Ogni tanto i
sostenitori degli OGM, spesso scienziati di chiara fama che vivono nel loro laboratorio
di chimica o di genetica e non hanno mai visto un campo coltivato, affermano
che “l’intera mangimistica italiana si basa sull’uso di derivati di
OGM", pertanto, secondo loro,
è ipocrita vietare la coltivazione di
piante OGM in Italia e consentire allo stesso tempo l’importazione del mangime
OGM ottenuto da queste stesse piante. Purtroppo per loro,che utilizzano
questo argomento per sponsorizzare gli OGM, non è vero che l’alimentazione del nostro
bestiame dipenda per intero dall’importazione di alimenti OGM, ma è vero che
importiamo solo il 20% circa del nostro fabbisogno, che il mangime OGM è
rappresentato quasi esclusivamente da soia e che non possiamo evitare queste
importazioni, in relazione al fatto che provengono da Paesi che hanno questa unica moneta per pagare le nostre
esportazioni di prodotti industriali.
Per gli “addetti ai lavori” è risaputo che nell'allevamento
animale non vengono utilizzati solo alimenti di importazione, ma vengono
utilizzati una miriade di prodotti ottenuti dalla nostra agricoltura che, come
è risaputo, non è OGM. In particolare, i mangimi per uso zootecnico non sono
costituiti solamente da "mangimi concentrati", ma sono composti anche
da:
- foraggi verdi o secchi (fieno, insilati)
- radici, tuberi, semi o frutti vari (fave, lupini, orzo,
castagne, carrube, ghiande)
- sottoprodotti dei cereali (pule, crusche, stocchi di mais)
- sottoprodotti dello zucchero (melassa, polpa di
barbabietola)
- sottoprodotti di carni o di pesce.
Il mangime cosiddetto "concentrato", ottenuto con
miscele di prodotti di importazione che possono essere OGM, è costituito da
miscugli di cereali, legumi e altri mangimi semplici. Indicativamente un
mangime concentrato contiene farine di cereali (30-80 %), di legumi (10-20%),
integratori minerali e vitaminici (30-40 grammi per kg) e diversi sottoprodotti
delle industrie molitoria e degli zuccherifici. Questi prodotti concentrati
vengono realizzati dalle industrie mangimistiche, che si approvvigionano delle
materie prime in Italia e all'estero.
Pertanto il nostro Paese produce ancora una grande quantità di mangimi, che non sono costituiti solo da mais, da soia, da colza, ecc. di origine transgenica e comprendono tanti altri prodotti (erba medica, sorgo, loietto, pisello proteico, veccia, mais ceroso, ecc.), che non sono certamente "OGM”. Secondo una specifica indagine della Commissione Europea, nell’Unione Europea il foraggio verde rappresenta circa metà della quantità totale dei mangimi consumati. È ottenuto direttamente da terreni a pascolo, oppure tagliando e conservando prati e pascoli permanenti o temporanei e foraggi annuali o pluriennali (erba medica, trifoglio, mais da insilato, eccetera)........... vedi pag. 4 del seguente link
Anche considerando solo “i cereali, i semi oleosi e le farine proteiche” utilizzati dall'industria mangimistica per la produzione di "mangimi concentrati" (costituiti per la gran parte da soia, mais, colza e cotone, che potrebbero essere di origine OGM), il nostro Paese importa circa il 45% delle sue necessità e non il 100% come i sostenitori degli OGM lasciano intendere.
images.lab-to.camcom.it/f/seminari/Ga/Galli.pps
Occorre poi tener presente che nei dati precedenti non è
presente la produzione italiana di sorgo, di avena, di erba medica, di
lupinella, di festuca, di loiessa, di loglio perenne, di mais da foraggio, di
mais insilato integrale, di sulla, di trifoglio bianco, di trifoglio pratense e
di leguminose da granella, quali favino, pisello da foraggio
(Pisum arvense), pisello proteico (Pisum sativum) e veccia, tutte piante
destinate per la quasi totalità alla produzione di mangimi. Così come non è
presente l'erba che i nostri animali mangiano nei pascoli degli alpeggi.
Se, tra questi prodotti, avessimo considerato la sola produzione di erba medica (25 milioni di tonnellate), della quale, anche in relazione alla produzione di Parmigiano Reggiano, l'Italia è il primo Paese produttore nella UE con circa 900.000 ettari coltivati, avremmo scoperto che il rapporto "alimenti necessari/importazione" sarebbe sceso al 25% circa.
http://users.unimi.it/agroecol/pdf/bocchi/alpicoltura/erba_medica_2009.pdf
Occorre, inoltre, considerare che per il mais le importazioni rappresentano il 20% del fabbisogno nazionale, mentre solo per la soia questa quota raggiunge quasi il 90%. Per la soia, proveniente per la gran parte dagli USA, dal Brasile e dall’Argentina è vero che per la gran parte essa è OGM. Mentre per il mais questo non è vero, poiché oltre il 90% di questo mais importato è di origine comunitaria, per cui, con ogni probabilità , non è OGM!
