Gli OGM contribuiranno al mantenimento dell’attività agricole
in aree meno dotate da un punto di vista delle capacità produttive dei terreni,
le cosiddette aree marginali?
Trattasi di una
problematica di estrema rilevanza, in quanto da sempre l’agricoltura svolge un
ruolo di rilievo per la nostra società. Da un lato essa è fonte rinnovabile di
beni di consumo, siano essi alimentari e non, dall'altro costituisce l'unica
attività che consente di "presidiare" costantemente il territorio,
impedendo fenomeni di dissesto idrogeologico e fenomeni legati al degrado
dell'ambiente antropizzato. In particolare, in un'ottica di sviluppo
sostenibile le principali attività che l'agricoltura, e l'agricoltore, deve
assicurare alla collettività possono essere riassunte nelle seguenti:
-
produzione di derrate agricole;
-
fornitura di materie prime per altri
settori economici;
-
presidio del territorio;
-
manutenzione del territorio;
-
tutela della flora e della fauna;
-
conservazione della biodiversità;
-
riciclo degli effetti ambientali
negativi prodotti da altre attività produttive o di consumo sul territorio
(assestamento del territorio, immobilizzazione dell'anidride carbonica, ecc.);
- conservazione
del paesaggio e del territorio rurale;
- conservazione
di elementi culturali tradizionali;
- conservazione
di tecniche di trasformazione e di pratiche gastronomiche tradizionali.
Pertanto, la
nostra società ha bisogno della presenza dell’agricoltura e dell’agricoltore
sul territorio rurale e dovrà adottare politiche agrarie in grado di proteggere
il suo reddito, al fine di consentire la permanenza di questa attività anche in
aree marginali (di collina, di montagna), che non possono certo competere sulla
base dei bassi costi di produzione, ma che possono essere competitive solo
sulla base di presupposti di qualità dei prodotti che offrono sul mercato.Dalle suddette considerazioni si evince
che l'aspetto produttivo rappresenta solo una parte delle finalità a cui
l'agricoltura deve rispondere, per cui prima di introdurre nel nostro Paese la
coltivazione di OGM occorrerà verificare l'impatto che questa tecnologia potrà avere
su questo settore economico. In particolare, alcuni dubbi sorgono in merito al
mantenimento della sua competitività sul mercato internazionale. L'agricoltura
italiana si caratterizza per la presenza di aziende agricole di modeste
dimensioni, che spesso non possono certo permettersi l'acquisto di macchinari
specifici per una determinata coltura, per un costo dei fattori produttivi molto
elevato (terra e manodopera soprattutto) e per limitazioni di carattere
ambientale in merito all'utilizzazione di determinati fattori della produzione
(concimi, antiparassitari, ecc.). Come potrà competere la nostra agricoltura,
anche se saranno introdotte le piante transgeniche, con l'agricoltura americana
o argentina, dove aziende agricole di migliaia di ettari sono alla continua
ricerca dell'automazione del processo produttivo (e le piante transgeniche
costituiscono il primo passo per ottenerla)? Come potrà farlo, se consideriamo
che il processo produttivo sarà controllato dai satelliti e dove l'intervento
dell'uomo sarà quasi nullo? Trattasi di un problema reale che potrebbe
contribuire alla scomparsa dell'agricoltura dai territori marginali, alimentando
fortemente tutte quelle problematiche connesse alla conservazione ed alla
tutela del territorio. E' senza dubbio un argomento che rappresenta una delle
frontiere più interessanti e nello stesso tempo più inquietanti della vita
contemporanea, uno dei campi in cui scienza, ricerca, tecnologia ed etica si
intrecciano, dando vita a problematiche, spesso sconosciute, che con ogni
probabilità si ripercuoteranno a lungo sullo sviluppo della nostra società e su
quello delle generazioni future. In particolare, si tratta di una tecnologia
fortemente innovativa, che rende le piante simili a laboratori in grado di
produrre di tutto ovunque. Con le moderne biotecnologie sarà
