Agrobiotecnologie e OGM: una
valutazione di ordine etico
Prof. Carlo Mons. Rocchetta
Consigliere Ecclesiastico Nazionale
della CNCD
L'utilizzazione delle biotecnologie
in campo agro-alimentare rappresenta una rivoluzione tanto rilevante da poter
essere paragonata all'invenzione del fuoco alle origini dell'umanità, alla
scoperta dell'energia elettrica in epoca moderna o all'utilizzazione
dell'energia atomica in età contemporanea. Come tale, essa porta con sé una
grande quantità di interrogativi etici su cui tutti, e specialmente noi
credenti, siamo chiamati ad interrogarci. E' in gioco infatti il futuro stesso
della comunità umana e del creato, della qualità della vita, dell'agricoltura e
della sicurezza alimentare.
La posizione della Chiesa cattolica
è, in questo senso, di grande prudenza, come è stato perfettamente espresso
nella parole che il Santo Padre ha pronunciato nel Giubileo degli agricoltori,
quando ha invitato gli operatori del mondo agricolo a:
"resistere alle tentazioni di
una produttività e di un guadagno che vadano a discapito del rispetto della
natura. Da Dio la terra è stata affidata all'uomo 'perché la coltivasse la
custodisse' (Gen 2,15). Quando si dimentica
questo principio, facendosi tiranni e non custodi della natura, questa prima o
poi si ribellerà”.
E aggiungeva:
"E' un principio da ricordare
nella stessa produzione agricola quando si tratta di promuoverla con /'applicazione di biotecnologie, che non possono essere valutate solo
sulla base di immediati interessi economici. E' necessario sottoporle
previamente ad un rigoroso controllo scientifico ed etico, per evitare che si
risolvano in disastri per la salute dell' uomo e per l'avvenire della
terra".
Una posizione non di chiusura, ma di
discernimento e di opportuna cautela, in cui sono implicati almeno tre nodi
problematici:
. il dialogo tra scienza e morale, evitando ogni fondamentalismo e operando perché la scienza sia a
servizio della persona umana e della collettività, non solo dell'economia e
degli interessi di pochi gruppi finanziari;
. la questione del rischio etico in
campo agrobiotecnologico, mettendo in primo piano il principio
della massima precauzione rispetto a quello del cosiddetto "danno
calcolato";
. il rispetto della natura, con interventi che non le facciano violenza, ma che salvaguardino l'unità
dell'ecosistema e la biodiversità.
E' chiaro che la mia riflessione si
limita alla questione degli OGM in campo agro alimentare, lasciando da parte
tutta la problematica relativa alla biomedicina e alla farmaceutica. Ritengo
infatti che si debba porre una netta distinzione tra i due ambiti:
. il campo delle applicazioni biomediche
e farmaceutiche è circoscritto alla cura di determinate situazioni di malattia
e puòessere tenuto sotto un sufficiente controllo;
. il discorso delle agrobiotecnologie
avanzate è invece indirizzato ad intervenire sulla natura in una forma
globale, introducendo modifiche sostanziali nel sistema-vita e nella relazione
tra le specie, con effetti a campo aperto certamente più difficili da
controllare.
1. IL DIALOGO TRA SCIENZA E MORALE
La scienza riveste certamente un compito
primario nel cammino dell'umanità, e nessuno si sogna di negarne la validità.
Il problema è sapere quale scienza, a servizio di chi e di che cosa? E'
questo l'interrogativo di fondo.
1.1. - Si deve in primo luogo distinguere
tra ricerca scientifica e applicazioni, tra scienza e tecnologia. Non a
caso il Santo Padre parla di "applicazione biotecnologiche", non di
"ricerca scientifica".
La ricerca scientifica è
necessaria, a condizione ovviamente che si attui con mezzi leciti e sia
indirizzata a fini umanistici, e si ponga quindi a servizio della vita
e di una sua migliore qualità, e mai contro.
