Negli
ultimi anni il mercato ha deciso che “il petrolio è più
importante del cibo!”. Qualcuno potrà pensare ad un’affermazione fatta da una
persona “scarsamente equilibrata”, poiché si può vivere senza petrolio, ma senza cibo è un po’ più difficile! Purtroppo non è così, in quanto la
produzione agricola di “biodiesel” o di “bioetanolo” è divenuta più conveniente
della produzione di frumento! In particolare, con il prezzo del petrolio che ha
toccato i 150 $ il barile, la produzione agricola di biocombustibili, grazie
anche agli incentivi pubblici, risulta economicamente più vantaggiosa della
produzione di cibo. Fortunatamente, nel momento in cui si scrive questa nota,
il prezzo del petrolio è sceso a 70-80 $ il barile, per cui la convenienza è
diminuita, ma non al punto tale da impedire un aumento delle superfici agricole
destinate alla produzione di biocombustibili. Sempre più spesso terreni
agricoli di elevata fertilità vengono destinati alla produzione di biomasse,
sempre più spesso imprese finanziarie che investono capitali laddove maggiore è
la loro remunerazione affittano o acquistano terreni per avviare produzioni energetiche
di origine agricola.
In termini generali potremmo indicare
come biocombustibili tutte quelle sostanze di origine organica (vegetale o
animale) in grado di produrre energia. Rientrano tra i biocombustibili i biocarburanti,
costituiti principalmente da olio vegetale/biodiesel e bioetanolo specificamente
utilizzati per l'alimentazione dei motori a combustione interna, e le biomasse,
siano esse di origine erbacea o arborea, utilizzate a scopi energetici per la
produzione di calore e/o di energia elettrica.
La
legna da ardere è un classico esempio di biocombustibile, per cui potremmo
affermare che da sempre l’uomo utilizza biocombustibili per scopi energetici. Perché,
allora, l’argomento è divenuto di estrema attualità? Il motivo è da ricercare
nel fatto che a differenza di quanto avveniva in epoche passate, dove il
biocombustibile derivava principalmente dagli scarti delle produzioni agricole (scarti
di lavorazione del legno, sarmenti, ecc.) e/o da specifiche produzioni ottenute
in territori marginali che non erano in grado di produrre cibo (per esempio il
bosco ceduo attuato in terreni a forte pendenza), oggigiorno la produzione di
biocombustibili deriva dalla coltivazione di terreni di elevata qualità
agronomica (“terreni fertili”), che vengono normalmente sottratti alla
produzione di cibo.
Da un punto di vista etico, pensare che qualcuno sul
nostro pianeta utilizzi la
Terra Fertile per alimentare le macchine utensili e/o le
automobili piuttosto dell’uomo, è sicuramente un affronto nei confronti di chi
quotidianamente soffre il problema della fame. Sono ormai una realtà
consolidata stufe per il riscaldamento che funzionano a granella di mais, oppure
motori a combustione interna per la produzione di elettricità che funzionano ad
olio vegetale, oppure, ancora, caldaie per il riscaldamento di edifici e motori
per automobili che funzionano a biodiesel o a bioetanolo.
In molti Paesi la
produzione di biocombustibili è una realtà! Non solo negli U.S.A. o in Brasile
dove le automobili alimentate ad alcool sono una realtà da decenni, ma anche da
noi! In particolare, nei Paesi dell’UE sono state emanate Direttive che fissano obiettivi
indicativi per la sostituzione dei carburanti convenzionali (diesel e benzina)
con i biocarburanti derivanti da colture agricole (biodiesel e bioetanolo) e
fornisce un inquadramento giuridico per le misure fiscali ed altri
provvedimenti di carattere nazionale destinati alla promozione di questi
combustibili. In particolare, ne viene incentivata la coltivazione con un contributo
specifico per ettaro dell’ordine di 45,00 Euro.
Nei Paesi dell’Unione
Europea le coltivazioni agricole di maggiore interesse per la produzione di
biocombustibili si sono rilevate le colture alcoligene ed oleiche per la
produzione di biocarburanti liquidi per autotrazione e le colture da fibra per
la produzione di biomassa che può essere utilizzata tal quale, oppure può
subire la trasformazione in gas (singas o gas di sintesi da utilizzare poi per
la produzione di elettricità e calore). Sinteticamente, le coltivazioni
agricole destinate alla produzione di biocombustibili possono essere
classificare in:
• colture alcoligene, amidacee e zuccherine (canna da zucchero, cereali,
sorgo zuccherino, barbabietola da zucchero, topinambur, ecc.) per la produzione
di etanolo, da impiegarsi come combustibile oppure per la produzione di
additivi per combustibili;
• colture oleaginose (girasole, colza, soia, ecc.) per la produzione di biodiesel;
• colture erbacee ad alta efficienza fotosintetica (sorgo da fibra, Miscanto, Arundo
donax ed altre canne, ecc.);
• colture arboree a breve rotazione (robinia, salice,
pioppo, ginestra, eucalipto, ecc.).