"finalmente" possibile indurre nelle piante la resistenza al freddo,
in modo tale da poter coltivare piante tipicamente mediterranee (agrumi, olivo,
vite, ecc.) in ogni parte del pianeta; sarà possibile introdurre resistenza a
fattori pedoclimatici avversi (acidità, contenuto di calcare, contenuto di
sodio, ecc.) rendendo possibile l'ampliamento delle aree di produzione di
qualsiasi pianta; sarà possibile "generare" piante che per fiorire
hanno un ridotto fabbisogno di freddo invernale, per cui sarà possibile
produrre mele e pere tipiche delle aree settentrionali anche nelle regioni meridionali
della penisola; sarà possibile far produrre a piante erbacee annuali le
sostanze che attualmente otteniamo dopo anni di allevamento da piante arboree
(per esempio sembra che sia possibile ottenere olio di colza uguale a quello
ottenuto dalla spremitura delle olive), e gli esempi potrebbero continuare
ancora. E' fuori da ogni dubbio il fatto che le potenzialità di questa nuova
tecnologia siano enormi e di portata tale da poter affermare che difficilmente
sarà possibile operare una obiettiva e rispondente previsione degli effetti che
essa potrà avere sul settore agricolo (con particolare riferimento all'azienda
agricola) e, conseguentemente, sul territorio rurale, del quale l'azienda
agricola è sicuramente soggetto predominante.La possibilità di ottenere "nuovi individui"
appositamente progettati e realizzati per poter resistere a condizioni
pedoclimatiche avverse pone il problema dell'eventuale spostamento delle
produzioni da quelle che attualmente sono le tradizionali aree di coltivazione
e/o di allevamento, con conseguente aggravamento delle problematiche legate al
presidio e alla conservazione del territorio rurale. Tale nuova localizzazione
potrebbe avvenire sia allo scopo, più che legittimo, di aumentare il grado di
autoapprovvigionamento alimentare di una determinata regione, sia, meno
legittimamente, per incentivare la produzione in aree dove è possibile reperire
a più basso costo i fattori produttivi necessari ad ottenerla per poi esportare
i prodotti ottenuti sui mercati di consumo. In quest'ultimo caso, oltre ai
problemi legati alla disoccupazione e all'esodo rurale che si verificherebbe
nei territori in cui quella particolare attività viene abbandonata,
inevitabilmente, un aumento dell'impatto ambientale provocato dalle operazioni
di condizionamento, trasporto e ridistribuzione, necessarie per far giungere i
prodotti dai luoghi di produzione ai mercati di collocamento. In questa
situazione verrebbero meno anche gli elementi legati alla "tipicità"
delle produzioni agricole, intendendo con questo termine il legame esistente
tra tipologia del materiale di propagazione, tecnica di produzione e luogo di
produzione. In particolare, con l'introduzione di organismi geneticamente
modificati sarà possibile superare il limite naturale che ostacola la
diffusione di determinate produzioni in ambiti a loro ostili (è il caso per
esempio di gran parte delle produzioni ortofrutticole mediterranee), poichè
mediante l'"ingegneria genetica" sarà possibile introdurre geni in
grado di conferire alla pianta una specifica resistenza a fattori pedoclimatici
avversi. Queste ultime affermazioni pongono problematiche decisamente rilevanti
per i Paesi che si affacciano sul mediterraneo:
-
cosa ne sarà degli agricoltori che attualmente ricavano un reddito da queste
coltivazioni, una volta che sarà possibile ottenerle anche in altre aree del
pianeta? -
cosa ne sarà del paesaggio rurale tipico di determinati territori, allorchè la
diminuita domanda di questi prodotti determinerà il loro abbandono da parte
degli agricoltori?- cosa ne sarà degli elementi di cultura
tradizionali legati a determinate produzioni tipiche?- cosa ne sarà delle tradizionali
filiere legate alle produzioni agricole localizzate nell’area mediterranea
(trasformazione e commercializzazione in primis)?