Le applicazioni biotecnologiche
richiedono invece di essere sottoposte al vaglio delle scienze dello spirito
(dall'etica alla filosofia della scienza, al diritto e alla stessa
politica), evitando ogni forma di integralismo scientifico in base a cui
ciò che è tecnicamente possibile diviene ipso facto, sempre e in ogni
caso, eticamente valido e legittimo. Non è così!
Se ci si deve guardare dal pregiudizio
antiscientifico, ci si deve in pari tempo e con la stessa forza tenere
lontani da ogni determinismo scientifico.
Non è corretto, sotto il profilo
etico, passare direttamente dalle scoperte scientifiche alle loro immediate
applicazioni senza la mediazione delle scienze dello spirito, senza quindi
una verifica interdisciplinare sulle implicazioni che esse possono avere sul
piano del bene della persona e del bene comune.
Non si tratta - come è chiaro - di
fermare anacronisticamente la scienza, ma di farle ritrovare il suo vero
statuto, la sua vera funzione antropologica, mettendola in dialogo con la
comunità civile e con le altre scienze, in modo che si possa attuare:
. come scienza-sapienza, come
un "sapere" a servizio dell'uomo, e non come un potere illimitato,
per lo più in mano ad interessi di parte o di solo mercato;
. come scienza umanistica, cosciente
delle sue enormi responsabilità nei confronti della comunità umana e dell'
ambiente naturale, dell'oggi e del domani del pianeta terra.
1.2. - Ed è qui che interviene il
secondo dato da precisare. A chi e a che cosa deve obbedire la ricerca
scientifica e le sue applicazioni: a criteri solo di guadagno o non a
criteri più alti? Sta in questo interrogativo uno dei punti nodali da
sciogliere.
La quasi totalità della ricerca
scientifica è oggi in mano a grandi gruppi privati che mirano ad applicazioni
solo (o quasi solo) legate al profitto. E' giusto questo? A quali
conseguenze conduce una simile situazione?
Non è giusto e le conseguenze sono
che la scienza e le sue applicazioni finiscono per essere solo a servizio del
grande capitale o della finanziarizzazione dell' economia.
E' urgente rivedere questa situazione
e operare con sempre più forza perché la ricerca scientifica sia affidata
anzitutto ad Enti Pubblici che ricerchino, nelle applicazioni, ciò che è il bene
della collettività e dell’umanità, e non interessi particolari o di mero
guadagno. Penso alla Comunità Europea e ai suoi ingenti fondi. Penso ai singoli
Stati: che cosa fanno per promuovere autonomamente la ricerca scientifica? Più
in particolare è legittimo chiedersi: perché gli enormi investimenti
economici utilizzati per la ricerca dei prodotti transgenici non sono
impiegati in una prospettiva positiva, per la conservazione, il miglioramento e
l’incremento delle diverse specie esistenti, invece che per il loro
impoverimento? Perché, ad esempio, questi enormi investimenti economici non
sono utilizzati:
. per il rafforzamento della variabilità
genetica naturale e il suo miglioramento?
. per la ricerca di antiparassiti
naturali e il controllo delle erbe infestanti?
. per la gestione ecologica dei
rifiuti e l'incremento delle tecniche agronomiche di fertilizzazione?
. per metodi ecologici di produzione
e di conservazione degli alimenti?
. per sostenere l'agricoltura
ecocompatibile, invece di sottoporla al pericolo di contagio derivante dalle
colture transgeniche?
. per l'incremento della qualità e
della tipicità dei prodotti regionali e per un miglior equilibrio
dell'ambiente?
Evidentemente questi settori non sono
remunerativi.
Proprio il caso degli OGM è
emblematico a riguardo: la prudenza che molti di noi manifestano, riguarda gli
attuali OGM, derivanti da incroci transgenici, ossia dalla combinazione
sistematica tra regni e specie diverse. Sono questi OGM che creano forti dubbi
sia sul piano del rispetto della natura che per gli effetti che si possono
avere sull'ambiente, sulla salute e la salubrità dei cibi.