Pertanto, in conclusione, “non è vero che l'intera
mangimistica italiana si basa sull'uso di derivati OGM, ma è vero che è
un'aliquota intorno al 20%. Tutto sommato pochissimo, soprattutto se
pensiamo che gran parte di queste importazioni sono attuate come contropartita
per le nostre esportazioni di prodotti industriali! Il nostro Paese potrebbe
vietare queste importazioni? Probabilmente no! Poichè non accettare queste
importazioni, con ogni probabilità, significherebbe andare contro gli accordi
di libero scambio del WTO e significherebbe non esportare tanti altri prodotti
industriali.
http://ogmbastabugie.blogspot.it/2013/12/le-importazioni-di-alimenti-sono-la.html
http://ogmbastabugie.blogspot.it/2013/12/le-importazioni-di-alimenti-sono-la.html
Per quanto attiene al mais, al fine di ottenere un
miglioramento dell'autosufficienza nazionale, sarebbe sufficiente un modesto
aumento del prezzo di mercato per consentire un ampliamento delle superfici
coltivate, prezzo di mercato che negli ultimi anni si è notevolmente abbassato
anche a causa delle importazioni da Paesi che riescono a produrre a costi
decisamente più bassi dei nostri. Purtroppo, negli ultimi anni molte aree
produttive di collina e di montagna del nostro Paese sono state abbandonate a
causa della flessione dei prezzi di mercato ……… in pratica, l’attuale prezzo di
mercato del mais, anche a causa della presenza sul mercato di mais OGM,
non copre completamente il costo di produzione delle aree di collina e di
montagna. Pertanto, essere favorevoli al mais OGM significa favorire
l'agricoltura di pianura a scapito, ancora una volta, dell'agricoltura di
collina e di montagna, favorendo così l'esodo rurale dai territori marginali,
con effetti disastrosi all'assetto idrogeologico del territorio.
http://ogmbastabugie.blogspot.it/2014/06/motivazionidiverse-da-effetti-sulla.html
http://ogmbastabugie.blogspot.it/2014/06/motivazionidiverse-da-effetti-sulla.html
Per la soia il discorso è diverso, in quanto vi sono motivazioni
agronomiche che limitano la produzione interna……..in pratica nel nostro Paese,
soprattutto nel Centro-Sud, non ci sono condizioni produttive ottimali da un
punto di vista pedoclimatico. A sostegno di queste affermazioni è possibile
osservare l'andamento delle produzioni di soia nel nostro Paese (fino al 1992,
anno di introduzione del disaccoppiamento, la produzione di soia era
dell'ordine di 2 milioni di tonnellate ...... oggi la produzione di soia in
Italia si è ridotta a 500 mila tonnellate).
ftp://ftp.elet.polimi.it/users/Alessandra.Gragnani/MCSA2/Soia.pdf
...... il grafico precedente si ferma al 2005, ma negli anni successivi la produzione di soia in Italia si è mantenuta sulle 500 mila tonnellate, molto distante dai 2 milioni di tonnellate dei primi anni '90.
Pertanto, anche se fosse introdotta la coltivazione della soia RR, il nostro Paese non potrebbe competere con le produzioni americane, brasiliane o argentine, che sono ottenute con un costo di produzione decisamente inferiore al nostro ………… conseguentemente, anche nel caso in cui nel nostro Paese fosse liberalizzata la coltivazione di soia OGM, non aspettiamoci forti incrementi delle superfici coltivate ………. le importazioni non diminuiranno. Interessante come apporto proteico in zootecnia potrebbe essere la sostituzione della soia con erba medica, così come evidenziato da alcune associazioni di categoria........... sarebbe un bene per la nostra agricoltura e sarebbe un bene per le generazioni future, poichè l'erba medica è una pianta miglioratrice della struttura, della tessitura e del contenuto nutrizionale del terreno.
http://www.cialombardia.org/documenti/produzioni_vegetali/proteine_vegetali_ott09.htm
http://www.associazioneforaggi.it/alimentazione-animale.html
ftp://ftp.elet.polimi.it/users/Alessandra.Gragnani/MCSA2/Soia.pdf
...... il grafico precedente si ferma al 2005, ma negli anni successivi la produzione di soia in Italia si è mantenuta sulle 500 mila tonnellate, molto distante dai 2 milioni di tonnellate dei primi anni '90.