- quali interventi occorrerà mettere in
atto per contrastare l'abbandono di queste coltivazioni, in relazione alla
funzione paesaggistica e di contenimento del dissesto idrogeologico da esse
determinato?
A decretare la perdita di competitività delle produzioni agricole attuate
in aree marginali sarà poi l’inevitabile diminuzione dei prezzi delle materie
prime agricole, in relazione all’abbattimento dei costi di produzione generati
dagli individui biotecnologici. Infatti, in questo settore economico, al
contrario di quanto avviene in quello industriale che opera per la gran parte
in condizioni di oligopolio, si è in presenza di un'offerta decisamente
atomistica. In questa situazione l'agricoltore non è in grado di controllare il
prezzo dei suoi prodotti. E’ forse inutile far osservare che i maggiori danni
saranno subiti dalle aziende agricole ubicate in aree marginali, che dovranno
continuare ad operare in un mercato in cui troveranno produzioni OGM ottenute
in aree molto produttive ed offerte ad un prezzo sempre più basso. Queste
aziende, non più remunerative per il mercato, saranno con ogni probabilità
abbandonate con tutte le conseguenze di ne potranno derivare in termini di
conservazione dell’assetto idrogeologico, di tutela del paesaggio, di presidio
del territorio, ecc.
L’inevitabile contrazione dei prezzi indotta dall’utilizzazione di OGM può
determinare anche una diminuzione del
reddito reale dell’agricoltore, in quanto i prezzi dei prodotti non
agricoli che egli acquista sul mercato rimarranno, nella migliore delle
ipotesi, costanti (se il prezzo del grano diminuisce, occorrono più quintali di
grano per acquistare un’automobile, un televisore, un abito, ecc.).
Addirittura, per la legge di Engel, vi è la possibilità che, in relazione ad un
aumento del reddito reale del consumatore, favorito dalla diminuzione del
prezzo dei prodotti agricolo-alimentari (se diminuisce il prezzo degli
alimenti, a parità di reddito il consumatore può acquistare una maggior
quantità di altri beni), si verifichi un aumento della domanda di beni non
agricoli, con conseguente aumento del loro prezzo e conseguente ulteriore
diminuzione del reddito reale dell'agricoltore. Ecco, allora, che in questa
situazione l’agricoltore si sentirà “più povero”, in quanto sarà costretto a
produrre di più (anche attraverso un maggior sfruttamento delle risorse
naturali) per poter mantenere il precedente livello di benessere, in pratica,
per mantenere lo stesso livello di potere d’acquisto. Del resto le moderne
biotecnologie in agricoltura incrementando
la produttività e, soprattutto, la
produzione agricola, tendono
a ridurre i
prezzi e a
mettere in moto
un processo di
"macina
tecnologica" che porta,
tra l'altro, all'espulsione dal
mercato di una parte di agricoltori
che, nel caso in cui le
condizioni del mercato del lavoro
extra-agricolo lo rendano possibile,
si spostano su occupazioni extra-agricole a più alta remunerazione.
Ecco allora che possono venir meno le condizioni che
attualmente consentono la permanenza delle aziende agricole anche in territori
marginali, dove a fatica l’agricoltore riesce ancora a ricavare un certo
reddito dall’attività di coltivazione delle piante e di allevamento degli
animali. Cosa ne sarà dell’agricoltura attuata in territori marginali che vedranno
diminuire i prezzi dei prodotti agricoli, prezzi che già ora, in molti casi,
non sono in grado di fornire un pieno reddito all’agricoltore? La risposta è
semplice: con ogni probabilità questi territori saranno abbandonati, con
amplificazione dei problemi connessi all’esodo rurale delle famiglie contadine
ed al dissesto idrogeologico del territorio. La stessa domanda si può porre in
altri termni con conclusioni non dissimili: che cosa ne sarà
dei fattori della produzione liberati dall'adozione degli individui biotecnologici? Essi,
con ogni probabilità, potranno
avere due destinazioni:
- potranno essere
impiegati in altri settori economici (industriale o terziario) nel caso in cui
ve ne sia la necessità;
- potranno continuare ad
essere impiegati nell'azienda agricola,
nel caso in cui, al contrario della situazione precedente, non vi sia
richiesta di tali fattori in altri settori economici.Nel primo caso si avrebbe un aumento
dell'esodo rurale, con aumento quindi delle problematiche relative al presidio
ed alla manutenzione del
territorio. Nel secondo caso si
assisterebbe ad un aumento dell'offerta di
questi fattori della
produzione, con conseguente abbassamento delle relative
remunerazioni e creazione di aziende agricole extramarginali; aziende
che con
la loro attività non
sono più in
grado di remunerare adeguatamente i fattori della produzione
(in esubero) impiegati.