Non è escluso che si possa pensare a
OGM, chiamiamoli "ecocompatibili", ossia ad organismi rafforzati
usufruendo delle loro stesse risorse o di incroci naturali, come si è sempre
fatto in agricoltura, usufruendo per questo delle enormi possibilità che la
scienza mette oggi a disposizione. Sarebbe questo un investimento importante,
perché eliminerebbe alcuni eccessi di pesticidi e renderebbe la pianta capace,
da sola, di difendersi da alcuni parassiti, senza fare violenza alla natura
o correre il rischio di determinare effetti non previsti.
Perché non si fa? Evidentemente è un
procedimento più lungo e non fa guadagnare come gli attuali OGM. Sono un po' transcent,
ma non credo ci siano altre spiegazioni. E' una via percorribile? Personalmente
e concretamente se, a livello di principi, vedo l'opportunità di questa via, ne
colgo al tempo stesso la difficoltà di attuazione, dato che tutto il discorso
degli OGM è ormai gestito dal grande potere economico. Ma qualcosa bisognerà
pur fare!
2. LA QUESTIONE DEL RISCHIO ETICO IN CAMPO AGROBIOTECNOLOGICO: "DANNO CALCOLATO" O
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE?
Eticamente quanto più un'azione può
avere effetti gravi, estesi, irreversibili e incontrollabili tanto più
esige di essere attentamente vagliata e sottoposta al criterio della massima
precauzione.
Su questo aspetto la comunità
scientifica mondiale è oggi divisa. Un numero sufficiente di scienziati ha
sollevato dubbi sugli alimenti a base di OGM, dall' aumento di allergie e di
intolleranze, al calo dei valori nutritivi, all'aumento della tossicità e della
resistenza agli antibiotici. Tra i potenziali rischi ambientali, sono
segnalati i problemi dell'impollinazione incrociata, l'aumento nell'uso dei
pesticidi e la distruzione di molte specie. Non manca perfino chi arriva a
paventare una possibile serie di effetti a catena, derivanti dall'uso sempre
più esteso di OGM, che potrebbero mettere in crisi lo stesso sistema-vita sul
pianeta, come una potenziale "bomba biologica".
Se fossero veri questi pericoli,
anche solo una parte, ci troveremmo di
fronte a conseguenze devastanti e probabilmente non più sanabili all'interno
dell' ecosistema.
Data questa incertezza e finché essa
perdura, non è moralmente accettabile sottoporre /'umanità ad un rischio planetario di una tale portata.
L'industria mondiale degli OGM si
difende affermando che nessun progresso è privo di rischi: i treni e gli aerei
hanno i loro costi in vite umane; eppure nessuno sarebbe disposto a rinunciare
ad essi. Ma siamo
sicuri che sia la stessa cosa? Treni e aerei dipendono in gran parte dall'uso
improprio che se ne fa e se possono comportare degli effetti negativi ciò
riguarda generalmente ambiti circoscritti o singoli fruitori.
Gli interventi di ingegneria genetica
in campo agro-alimentare concernono invece modificazioni permanenti,
probabilmente irreversibili e, a lungo andare, imprevedibili impresse
nel quadro della struttura biologica stessa egli esseri viventi, e
riguardanti /'universalità del pianeta e del suo futuro. Non è etico
attuare una sperimentazione, di questa portata, quando non si è moralmente
certi degli effetti che si possono generare, non solo nell'immediato, ma anche
a medio e lungo termine.
Il principio di precauzione deve
prevalere sulla logica del solo rischio o, come si usa dire oggi, del
"danno calcolato". Giovanni Paolo II sta ripetendo, in modo
instancabile, che non si può fare della vita umana un oggetto di
sperimentazioni, tanto più pericolose in quanto minacciano il valore stesso
della vita e la sopravvivenza dell'umanità. La vita non è un oggetto in nostro
possesso, e ogni applicazione delle tecniche agrobiotecnologiche non è mai
una questione unicamente scientifica; è sempre una questione di grande
responsabilità morale.