Al momento non sussistono difficoltà di ordine tecnologico
per la produzione e l’utilizzazione di biocombustibili, ma solo difficoltà di
ordine economico/fiscale, legate al minor costo di mercato del combustibile
fossile rispetto a quello ottenuto dalla filiera agricola (ancora per poco se
l’incremento di prezzo del petrolio continuerà con la tendenza attuale). In
particolare, in termini generali, sarebbe possibile la completa sostituzione
del carburante fossile con bioetanolo o biodiesel; il primo ottenuto da
specifiche coltivazioni di canna da zucchero, di mais o di sorgo zuccherino,
mentre il secondo potrebbe essere ottenuto dall’esterificazione degli oli di
soia, di colza o di girasole. Anche il gas proveniente da giacimenti fossili
potrebbe essere in parte sostituito dal singas (gas di sintesi) proveniente
dalla pirolisi di specifiche produzioni agricole.
I sostenitori dei biocombustibili affermano che essi presentano
dei vantaggi rispetto a quelli di origine fossile. In particolare, si possono
produrre facilmente nei Paesi europei, favoriscono la diversificazione delle
fonti e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, contribuiscono al
rispetto degli impegni assunti dall’Europa in materia di cambiamenti climatici
(Protocollo di Kyoto, 1997), data la loro origine non fossile sono meno nocivi per
l’ambiente, in quanto l’anidride carbonica emessa durante il processo di
combustione è uguale a quella assorbita durante il processo di produzione
agricola. Relativamente a quest’ultimo aspetto, però, taluni studiosi affermano
che il bilancio energetico complessivo sarebbe negativo, in quanto occorrerebbe
considerare anche l’energia consumata durante il processo di produzione agricola.
In particolare, secondo taluni autori l’energia consumata durante il processo
di produzione agricola (lavorazioni meccaniche, concimazioni, trattamenti
antiparassitari, irrigazioni, raccolta, trasporto, ecc.) assorbirebbe una
quantità di energia superiore a quella incamerata dal processo fotosintetico e
utilizzata durante il processo di sfruttamento energetico. Si consideri poi che l'utilizzazione dei
biocombustibili è concentrata nelle aree ad alta densità abitativa, per cui
permangono i problemi di inquinamento determinati dalla produzione di anidride
carbonica.
Occorre poi considerare che il costo del combustibile di
origine agricola non tiene conto delle esternalità che inevitabilmente essi
producono. Tra queste le più importanti sono riferite a:
• inquinamento e sfruttamento del suolo (risorsa non rinnovabile) durante
la coltivazione della materia prima da trasformare;
• inquinamento prodotto dai rifiuti ottenuti durante il processo di
trasformazione. Per esempio, il processo di esterificazione necessario per la
trasformazione dell’olio di semi in biodiesel è caratterizzato da una forte
produzione di glicerina;
• non ultimo per importanza, la forte sottrazione di terreno agricolo che
in precedenza era destinato alla produzione di alimenti. Si tenga presente che
nel nostro Paese per sopperire al 5,75% del consumo di biocombustibili
programmato dall’Unione Europea, occorrerebbe investire a coltivazioni
energetiche dal 25% al 30% dell’attuale Superficie Agricola. In relazione al
fatto che sarà impossibile destinare questa parte del territorio agricolo a
coltivazioni energetiche, al fine di soddisfare i programmi dell’Unione
Europea, sarà inevitabile l’importazione di olio di palma dai Paesi Meno
Avanzati, con aggravamento quindi delle problematiche di deforestazione del
territorio e di concorrenza in termini di prezzo dei biocombustibili con le derrate alimentari
prodotte in quegli stessi Paesi. Di fatto, numerosi Paesi Meno Avanzati hanno
riconvertito territori che un tempo erano destinati alla foresta o alla
produzione di alimenti, in terreni agricoli destinati alla coltivazione di
palma da olio (Indonesia 16,5 milioni di ettari, Malesia 6 milioni di ettari,
Sumatra e Borneo 4 milioni di ettari. Per operare un confronto e per rendersi
conto dell’entità del fenomeno si tenga presente che la superficie dell’Italia
è di 30 di milioni di ettari), che, con ogni probabilità, sarà destinato a
scopi energetici. Per questi Paesi, nei quali vi è anche una certa carenza di
cibo, la produzione di biocombustibili risulterà in competizione con la
produzione di alimenti. Pertanto, inevitabilmente, la produzione di
biocombustibili contribuirà ad un
aggravamento delle crisi alimentari in atto, dovute principalmente ad una diminuzione dell’offerta locale di cibo,
con conseguente aumento dei relativi prezzi.