Il minor reddito per il produttore
agricolo delle aree marginali è anche conseguenza del fatto che gli OGM sono
sostanzialmente disattivanti nei confronti dei fattori della produzione che
egli apporta direttamente (manodopera soprattutto) e richiedono, nello stesso
tempo, un maggior apporto di fattori esterni all’azienda agricola, fattori
produttivi di origine industriale (sementi che offrono dei vantaggi ma che
costano di più e fattori produttivi in grado di far produrre le stesse
sementi), che l’agricoltore è costretto ad acquistare sul mercato. Questa
situazione è particolarmente dannosa per le aziende agricole di modeste
dimensioni come quelle italiane, nelle quali il lavoro manuale rappresenta
ancora una componente importante del reddito netto derivante dall’attività
agricola. Una politica di
questo tipo, operata soprattutto dall'industria produttrice
dei mezzi tecnici per l'agricoltura, è
nota come politica di
"appropriazionismo", mediante
la quale viene perseguita una strategia che mira ad aumentare
il grado di industrializzazione del processo
produttivo agricolo tramite l'espropriazione di
attività tradizionalmente svolte all'interno dell'azienda agricola e la loro sostituzione
con input di origine industriale. Anche in
questo caso si assisterebbe
ad una perdita di importanza del settore
agricolo, che vedrebbe diminuire il fabbisogno
di manodopera, per lo più di tipo familiare, necessario per portare a termine le produzioni, con
conseguente aumento delle
problematiche relative all'esodo rurale, all’occupazione ed al presidio ed alla conservazione del territorio. A questo proposito possiamo
affermare che, soprattutto per le coltivazioni erbacee annuali, la semente
biotecnologica potrebbe rappresentare il primo passo per consentire la completa
automazione del processo produttivo agricolo (piante autosufficienti, resistenti
a tutti i tipi di malattie e che crescono ovunque), un processo produttivo che
sarà controllato dai satelliti, che non
avrà più bisogno dell’agricoltore o, per lo meno, ne avrà bisogno in modo molto
limitato. E’ in questo contesto, ovvero in un contesto in cui il reddito da
capitale prevarrà sul reddito fornito dagli altri fattori produttivi (terra e
lavoro che molto spesso sono di proprietà dello stesso imprenditore agricolo),
che si creano i presupposti per il passaggio del controllo del territorio
rurale dall’agricoltore, che non riesce più a ricavare un reddito adeguato
dall’attività agricola poiché i fattori della produzione di cui dispone non
sono più necessari e quindi non sono più remunerati, ad individui estranei
all’attività agricola, che con i propri capitali, o con i capitali di terzi,
saranno in grado di subentrare non soltanto nell’attività di coltivazione, ma
anche nella proprietà delle aziende agricole.
Tale situazione, inevitabilmente, darà origine a gravi problemi di
sostenibilità del territorio rurale, in quanto le tecniche di produzione che
questi “nuovi agricoltori” adotteranno saranno sicuramente indirizzate alla
massimizzazione del reddito da capitale da loro stessi fornito.