L'etica da promuovere è l'etica della
responsabilità, fondata:
. su informazione e formazione circa
quelli che sono i meccanismi che stanno subordinando l'etica alla scienza e la
scienza a1l' economia;
. su scelte etiche che mettano
al primo posto la persona e il suo habitat, e non interessi di parte;
. sull'impegno a prevenire i rischi, e non limitarsi a riparare i danni
quando potrebbe essere troppo tardi;
. sulla capacità di andare incontro ai cambiamenti e di governarli, e non
di subirli passivamente.
3.
IL RISPETTO DELLA NATURA: INTERVENIRE ENTRO CERTI CONFINI, RISPETTANDO
L'ECOSISTEMA E SALVAGUARDANDO LA BIODIVERSITÀ
Ed ecco allora il terzo nodo
problematico: fino a che punto è lecito intervenire nel quadro della natura?
Qual è il ruolo dell' uomo nel creato: è il ruolo di un padrone assoluto o non
piuttosto di un fedele amministratore?
E' noto come non siano mancati
storici e ambientalisti che hanno ritenuto o ritengono la tradizione
giudaico-cristiana responsabile del degrado ambientale, facendo risalire
l'origine di questa responsabilità al comando biblico di Gen 1,28: "Siate
fecondi e dominate la terra, soggiogatela e dominatela". Una corretta
esegesi dei testi biblici va però in tutt'altra direzione.
Gen 1,26.28. I due verbi aramaici corrispondenti a "soggiogare" e
"dominare", contrariamente al significato immediato che sembrano evocare,
contengono, nel linguaggio biblico, due immagini estremamente significative.
Il primo verbo (soggiogare) serve a descrivere il dominio di un re saggio che
si prende cura dei suoi sudditi e fa di tutto, perché non manchi loro niente;
in quanto tale, il verbo non indica affatto un potere dispotico o sfrenato che
fa scempio della terra e dei suoi frutti, ma un compito sapienziale. Non
saremmo più di fronte ad un re saggio, ma ad un tiranno. Il secondo verbo (dominare,
radah) rimanda ad una missione di guida, come un pastore che conduce
il gregge all'ovile, evitando che vada incontro alla morte o alla perdita di sé
e descrive il ruolo dell'uomo come un ruolo di responsabilità. In entrambi le
formulazioni, la signoria data da Dio alle sue creature, a1l 'uomo e alla
donna, non rappresenta mai una potestà assoluta, ma relativa: è una signoria
ricevuta da Dio, attenta a proteggere quanto è stato loro affidato.
Gen 2,15. Il testo del secondo racconto è più facile da comprendere e implica
un'ulteriore immagine di notevole significato: quella del giardiniere: "Il
Signore prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse". I due verbi ("coltivare" e "custodire")
esprimono il compito di un custode che si prende cura del giardino che gli
è stato consegnato, coltivandolo e custodendolo appunto. "Coltivare"
si oppone ad abbandonare; "custodire" a "distruggere",
inquinare o devastare. L'uomo è quindi considerato come il giardiniere di Dio e
il fruitore del bene-terra, non un suo despota.
E' quanto viene richiamato,
indirettamente, dalla stessa immagine dell'albero del bene e del male, come
spiega Giovanni Paolo II, nell'enciclica
"Sollicitudo rei socialis": "Il dominio accordato dal Creatore
all' uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di 'usare e
abusare', o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta
dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la
proibizione di "mangiare il frutto dell' albero" (Gen 2,16), mostra
con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo
sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono
impunemente trasgredire" (SRS 34).
