Il nostro Paese
è un Paese industrializzato e l’agricoltura, come tale, senza l’indotto e senza
i "servizi sociali", rappresenta più o meno il 2% del Prodotto
Interno Lordo (PIL). Un valore molto basso, che non consente certo al nostro
Paese di produrre grandi quantità di derrate agricole da destinare
all'esportazione. L'agricoltura nel nostro Paese consente comunque un buon
grado di autoapprovvigionamento alimentare, tra l'altro con ottimi prodotti
alimentari che ci sono invidiati e copiati in tutto il resto del mondo (agropirateria).
In questa
situazione il nostro Paese è un esportatore di prodotti industriali. In
relazione al fatto che nel Commercio Internazionale vige ancora il baratto, che
cosa riceviamo in cambio? E’ ovvio che se le esportazioni sono dirette verso
altri Paesi industrializzati, la contropartita sarà rappresentata da altri
prodotti industriali (la teoria economica del “Vantaggio Comparato” spiega
senza ombra di dubbio questo fenomeno). Se, invece, il nostro partner
commerciale è un Paese meno avanzato (PMA), con ogni probabilità la
contropartita sarà rappresentata da prodotti dell’agricoltura, in quanto,
spesso, è l’unica attività presente in questi Paesi. Tali prodotti
alimentari di importazione sono simili ai nostri, ma sono caratterizzati spesso
da un prezzo decisamente inferiore al nostro prezzo interno, un prezzo che
molto spesso non è in grado di coprire il nostro costo di produzione. E' ovvio
che l'importazione di questi prodotti metta in crisi la nostra produzione
interna, che non è in grado di competere sulla base dei bassi prezzi.
La domanda che
sorge spontanea è questa: “è giusto che sul mercato del nostro Paese arrivino
come contropartita delle nostre esportazioni industriali dei prodotti
alimentari a basso prezzo ottenuti in altri Paesi, che riescono a produrre con
tecniche diverse dalle nostre? Tecniche produttive meno costose delle
nostre? Tecniche produttive che spesso da noi non sono consentite? Tecniche
produttive che a volte non tutelano il lavoratore? Tecniche produttive che
utilizzano fattori della produzione che da noi sono vietati? E si potrebbe
continuare ancora.
In questo
contesto in cui il nostro Paese esporta prodotti industriali e riceve in cambio
prodotti agro-alimentari, gli OGM aumenteranno o diminuiranno la possibilità
che il nostro Paese esporti prodotti industriali e importi, come contropartita,
prodotti agro-alimentari? Gli OGM aumenteranno o diminuiranno il nostro grado
di autoapprovvigionamento alimentare?
In un contesto
in cui gli OGM promettono piante autoimmuni da qualsiasi malattia, piante che
possono crescere su qualunque terreno, piante resistenti al caldo e al freddo,
piante la cui crescita può essere facilmente controllata dai satelliti, piante
resistenti all’umidità e alla siccità, ecc. sicuramente gli OGM rappresentano
uno strumento per aumentare questa nostra dipendenza dalle importazioni da altri
Paesi, in cambio, ovviamente, di prodotti industriali. E' una dipendenza "casuale" oppure è una dipendenza voluta, al fine di incrementare la produzione industriale a scapito della produzione agricola?
In definitiva,
adottare gli OGM, per il nostro Paese significa:
- mettersi in concorrenza con lo stesso prodotto
proveniente dalla globalizzazione dei mercati, poiché se anche noi facciamo OGM, è
con questi prodotti che dovremo concorrere anche sul mercato interno (concorrenza
impossibile). Non coltivare OGM, significa prima di tutto creare un mercato agro-alimentare diverso, che ci mette parzialmente al riparo dalla concorrenza esercitata dai prodotti di importazione;
- aumentare le possibilità di esportare prodotti industriali, accettando come contropartita prodotti agro-alimentari, per lo più OGM;
- aumentare le possibilità di importazione di derrate agro-alimentari, in quanto i nostri costi di produzione sono decisamente superiori ai costi di produzione del mercato globale;
- aumentare le possibilità di esportare prodotti industriali, accettando come contropartita prodotti agro-alimentari, per lo più OGM;
- aumentare le possibilità di importazione di derrate agro-alimentari, in quanto i nostri costi di produzione sono decisamente superiori ai costi di produzione del mercato globale;
- pericolo di delocalizzazione delle
produzioni, poiché prodotti considerati simili, o equivalenti, possono essere
ottenuti in qualunque parte del pianeta, non importa con quale tecnica
produttiva, non importa con quali tutele ambientali e/o del consumatore,
l’importante è che costino poco;
-
dipendere
sempre più dalle importazioni agro-alimentari provenienti da altri Paesi;
- mettere in discussione la nostra
“Sovranità alimentare”, poiché la presenza sempre più massiccia di prodotti
agricoli a basso prezzo provenienti dall’estero, determinerà l’abbandono
dell’agricoltura attuata nei territori marginali, che già oggi non sono in grado di competere con i bassi prezzi delle aree maggiormente produttive del nostro Paese;
- la scomparsa dell'agricoltura dai territori marginali, determinerà poi l'aumento delle problematiche legate al presidio del territorio e al dissesto idrogeologico.
- la scomparsa dell'agricoltura dai territori marginali, determinerà poi l'aumento delle problematiche legate al presidio del territorio e al dissesto idrogeologico.
Ancora una volta dobbiamo chiederci: sacrificare l’agricoltura a favore
dell’industria è un bene o un male? E’ una domanda importante, che richiede una
risposta altrettanto importante, poiché l’agricoltura nel nostro Paese svolge
funzioni che vanno al di là della semplice produzione di alimenti sani e di
buona qualità. La nostra agricoltura è importante per il paesaggio, per
l’assetto del territorio, per la tutela della flora e della fauna, per le
attività indotte, ecc. Il nostro Paese potrà rinunciare alle esternalità
prodotte dall’agricoltura? Il nostro Paese potrà rinunciare alle nostre
produzioni alimentari di qualità? Il nostro Paese potrà rinunciare
all’agricoltura?
Non credo proprio.
Non credo proprio.