Con l'introduzione di individui geneticamente modificati
l'agricoltore potrebbe perdere
parte delle funzioni imprenditoriali, poichè verrà ad assumere sempre più importanza il
settore industriale, quale fornitore del
materiale di propagazione (semente
transgenica resistente ad un determinato diserbante) e dei mezzi tecnici
necessari per portare a
termine il processo produttivo (diserbante complementare alla
semente transgenica), nonchè quale
utilizzatore del prodotto agricolo ottenuto. In
particolare, sarà sempre più possibile modificare il
pacchetto di informazioni
genetiche che controllano
la crescita delle
piante e le loro
reazioni nei riguardi
dell'ambiente. I programmi
di riproduzione renderanno
l'agricoltura sempre più
indipendente dall'ambiente naturale. Il raccolto
agricolo non sarà più determinato fondamentalmente dalle specifiche condizioni
naturali (natura del suolo,
clima, ecc.) ma dall'ammontare delle conoscenze scientifiche e tecnologiche che sono incorporate nei prodotti di base (sementi, metodi di difesa), destinati a
determinare dove, come e
quando l'agricoltore deve
seminare, raccogliere e quali cure deve dedicare alle sue colture.A proposito delle precedenti
affermazioni, occorre
rilevare che l'introduzione di individui
geneticamente modificati potrebbe comportare anche una diminuzione
dell'importanza di questo settore economico in
relazione alle strategie di
"sostituzionismo" messe
in atto dal settore
industriale legato alla
trasformazione dei prodotti agricoli. In
particolare, la possibilità
recentemente offerta dalle biotecnologie
avanzate di intervenire
sulla base organica del
processo produttivo agricolo,
manipolandola e
controllandola, consente per la prima
volta di rimuovere l'ostacolo che
ha finora impedito la
completa industrializzazione del processo
produttivo agricolo e la produzione
industriale di materia organica,
in tal modo permettendo
l'unificazione delle varie fasi di produzione di prodotti alimentari in un unico processo produttivo di tipo industriale. Questa
opportunità è resa possibile dallo
sviluppo di organismi
fortemente specializzati nella
produzione di materie
prime di base (vitamine,
carboidrati, grassi, ecc.).
Tali sostanze potranno poi
essere utilizzate dall'industria
per produrre beni alimentari e
non.
Per lo
"sviluppo sostenibile" della nostra agricoltura occorrerà poi
rivedere le norme relative alla brevettabilità
dei prodotti transgenici, in quanto non è possibile accettare che colui che
ha inserito un gene in una pianta acquisisca il “monopolio di fatto” su quella
pianta, impedendone, così, la libera coltivazione.
Qualcuno potrebbe affermare che i precedentI scenari sono in
contrasto con quello che è accaduto in alcuni Paesi (U.S.A., Canada,
Argentina), nei quali, a “testimonianza
del gradimento degli agricoltori”, si è avuto un forte incremento delle
superfici destinate alla coltivazione di piante transgeniche. A tal riguardo
occorre osservare che l’incremento delle superfici si è avuto solo nei Paesi in
cui si è in presenza di un’unica filiera di distribuzione per il medesimo
prodotto, sia esso transgenico o non
transgenico. In presenza di un’unica filiera, e con prezzi flettenti dei
prodotti così come si è verificato per la soia e per il mais transgenici, è
ovvio che se l’agricoltore vuole conservare un certo margine di redditività
dall’attività di coltivazione, sarà “costretto”, anche suo malgrado, a seminare
le cultivar caratterizzate dal minor costo di produzione (ovvero quelle
transgeniche). Ecco allora che l’incremento delle superfici coltivate è dovuto,
non tanto ad un gradimento dell’agricoltore nei confronti di queste piante, ma
alla necessità da parte dello stesso di mantenere un certo margine di
redditività dall’attività agricola (è ovvio che se il prezzo del mais
transgenico è uguale a quello del mais convenzionale, egli coltiverà quello
caratterizzato dal minor costo di produzione, ovvero quello transgenico).