Dunque è lecito intervenire nel mondo
della natura, ma entro precisi confini, non spadroneggiandola a piacimento o
creando condizioni di invivibilità. "Risulta evidente - sottolinea
ancora Giovanni Paolo II nell'enciclica appena citata - che lo sviluppo,
l'uso delle risorse della terra e la maniera di utilizzarle non possono essere
distaccati dal rispetto delle esigenze morali. Una di queste impone senza
dubbio limiti all'uso della natura visibile" (SRS 34). La natura è un
dono da rispettare e migliorare, non da violentare.
"Dio perdona, la natura non
perdona", afferma un antico detto della
saggezza cristiana. E' pericoloso far violenza alla natura; essa conserva la
memoria di quanto subisce e prima o poi si ribellerà. Oggi questo pericolo non
riguarda più solo questo o quel caso particolare, ma il "villaggio
globale" dell'umanità del cosmo.
Siamo sicuri, ad esempio, che il mancato
rispetto delle diverse specie, l'incrocio fra geni di piante, di animali e geni
umani sempre più estesa e capillare non finisca per sconvolgere l'ordine
strutturale stesso della natura e non introduca situazioni di squilibrio non
più controllabili?
. Altro è l'intervento per migliorare
la natura al suo interno e renderla capace di difendersi da parassiti mortali,
come si è detto, ma all'interno del loro stesso essere e utilizzando o
incrementando le loro stesse risorse di natura.
. Altro è la violazione sistematica e
globale delle leggi biologiche degli esseri e delle loro relazioni con
l'immissione di situazioni nuove che vi si oppongono e possono creare situazioni
non più controllabili.
Finché l'applicazione delle
biotecnologie in campo agro-alimentare non avrà sciolto ogni riserva in questo
campo sarà un preciso dovere etico chiedere almeno una moratoria. L'uomo deve
guardarsi dal rischio di ridurre il cosmo ad una preda da conquistare o ad una
casa da saccheggiare. Già in un discorso del 24.3.97, Giovanni Paolo II aveva
denunciato questo pericolo: "L'ambiente è diventato spesso una preda a
vantaggio di alcuni forti gruppi industriali e a scapito dell' umanità nel suo
insieme, con un conseguente danno per gli equilibri dell' ecosistema,
della salute degli abitanti e delle generazioni future".
Le parole del Santo Padre richiamano
due problematiche attualissime, collegate alle agrobiotecnologie: l'unità
dell' ecosistema e la salvaguardia della biodiversità.
L'ecosistema rappresenta un 'unità
interattiva, dove ogni essere è in relazione dinamica con l'altro da sé e ogni
modificazione che vi viene introdotta agisce in modo diacronico e sincronico
sul circuito vitale degli esseri e del rapporto uomo-natura. Per questa ragione
è sbagliato applicare alle scienze biologiche i principi delle scienze fisiche:
. la fisica è per definizione il campo delle leggi rigide e sempre eguali (posta una
causa si dà un effetto);
. la biologia è invece il
campo delle interdipendenze: il patrimonio genetico del DNA non una semplice
fila di perline, dove ne puoi togliere una e sostituirla con ultra, senza che
ciò non provochi un cambiamento nella struttura stessa dell'essere. E' pericoloso
trasportare la logica deterministica della fisica all'interno della biologia e
delle sue applicazioni in campo agro-alimentare.
L'unità dell'ecosistema è un bene da
difendere, non un oggetto da mercanteggiare o da lasciare in balia del business
economico. E' in gioco la sopravvivenza stessa della vita e dell'ambiente.
Non si può disattendere questa responsabilità, agendo senza una coscienza informata
da principi etici. Giovanni Paolo II ha messo ripetutamente in guardia da una
simile tentazione e ha parlato di mercanti che ''fanno del mercato la loro
'religione' , fino a calpestare, in nome di dio-potere, di dio-denaro, la
dignità della persona umana e della sua vita". E' da questa nuova
religione del profitto a tutti i costi che occorre guardarsi, ritrovando
un'autentica spiritualità del creato, comprensiva di un atteggiamento
estetico verso la natura, che sia in grado di rimandare al Creatore di tutte
le cose, con meraviglia e gratitudine, e ci orienti verso una dimensione
contemplativa, e non distruttiva, del creato.