Pertanto, anche se fosse introdotta la coltivazione della soia RR, il nostro Paese non potrebbe competere con le produzioni americane, brasiliane o argentine, che sono ottenute con un costo di produzione decisamente inferiore al nostro ………… conseguentemente, anche nel caso in cui nel nostro Paese fosse liberalizzata la coltivazione di soia OGM, non aspettiamoci forti incrementi delle superfici coltivate ………. le importazioni non diminuiranno. Interessante come apporto proteico in zootecnia potrebbe essere la sostituzione della soia con erba medica, così come evidenziato da alcune associazioni di categoria........... sarebbe un bene per la nostra agricoltura e sarebbe un bene per le generazioni future, poichè l'erba medica è una pianta miglioratrice della struttura, della tessitura e del contenuto nutrizionale del terreno.
http://www.cialombardia.org/documenti/produzioni_vegetali/proteine_vegetali_ott09.htm
http://www.associazioneforaggi.it/alimentazione-animale.html
Purtroppo
la dipendenza del nostro Paese nei confronti delle importazioni di mangimi è in
aumento. In particolare, il nostro Paese, da quando ha deciso di essere un
Paese industriale, ha sacrificato l’agricoltura a favore dell’industria e,
pertanto, esporta prodotti industriali e riceve in cambio prodotti agricoli (nel
Commercio Internazionale vige ancora il baratto, poiché molti Paesi non hanno
dollari o euro con i quali pagare i fornitori e ci pagano con quello che hanno,
molto spesso prodotti agricoli). Pertanto,
per un Paese industriale come l’Italia, spesso, è necessario importare prodotti
agricoli se vogliamo esportare prodotti industriali. Importazioni che provengono da Paesi che non hanno le nostre regole
produttive, per cui hanno prezzi decisamente più bassi dei nostri. Tutto questo
deprime il prezzo delle derrate agricole nazionali e i nostri agricoltori non
guadagnano, abbandonano i territori marginali, stanno zitti e noi paghiamo i
disastri ambientali prodotti dal dissesto idrogeologico del territorio.
Che
l’agricoltura nel nostro Paese sia in crisi è un fatto accertato, ma non è
colpa della mancata adozione degli OGM. Secondo i dati dei diversi Censimenti
dell’agricoltura, gli agricoltori in 10 anni sono passati da 2,5 milioni a 1,5
milioni e le aziende agricole sono diminuite del 50% in collina e del 60% in
montagna.
http://www.istat.it/it/files/2012/12/PresentazioneGreco.pdf
Questo, ovviamente, non vuol dire nulla in termini produttivi, poiché, pur in presenza di un minor numero di agricoltori, il terreno coltivato potrebbe essere rimasto lo stesso e la produzione potrebbe essere rimasta costante. I terreni coltivabili sono sicuramente diminuiti a causa della loro utilizzazione per scopi non agricoli (aree edificabili, strade, aeroporti, ecc.). Ma tale evoluzione del numero di agricoltori è sintomatica di quello che sta accadendo in agricoltura, ovvero che il reddito per unità di superficie si sta abbassando, per cui molti agricoltori sono costretti ad abbandonare la loro piccola azienda agricola, che non è più in grado di fornire un reddito adeguato. Perché? Molto semplicemente perché la dinamica dei prezzi dei prodotti agricoli non ha seguito la dinamica dei costi di produzione (ad un aumento dei costi di produzione agricoli, non ha fatto seguito un analogo aumento dei prezzi di vendita dei prodotti agricoli) e, pertanto, i redditi agricoli si sono enormemente abbassati.
http://www.istat.it/it/files/2012/12/PresentazioneGreco.pdf
Questo, ovviamente, non vuol dire nulla in termini produttivi, poiché, pur in presenza di un minor numero di agricoltori, il terreno coltivato potrebbe essere rimasto lo stesso e la produzione potrebbe essere rimasta costante. I terreni coltivabili sono sicuramente diminuiti a causa della loro utilizzazione per scopi non agricoli (aree edificabili, strade, aeroporti, ecc.). Ma tale evoluzione del numero di agricoltori è sintomatica di quello che sta accadendo in agricoltura, ovvero che il reddito per unità di superficie si sta abbassando, per cui molti agricoltori sono costretti ad abbandonare la loro piccola azienda agricola, che non è più in grado di fornire un reddito adeguato. Perché? Molto semplicemente perché la dinamica dei prezzi dei prodotti agricoli non ha seguito la dinamica dei costi di produzione (ad un aumento dei costi di produzione agricoli, non ha fatto seguito un analogo aumento dei prezzi di vendita dei prodotti agricoli) e, pertanto, i redditi agricoli si sono enormemente abbassati.
