazione di materiali innovativi, che potrebbe non conoscere confini.                                                                                           
Cosa si intende per “nanotecnologia”? Per rispondere a questa domanda occorre far riferimento al National Nanotechnology Initiative, il programma di ricerca e sviluppo fondato dal Governo Federale degli Stati Uniti d’America. In particolare, si parla di nanotecnologia quando si verificano le seguenti condizioni:

a)     Sviluppo di ricerca e tecnologia a livello atomico, molecolare o macromolecolare, in una scala dimensionale che può andare da 1 a 100 nanometri (1 miliardesimo di metro e se volete 1 milionesimo di millimetro);
b)     Creazione ed utilizzazione di strutture, dispositivi e sistemi che abbiano proprietà e funzioni innovative dovute alla loro dimensione; 
c)      Tecnologie in grado di controllare o manipolare la materia su scala atomica.

Come potrà essere applicata la Nanotecnologia all’alimentazione?

Dal Progetto USA sulle Nanotecnologie Emergenti applicate al settore agroalimentare si rileva che: "Grazie alla nanotecnologia, il cibo di domani sarà disegnato plasmando molecole e atomi. Il cibo sarà confezionato in involucri sicuri 'intelligenti', che potranno rilevare il deterioramento oppure gli agenti inquinanti nocivi contenuti nella confezione. I prodotti alimentari del futuro intensificheranno e regoleranno il loro colore, sapore o contenuto nutritivo per adattarsi ai gusti o ai bisogni salutari di ogni consumatore. In agricoltura la nanotecnologia promette di ridurre l'uso di pesticidi, migliorare la riproduzione di piante e animali e creare nuovi prodotti nano-bioindustriali.” http://www.nanotechproject.org/


Nell’anno 2000 sono stati finanziati progetti di ricerca sull’applicazione delle nanotecnologie in ambito alimentare, al fine di creare alimenti “intelligenti” e personalizzati, che contengano centinaia di nano-capsule, con sapori diversi, e/o con sostanze nutritive diverse, e/o con coloranti diversi. Un qualsiasi forno a microonde potrebbe aprire, a seconda delle frequenza delle onde, una determinata capsula, e rilasciare il suo contenuto nell’alimento, al fine di conferirgli qualità diverse in relazione ai desideri del consumatore.

Un esempio concreto e tangibile è il Nano Wine!

"Questo vino contiene milioni di nano-capsule che, a seconda del vostro stato d'animo e dei vostri gusti, possono essere aperte con uno strumento a microonde. Le nano-capsule aperte rilasciano sapori e colori nel vino, mentre quelle non aperte si muovono attraverso il corpo inalterate. Ovviamente quelle aperte alterano il sapore, il profumo e il colore del vino. Farete aprire  le capsule di vaniglia se siete in uno stato d'animo australiano. Volete farlo assomigliare ad un Syrah? Aprirete solo le capsule di quercia e di pepe. I sentori di tartufo portano su una luna italiana. Per un buon Merlot, non dovrete fare nulla ".


Veramente una cosa meravigliosa ………… non dover più perdere tempo al supermercato per scegliere il tipo di vino ………… non avere più l’assillo di dover acquistare un vino per poi volerne assaggiare un altro …………… acquisto una bottiglia e ne vario il contenuto al momento del consumo, sulla base del mio stato d’animo ………….. una cosa fantastica!

E i vini tipici italiani? Roba vecchia, roba di altri tempi!


 Questo, ovviamente, è solo un esempio, questo vino ancora non esiste, ma sarebbe di possibile realizzazione ………….. e con il vino, tanti altri buoni mangiarini nano tecnologici!

giovedì 1 agosto 2013

Gilberto Corbellini e gli OGM in agricoltura

Gent. Prof. Gilberto Corbellini,

mi consenta, ma le fesserie e le idee false sugli OGM utilizzabili nella nostra agricoltura per l’alimentazione le racconta Lei, tra l’altro con una frequenza inaudita. Ho letto con attenzione il suo ultimo articolo pubblicato da “Il sole 24 ore” in data 28 luglio 2013, dove attacca, senza mezzi termini, Rampini, Petrini, De Girolamo, De Petris, COOP  ITALIA, COLDIRETTI, ecc. (l'elenco è molto lungo, possibile che siano tutti fessi e falsi?), per le idee che esprimono in tema di OGM applicati al settore agroalimentare (non metto il link per ovvi motivi, chi vuole lo può facilmente trovare) ed ho notato che contiene una serie di inesattezze e di "mezze verità" che fanno molto male alla discussione in atto.