A
questo punto, e sulla base delle considerazioni precedenti,
occorre valutare attentamente se
l’introduzione di OGM in agricoltura
risponde a presupposti di "sviluppo sostenibile", sia da un
punto di vista dei "reali
vantaggi" ottenibili
dall'attuale società e dalle generazioni
future, sia da un punto di vista dei
"reali vantaggi" ottenibili dal
settore agricolo.
Occorre
rilevare poi che in un
futuro ormai prossimo, le nostre produzioni dovranno confrontarsi con quelle
provenienti da Paesi caratterizzati da costi di produzione decisamente
inferiori ai nostri, da Paesi che non hanno limitazioni nell’utilizzazione di
determinati prodotti chimici, siano essi concimi e/o antiparassitari, da Paesi
nei quali il lavoro minorile non è tutelato o è, addirittura, incentivato e/o
sfruttato, da Paesi che non saranno in grado di garantire il materiale genetico
da cui deriva la produzione e l’elenco potrebbe continuare ancora. Ecco allora
che nei prossimi anni i problemi per l’agricoltura nazionale deriveranno con
ogni probabilità anche dalla globalizzazione dei mercati e dalla conseguente
realizzazione di un grande mercato mondiale dei prodotti alimentari, un mercato
dove con ogni probabilità l’imperativo sarà produrre di più (non importa con
quale tecnica e/o con quale materiale genetico) ai più bassi costi possibili,
per poi vendere i prodotti ottenuti laddove ci sono i soldi per acquistarlo.
In un contesto come quello delineato
occorre chiedersi: ma i bassi costi e la globalizzazione dei mercati si
conciliano con la qualità della produzione da tutti auspicata? Si adattano alla
necessità di assicurare un reddito anche agli agricoltori delle aree
“svantaggiate” da un punto di vista dei costi di produzione? Si conciliano con
lo sviluppo sostenibile del territorio? Riescono a preservare l’identità
culturale, economica, sociale e professionale di un territorio?
E’ a queste domande che occorre fornire una risposta, al fine
di verificare se nel lungo periodo gli OT e il conseguente processo di
globalizzazione dei mercati rappresenti per il territorio rurale del nostro
Paese un’opportunità o, al contrario, una strada pericolosa, che potrebbe
determinare effetti dannosi per il benessere della nostra società e per quello
delle generazioni future.
Pertanto, le problematiche relative all'introduzione di
coltivazioni transgeniche di prima generazione sono notevoli e di portata tale
da non giustificare una decisione affrettata. In particolare, come per le altre
innovazioni tecnologiche, la loro
applicazione può essere buona, mediocre o, addirittura, cattiva. Per il
momento, le moderne biotecnologie hanno riguardato solo ed esclusivamente
applicazioni finalizzate all'automazione del processo produttivo agricolo.
Certamente la nostra agricoltura da sempre basata su presupposti di tipicità e
di qualità non ha bisogno dell'attuale biotecnologia, che per essere
considerata sostenibile dovrebbe avere possibilità applicative decisamente migliori.
Occorrerà poi valutare attentamente se
questi "nuovi alimenti" rispondono ad una reale esigenza
del consumatore. Soprattutto nell'attuale momento in cui quest'ultimo tende
a privilegiare la tipicità, la salubrità e, più in generale, la naturalezza dei
prodotti alimentari (il forte aumento del consumo di produzioni biologiche ne è
una conferma), si può affermare che il loro sviluppo è sicuramente
controtendenza. Una controtendenza che andrà valutata attentamente, al fine di
non impiegare risorse e capacità umane nello sviluppo di produzioni delle
quali, per il momento, non abbiamo una reale necessità.
In definitiva, compito dell’attuale
generazione, se veramente crede che questa tecnologia possa essere determinante
per lo sviluppo sostenibile, è quello di fugare ogni dubbio
applicativo, in ossequio al principio di precauzione, demandandone
l’applicazione in campo aperto alle future generazioni.