A questo punto la domanda potrebbe essere: perché i prezzi
agricoli nel nostro Paese non hanno seguito la dinamica dei costi di
produzione? Cerchiamo di dare una delle tante risposte.
Una delle tante motivazioni che
hanno determinato questa situazione, a mio parere tra le più importanti, è
sicuramente dovuta alla forte concorrenza esercitata sul mercato interno dal
prodotto di importazione, che determina un "forzato" abbassamento
dei nostri prezzi interni (prodotto nostrano e prodotto di importazione
competono sullo stesso mercato e, pertanto, i prezzi tendono a coincidere).
Prodotto di importazione che a volte proviene da Paesi che attuano forme di
dumping diverse dal dumping sul prezzo, per cui è caratterizzato da un prezzo
molto vantaggioso rispetto ai nostri prezzi interni. Prodotto di importazione
che spesso, è “forzatamente importato” dall’Italia come contropartita di altre
esportazioni italiane (soprattutto prodotti industriali). A questo riguardo
occorre ricordare che nel Commercio Internazionale vige ancora il baratto e,
pertanto, le esportazioni di un determinato prodotto verso un Paese, sono
pagate con l'importazione di altri prodotti ottenuti da questo stesso Paese.
In merito al primo punto (Dumping), è risaputo che spesso le nostre importazioni provengono da Paesi che non adottano il nostro sistema sociale/produttivo/economico. Per farla molto breve, si tratta di Paesi che non hanno le nostre regole produttive, che non hanno i nostri costi sociali, che non hanno i nostri costi burocratici, ecc. e che, pertanto, sono in grado di produrre a costi agricoli decisamente inferiori ai nostri. L’importazione di alimenti da questi Paesi a prezzi contenuti determina sicuramente una concorrenza per il prodotto nazionale ed i prezzi agricoli interni tendono ad una diminuzione. Da un punto di vista generale, occorre essere consapevoli del fatto che nel Commercio Internazionale le Bilance dei Pagamenti dei diversi Stati che vi partecipano, devono essere nel limite del possibile in pareggio (per un Paese si avrebbero problemi economici di svalutazione interna, di effetti sul tasso di cambio della moneta, ecc. sia nel caso di un forte sbilanciamento negativo, sia nel caso contrario di un forte sbilanciamento positivo). Ecco allora che l’Italia, che notoriamente produce alimenti di altissima qualità, ma che non è certo un Paese agricolo (meno del 2% del PIL), quando esporta macchinari, medicinali, autoveicoli, elettrodomestici, abbigliamento, ecc. è costretta ad accettare qualcos’altro come pagamento e questo qualcos’altro molto spesso è costituito da prodotti agricoli. Ecco allora che, in termini generali, potremmo affermare che, pur di sostenere le esportazioni di prodotti industriali e, conseguentemente, pur di sostenere la nostra industria, siamo disposti a sacrificare l’agricoltura. E' un bene o è un male?
In merito al primo punto (Dumping), è risaputo che spesso le nostre importazioni provengono da Paesi che non adottano il nostro sistema sociale/produttivo/economico. Per farla molto breve, si tratta di Paesi che non hanno le nostre regole produttive, che non hanno i nostri costi sociali, che non hanno i nostri costi burocratici, ecc. e che, pertanto, sono in grado di produrre a costi agricoli decisamente inferiori ai nostri. L’importazione di alimenti da questi Paesi a prezzi contenuti determina sicuramente una concorrenza per il prodotto nazionale ed i prezzi agricoli interni tendono ad una diminuzione. Da un punto di vista generale, occorre essere consapevoli del fatto che nel Commercio Internazionale le Bilance dei Pagamenti dei diversi Stati che vi partecipano, devono essere nel limite del possibile in pareggio (per un Paese si avrebbero problemi economici di svalutazione interna, di effetti sul tasso di cambio della moneta, ecc. sia nel caso di un forte sbilanciamento negativo, sia nel caso contrario di un forte sbilanciamento positivo). Ecco allora che l’Italia, che notoriamente produce alimenti di altissima qualità, ma che non è certo un Paese agricolo (meno del 2% del PIL), quando esporta macchinari, medicinali, autoveicoli, elettrodomestici, abbigliamento, ecc. è costretta ad accettare qualcos’altro come pagamento e questo qualcos’altro molto spesso è costituito da prodotti agricoli. Ecco allora che, in termini generali, potremmo affermare che, pur di sostenere le esportazioni di prodotti industriali e, conseguentemente, pur di sostenere la nostra industria, siamo disposti a sacrificare l’agricoltura. E' un bene o è un male?
In parole molto povere “i nostri agricoltori producono ai costi
italiani/europei e vendono ai prezzi mondiali” …….. non ce la possono fare!