Già leggendo la prima frase del suo intervento si capisce che sta parlando di un argomento che non conosce! Come può affermare che “…..un cartello di interessi economici, neppure trainanti per il PIL del Paese, riesca a tenere in scacco la politica nazionale in un settore.” Ma Lei pensa veramente che chi è contrario agli OGM voglia "tenere in scacco", o sia contro, la Politica Nazionale in tema di Agricoltura? Qual’ è la Politica Agricola Nazionale, se non quella di proteggere e di sostenere un settore di importanza strategica per il nostro Paese? Un settore che produce "gratuitamente" una serie di esternalità positive per il territorio, tra le quali paesaggio, assetto idrogeologico, tutela della biodiversità, ecc. (la cronaca di questi giorni ci riporta i danni dovuti ad alluvioni e a fenomeni franosi causati dall'esodo agricolo dai territori di collina e di montagna del nostro Paese...... le ricordo prof. corbellini che a causa del fatto che il reddito agricolo è fortemente dimunito, in questi ultimi anni, secondo i dati dei diversi censimenti agricoli, sono scomparse il 50% delle aziende agricole di collina e il 60% di quelle di montagna). 
Pensiamo all’Agricoltura Italiana come ad una grande impresa privata e chiediamoci …….”esiste sul mercato un’impresa privata che vuole a tutti i costi produrre un bene che l’80% dei consumatori ha dichiarato di non voler comprare ? Produrrebbe la FIAT un’auto che l’80% degli automobilisti ha dichiarato di non voler guidare? Esiste sul mercato un’impresa che abbandona una strategia vincente, basata sulla qualità (il fatturato annuo Agroalimentare è dell’ordine di 120 miliardi di euro, con un export dell’ordine di 30 miliardi di euro ……… i prodotti italiani copiati – taroccati - nel mondo originano un fatturato di 60 miliardi di euro, pari a 300.000 posti di lavoro), per attuare una strategia massificante e omologante, basata sui bassi costi di produzione e su livelli qualitativi discutibili, ben sapendo di non essere competitiva? Potremmo noi, Agricoltura Italia, competere con gli OGM sul mercato mondiale? L'Agricoltura Italiana, con i suoi costi sociali, burocratici, ambientali, sindacali, di sicurezza del lavoro, ecc., potrà competere utilizzando gli OGM con gli altri Paesi sulla base dei bassi costi e dei bassi prezzi?” Pura utopia caro Corbellini, solo una persona che non conosce come funziona il mercato dei prodotti agricoli può auspicare cose del genere. Noi, realisticamente parlando, potremo competere solo se sapremo rispondere alle domande del consumatore, che oggigiorno sono fondate sulla QUALITA’, sulla SICUREZZA ALIMENTARE  e sulla TRACCIABILITA’. Gli attuali OGM, purtroppo, come Lei dimostra di non sapere, non rispondono a nessuna di queste domande.

Ma il suo intervento è farcito di “Mezze Verità”, che fanno molto male alla discussione in atto sull’adozione o meno degli OGM nell'Agricoltura del nostro Paese. Lei scrive:

-         “……40 mila aziende agricole chiudono, sempre ogni anno,   perché non possono utilizzare le innovazioni biotecnologiche da cui trarrebbero sicura competitività sul mercato globale.” Il dato di fondo è vero ....... mediamente in Italia chiudono ogni anno 40.000 aziende agricole ........... ma come può pensare che il lettore sia così sprovveduto da credere a quello che poi sottintende? Lei crede veramente che tutte queste aziende agricole chiudano i battenti perché non possono utilizzare gli OGM? Lei crede veramente che queste 40.000 aziende con gli OGM potrebbero competere sul mercato globale e sopravvivere? Lei crede veramente che gli OGM possano rappresentare una soluzione a tutti i loro problemi? Corbellini, queste aziende chiudono molto semplicemente perchè producono ai costi italiani e vendono ai prezzi globalizzati. E poi, mi consenta, è un’indagine che ha fatto Lei, nel qual caso ci fornisca i dati completi, oppure è una sua opinione? Se è una sua opinione si mette allo stesso livello di quelli che ha veemente criticato nel suo articolo.

