Gli OGM Bt sono stati "creati" per resistere all'attacco di insetti fitofagi (resistere non significa che siano indenni, poichè qualche insetto ha un patrimonio genetico che gli consente di sopravvivere alla tossina Bt ed origina una progenie resistente). Purtroppo, però, anche le piante
transgeniche resistenti agli insetti presentano degli inconvenienti, che
hanno determinato una modificazione nelle pratiche agronomiche adottate per la
loro coltivazione. In particolare, consapevoli del fatto che con promotori di
tipo costitutivo gli insetti dopo alcune generazioni maturano una resistenza
genetica alla tossina transgenica, è stato consigliato agli agricoltori di
coltivare ogni 100 ettari di Mais BT una aliquota variabile dal 20% al 50% di
Mais convenzionale (aree
rifugio), al fine di evitare la pressione selettiva di individui
resistenti.
A cosa servono
le “Aree Rifugio”? Sono aree coltivate a mais convenzionale (fino al 50% della
superficie coltivata a mais Bt), allo scopo di evitare che soggetti di piralide
resistenti alla proteina BT localizzati nel campo di mais BT vadano a fecondare
altri soggetti resistenti, sempre localizzati nel campo di mais BT, dando così
origine ad una progenie resistente. Il giochetto è presto spiegato: se noi
accanto ad un campo di mais Bt mettiamo un campo di mais convenzionale, con
ogni probabilità nel campo di mais Bt si selezioneranno soggetti resistenti
alla tossina Bt, mentre nel campo convenzionale ci saranno soggetti non
resistenti. L’esclusiva presenza di coltivazioni di mais Bt avrebbe determinato
una forte presenza di soggetti resistenti, con creazione di progenie di insetti
resistenti. Mettendo accanto al campo di mais Bt un campo di mais
convenzionale, la formazione di progenie di soggetti di piralide resistenti alla tossina Bt è notevolmente rallentata, non evitata, in quanto soggetti resistenti
provenienti dal campo di mais Bt possono fecondarsi con soggetti non resistenti
provenienti dal campo di mais convenzionale.
Anche in questo
caso l’introduzione di piante transgeniche resistenti agli insetti, purtroppo, non ha
risolto completamente il problema e non ha semplificato la coltivazione di
queste piante. In particolare:
- molto
spesso gli agricoltori non hanno seguito il consiglio delle ditte sementiere,
per cui non hanno messo in atto la strategie delle “aree rifugio”;
- coloro
che hanno creato le “aree rifugio” hanno dovuto adottare due specifiche
tecniche di coltivazione per lo stesso prodotto, in quanto la parte coltivata
con piante convenzionali deve essere trattata in modo diverso da quella
coltivata con piante transgeniche.
In conclusione
alle considerazioni effettuate sulle piante transgeniche resistenti agli
insetti, occorre chiedersi se quello delle “aree rifugio” è un modello
produttivo adatto all’agricoltura
italiana, che, come è risaputo, è costituita da aziende di modestissima dimensione
(6-7 ettari), dove non è raro incontrare campi coltivati a mais o a soia
dell’ordine di poche decine di migliaia di metri quadrati (nella nostra agricoltura non ci sono campi di mais di migliaia di ettari, noi non facciamo i trattamenti insetticidi con gli aerei, ecc.).
C’è poi la problematica relativa alla
produzione di granella delle superfici non Bt, con particolare riferimento al
loro contenuto di micotossine. Come sarà utilizzata la granella ottenuta nelle
aree non Bt che, con ogni probabilità, sarà ricca di micotossine? Negli U.S.A. alcuni Stati hanno risolto il problema autorizzando in deroga alla Legge la commercializzazione di mais con un contenuto di micotossine superiore al limite consentito dalla Legge (Limite che già oggi è 10 volte superiore a quello consentito nei Paesi dell'Unione Europea)
http://ogmbastabugie.blogspot.it/2013/03/il-mais-bt-serve-veramente-risolvere-il.html
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