Lo stesso discorso vale per la
biodiversità; essa è un valore da apprezzare e da promuovere, non da impoverire
o ridurre sempre più. La questione non è soltanto ambientale; è etica. Non è
moralmente lecito impoverire la varietà e la differenza della flora e della
fauna, indebolendo o addirittura cancellando le molteplici specie di piante e
di animali che la natura ha prodotto in migliaia e migliaia di anni e il
Creatore ci ha donato, lasciando alle generazioni future una natura omologata a
pochissime specie. Le applicazioni biotecnologiche, se vogliono essere
utilizzate in senso umanistico, devono rafforzare la biodiversità, e non
accellerarne la diminuzione e la scomparsa.
Intervenire sulla natura è legittimo,
come si è detto, ma ciò deve sempre avvenire entro precisi confini e nel
rispetto dell'unità dell'ecosistema, delle configurazione delle singole specie
e della biodiversità. L'uomo è custode della natura, non despota.
La stessa questione della brevettazione
degli OGM andrebbe ripensata in questo quadro. E' noto come il 12 maggio 1998
il Parlamento Europeo e il Consiglio dell' UE abbia approvato la "direttiva
sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche"; una
direttiva che non è priva di interrogativi etici per le implicazioni che può
avere sia in campo agrobiologico e biozoologico che in campo bioagroalimentare.
Brevettare le sequenze geniche
significa brevettare organismi viventi, e brevettare organismi viventi è
brevettare la vita, finendo per ridurla ad un manufatto, ad un prodotto fatto dall'uomo e commerciabile come ogni altro un
oggetto di consumo. E' legittimo tutto questo? A che cosa condurrà? Dietro
questa scelta, oltre che una questione di soldi (le famose royalties), non
si nasconde forse una sorta di "delirio di onnipotenza"?
Il patrimonio genico appartiene a Dio
e quindi a tutta l'umanità; e come tale deve essere considerato e valutato. Su
questo punto, si è pronunciata la stessa UNESCO, affermando che "il
materiale genetico è patrimonio comune dell'umanità" e "non deve
produrre alcun guadagno economico". Purtroppo questa regola non è affatto
rispettata dalla direttiva europea. La stessa distinzione che essa elabora tra
"scoprire" e "inventare" non è per nulla convincente.
Anche in questo caso siamo di fronte ad un problema morale di rilevanza
mondiale. Le applicazioni biotecnologiche devono salvaguardare il principio
che il patrimonio genico (da qualunque essere provenga, umano, animale o
vegetale) deve servire al bene di tutti e di ciascuno, senza diventare dominio
esclusivo di qualche potentato economico e dell' arbitrio di interessi di
parte.
4.
CONCLUSIONE
Nei confronti delle agrobiotecnologie
è dunque opportuno tenere al momento - un atteggiamento critico. La scoperta,
di per sé legittima, di nuove possibilità tecnologiche innovative non può
indurre automaticamente alloro impiego, senza una verifica che consideri i
rischi etici e faccia prevalere sempre e comunque gli interessi della collettività
su quello dei grandi potentati economici. Mai come oggi la nostra libertà
dev'essere sottoposta al criterio della responsabilità e della prudenza. Chi
non lo facesse, diverrebbe colpevole tra l0 o 20 anni degli eventuali danni che
potrebbero essere provocati da un uso degli OGM non sufficientemente vagliato o
valutato in tutti i loro effetti. La comunità cristiana è oggi in prima fila
in questa ricerca, per dare il proprio specifico apporto alla difesa della vita
e dell' ambiente e promuovere uno sviluppo integrale e sostenibile dell’umanità.