-         Nel suo articolo è riuscito anche a scrivere che gli OGM producono le stesse quantità di alimenti riducendo l’uso dei fertilizzanti……..quindi, Corbellini, vanno contro le leggi della Fisica, con particolare riferimento alla prima legge della termodinamica!!! Una cosa straordinaria, da Premio Nobel……..nessuno l’aveva mai scritto, o, quantomeno, io non l’ho mai letto prima. Ci può indicare le fonti?

-         E’ riuscito anche a scrivere che “E’ in vista anche la commercializzazione del grano OGM, al più tardi nel 2020.” Mi compiaccio del fatto che ha la “Sfera di cristallo”, per cui riesce anche a prevedere il futuro. Sappia che il frumento OGM è già stato creato da parecchi anni, ma, in relazione al fatto che sarebbe destinato all’alimentazione umana diretta, persino gli agricoltori dei Paesi dove gli OGM sono coltivati da anni si sono espressi contro la sua introduzionein pieno campo, poiché sanno benissimo che non ne esporterebbero un chicco.

-         Il massimo dell’obiettività, caro Corbellini, lo raggiunge quando a proposito degli agricoltori biologici scrive che “…….per tutelare i nostri  contadini più inoperosi e parassiti (ovvero i coltivatori che fanno Agricoltura Biologica, ndr), ci tocca importare il 70% del grano tenero, il 56% del grano duro, il 20% del mais………. Ma Lei crede veramente a quello che ha scritto?Crede veramente che con gli OGM noi potremmo raggiungere l’autosufficienza alimentare? Crede veramente che gli agricoltori biologici siano inoperosi e parassitari? Ma ha mai visitato un’azienda agricola biologica? Ma si rende conto delle fatiche e dei rischi che deve affrontare un agricoltore biologico, che deve attuare una coltivazione in pieno campo senza utilizzare fitofarmaci di sintesi? Senza utilizzare fitofarmaci sistemici? Senza utilizzare concimi chimici? Un agricoltore che attraverso siepi a piante arboree cerca di mantenere una certa biodiversità. Un agricoltore che sperimenta sulla sua pelle tecniche produttive a basso impatto ambientale, che, se funzionano, vengono adottate anche dall’agricoltura convenzionale (trappole sessuali, confusione sessuale, Bacillus thuringiensis, ecc.)? Lei li chiama "parassiti inoperosi".........io ritengo che la nostra Società dovrebbe dare a questi agricoltori un premio! 

In conclusione, caro prof. Corbellini, alcuni epiteti (veri e propri insulti) contenuti nel suo articolo nei confronti di quelli che non la pensano come Lei sugli OGM:

-         Ottusamente conservatori
-         Pragmaticamente ignoranti
-         Attuano una mediocre filosofia
-         Attuano marketing ingannevole
-         Oscurantisti
-         Analfabeti del diritto
-         Imbroglione francese (Seralini)
-         Contadini inoperosi (biologici)
-         Contadini parassiti (biologici)
-         Inganno semantico (riferito all’alimento biologico)
-         Intelligenza inferiore alla media
-         Disonestà di fondo
-         Raccontano a pagamento menzogne
-         Dementi
-         Avversari ideologici
-         Fesserie demenziali contro gli OGM.

Caro prof. Corbellini, purtroppo gli OGM in agricoltura necessitano 
di un approccio olistico e non superficiale, per slogan, come il Suo. 

E poi, mi consenta, si controlli un attimo.



- hanno scritto di corbellini:


http://www.unita.it/scienza/non-capisco-i-toni-contrastare-gli-ogm-e-un-favore-al-bene-comune-1.582512