È piuttosto evidente che al prezzo attuale del petrolio, e
fino a quando le imposte sui biocarburanti saranno le stesse di quelle dei carburanti
fossili, difficilmente nel nostro Paese potrà avviarsi la produzione e la commercializzazione
di biocombustibili su larga scala. Diverso è il discorso relativo alla
coltivazione di biomasse per la produzione di energia elettrica, che già oggi,
grazie ai “certificati verdi”, garantisce saggi di redditività dei capitali
investiti di un certo interesse.
Ma il prezzo del petrolio, inevitabilmente, tenderà a
salire, per cui prima o poi si toccherà il punto di pareggio e sarà pertanto
conveniente utilizzare biocarburanti agricoli in sostituzione di quelli
fossili. Se sarà questa la prospettiva, occorrerà considerare che una buona
parte dei terreni agricoli sarà sottratta alla produzione di alimenti e siccome
occorre mangiare per vivere, in quanto il bioetanolo o il biodiesel non è un
buon nutriente, occorrerà considerare che nei rimanenti terreni vi sarà una
intensificazione dei processi produttivi agricoli (maggior impiego di concimi,
di fitofarmaci, di acqua di irrigazione, ecc.), al fine di mantenere la
produzione quantitativa di cibo ad un certo livello. Tale incremento nell’uso
di fattori produttivi esterni all’agricoltura, sarà incentivato anche
dall’inevitabile aumento del prezzo del cibo, in quanto la “distrazione” dei
terreni agricoli ad altre utilizzazioni determinerà una diminuzione della loro
offerta sul mercato. In questo contesto diverrà poi sempre più importante il
discorso relativo alle caratteristiche qualitative del cibo, in quanto di
solito l’intensificazione dei processi produttivi avviene attraverso una
maggior utilizzazione di sostanze chimiche, siano esse fertilizzanti e/o
antiparassitari.
In conclusione si può affermare che sempre più spesso le
funzioni dell’agricoltura, che dovrebbero essere concentrate nella produzione
di cibo in quantità adeguata e con elevati standard qualitativi, subiscono
radicali modificazioni nel tempo. In particolare, un tempo l’agricoltore era
chiamato a produrre “alimenti”. Oggigiorno l’agricoltore produce prevalentemente “materie prime” che saranno poi utilizzate
dall’industria che realizzerà valore aggiunto dalla successiva produzione di
alimenti e/o di energia (gli allevamenti sono senza terra e utilizzano mangimi
complessi di origine agricola, gli alimenti semplici non esistono quasi più e
sono frutto della preparazione industriale, la coltivazione di biocombustibili
è in espansione). E’ ovvio che in questa situazione il settore agricolo non può
pretendere di acquisire dalla propria attività le stesse remunerazioni che
riusciva ad ottenere quando produceva alimenti e non materie prime.
A questo punto occorre interrogarsi sulle strategie di
sviluppo della nostra società, troppo spesso legate ad una utilizzazione delle
risorse finalizzata solo ed esclusivamente alla massimizzazione del profitto. In
particolare, non è possibile accettare che possa crearsi una contrapposizione
tra la “nutrizione umana” e la “nutrizione delle automobili”! Se
contrapposizione si verificherà, ancora una volta il mercato dovrà tener conto
di questo aumento della domanda di materie prime agricole, con un inevitabile
aumento del prezzo delle derrate agro-alimentari. Soprattutto in un momento in cui
secondo i dati della FAO 1 miliardo di persone nel mondo soffre la fame, ed in
un momento in cui l’aumento generalizzato dei prezzi delle derrate alimentari
ha determinato in alcuni Paesi la
“Guerra del pane” creando nuovi poveri, non è possibile accettare che ancora
una volta la parte più ricca del pianeta metta in atto strategie produttive che
sono in competizione con le esigenze di garantire un’esistenza dignitosa ad una
buona parte della popolazione del Globo. E’ necessario un cambiamento di
mentalità e di priorità, al fine di comprendere ed intraprendere le strategie
realmente sostenibili ed al fine di maturare una nuova consapevolezza nei
confronti delle altre popolazioni che con noi condividono il Pianeta, che hanno
esigenze minime: vivere e non sopravvivere!