Una mela “miracolosa”, ovviamente OGM, che non annerisce a
contatto con l’aria, è l’ultimo dei miracoli
dell’industria transgenica, che ben poco può contribuire all’economia agricola italiana
(siamo, forse, il primo produttore mondiale di mele) e alla genuinità dei cibi,
da tutti auspicata. Questa mela, “Arctic Golden e Arctic Granny”, conserva un aspetto sempre croccante e lucente, anche dopo
alcune ore, forse giorni, dal momento in
cui è stata sbucciata. Questa mela, al momento attuale, è oggetto di attenzioni
da parte della FDA degli USA ed è in attesa di approvazione da parte del
Ministero federale dell’Agricoltura.
Ci serve veramente questa mela? Gli agricoltori la
adotteranno?
Alla prima domanda non siamo in grado di rispondere, poiché nessuno
è materialmente in grado di comprendere la reale portata di una innovazione.
Spesso innovazioni che a prima vista erano considerate inutili, si sono poi
rivelate di importanza “vitale” per lo sviluppo della Società.
Più semplice è rispondere alla seconda domanda, soprattutto
in un momento come questo, in cui nel nostro Paese e nei Paesi dell’UE l’80%
dei consumatori si dichiara contrario all’acquisto e al consumo di alimenti
OGM. Probabilmente solo qualche agricoltore “fortemente innovatore” e “amante
del rischio” coltiverebbe qualche pianta di questa mela (poi, nel tempo,
ovviamente se il mercato le richiede, amplierebbe le superfici). La gran parte
dei melicoltori, che ancora non hanno ammortizzato completamente i costi delle
certificazioni IGP ottenute, con ogni probabilità non coltiverà questa mela.
La mela OGM non è mais OGM, non è soia OGM, non è colza OGM.
Mais OGM, soia OGM e colza OGM sono destinati all’alimentazione animale e l’uomo
si nutre di questi OGM indirettamente, attraverso l’utilizzazione dei loro
derivati (carne, latte, uova, ecc.). Per la mela il discorso è diverso e
sarebbe il primo prodotto dopo il “pomodoro che non marcisce” (eliminato dal
mercato poiché sembra avesse un forte sapore metallico- di alluminio) ad essere
destinato ad alimentazione diretta umana. Il nostro consumatore già non si fida
degli OGM destinati all’alimentazione umana, figuriamoci se si fiderà di quelli
destinati alla sua diretta alimentazione e a quella dei suoi figli.
Ma c’è di più. Il nostro melicoltore dovrebbe abbandonare
cultivar sicure, cultivar che finora gli hanno dato grandi soddisfazioni
economiche per impiantare queste mele (costo di impianto e allevamento di 50.000
euro/ha ), che cominceranno a produrre tra 4-5 anni e che produrranno delle
mele delle quali non conosciamo le reali caratteristiche organolettiche o,
quantomeno, come queste caratteristiche saranno percepite dal consumatore
(potrebbero avere delle ottime caratteristiche organolettiche, ma solo perché OGM
potrebbero comunque essere scartate dal consumatore). Da questo punto di vista
abbiamo la “quasi certezza” che i consumatori, almeno quelli italiani, non ne
compreranno una di queste mele.
Per l’agricoltore, melicoltore, esiste poi un altro problema.
Queste mele saranno sicuramente brevettate, per cui il detentore del brevetto
attiverà sicuramente dei contratti di coltivazione simili alla “Soccida” e
adottati per l’allevamento animale. E’ ovvio che in una situazione di questo
tipo il valore aggiunto andrà nelle mani del proprietario del brevetto sulla
mela e al nostro melicoltore non rimarrà nulla, o quasi.
Per il nostro Paese si pongono poi altri problemi, come per
esempio quello di dare la possibilità a Paesi che non hanno strutture
produttive, o che non hanno capacità professionali, di poter coltivare questa
mela nel nostro Paese. Tale strategia è resa possibile dal brevetto, poiché il
Paese estero potrebbe coltivare sulla base di “contratti simil Soccida” la mela
nel nostro Paese, per poi commercializzarla nei Paesi limitrofi al nostro. E’
ovvio che questa mela farà concorrenza alle nostre mele e, questo, non è
sicuramente un vantaggio per i nostri melicoltori e per la nostra economia.
E se invece di fare la “mela che non marcisce” educassimo i
bambini, dicendo loro che la mela un pò neruccia è ugualmente buona come l’altra?