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mercoledì 9 gennaio 2013

Con la coesistenza gli OGM scacceranno il convenzionale


Nel caso di coesistenza gli attuali OGM, che hanno il transgene nucleare che si esprime in ogni parte della pianta (nelle foglie, nelle radici e anche nel polline), creano “inquinamento genetico" e determinano incertezza produttiva per coloro che non li vogliono coltivare, siano essi coltivatori convenzionali o biologici. Soprattutto nel caso di "Rapporti di integrazione verticale" con l'industria (produzione di "mais bianco" o di "mais 8 file" o di "mais da pop corn"), sarà impossibile per l'agricoltore convenzionale sottoscrivere contratti di conferimento della merce, poichè egli non avrà nessuna certezza in merito alle caratteristiche finali del prodotto ottenuto (il raccolto avrà più o meno dello 0,9% di OGM?). In questa situazione di incertezza, il coltivatore convenzionale nel tempo sarà portato a sostituire le coltivazioni convenzionali con quelle OGM, poichè non potrà continuare a coltivare ai costi del convenzionale/biologico per poi vendere ai prezzi (più bassi) del transgenico.

Una sentenza della Corte di giustizia europea riconosce alla Pioneer il diritto di distribuire per la semina mais OGM in Italia. Secondo il tribunale con sede a Lussemburgo, l'ingresso nel Paese di varietà già ammesse a livello comunitario non può essere bloccato da Leggi statali o regionali. Tale sentenza, implicitamente, ammette la possibilità di coesistenza tra coltivazioni convenzionali/biologiche e coltivazioni transgeniche.
A questo punto una domanda è lecita: è possibile nel nostro Paese la coesistenza tra coltivazioni agricole convenzionali (comprese quelle biologiche) e transgeniche? Allo stato attuale delle cose, in relazione alle caratteristiche del materiale transgenico disponibile, che presenta transgeni inseriti nel nucleo della cellula e che, pertanto, si esprimono in ogni parte della pianta (foglie, radici, polline, ecc.), la risposta è negativa, in quanto le piante transgeniche originano inquinamento genetico. Ecco allora che, nel caso di coesistenza, il settore produttivo che non intende ottenere prodotto transgenico, soprattutto nel caso di accordi contrattuali con gli utilizzatori finali (produzione di "mais bianco" per polenta, di "mais 8 file" per polenta, mais da "pop corn", ecc.), dovrà mettere a punto adeguate strategie di contenimento dell’inquinamento genetico, al fine di poter avere “certezze”, che non avrà mai, in merito alle caratteristiche qualitative del prodotto finale ottenuto.
E’ ovvio che queste strategie hanno un costo, per cui la coesistenza tra coltivazioni transgeniche e coltivazioni convenzionali/biologiche, prevede sicuramente una lievitazione dei costi di produzione per chi vuole ottenere produzioni convenzionali, che possono abbassare, se non addirittura annullare, i profitti normalmente ottenibili, creando situazioni di extramarginalità nel settore produttivo delle piante convenzionali/biologiche, fino a decretarne la loro scomparsa.
Occorrerà poi considerare anche gli effetti di mercato (abbassamento dei prezzi, difficoltà di collocamento della merce, ecc.), poiché è vero che si avranno maggiori costi di produzione a livello agricolo nell’ambito della produzione convenzionale, ma l’effetto più pericoloso potrà essere quello di vedersi rifiutare il prodotto da parte del consumatore interno o da parte dell’importatore estero, che, secondo specifiche indagini campionarie, ancora esige un alimento esente da Organismi Transgenici (OT).
Soprattutto per un Paese come il nostro, che produce alimenti trasformati di eccellenza (formaggi, insaccati, vini, ecc.), di alto valore aggiunto, i rischi di mercato sono sicuramente più pericolosi dei rischi produttivi agricoli, in quanto la qualità della materia prima di base potrebbe rappresentare un limite alla produzione di trasformati di eccellenza o, quantomeno, ritenuti tali dal consumatore. In particolare, è ovvio che se viene utilizzata materia prima transgenica, anche il prodotto trasformato sarà transgenico (di fatto, perché verificabile da una analisi PCR, oppure “derivante” da OGM, nel caso in cui venga attuata la tracciabilità di filiera). E’ altrettanto ovvio che, se la legislazione lo prevede, questo prodotto dovrà essere etichettato come “contenente OGM” o “derivante da OGM”. Ecco che in questa situazione, al di là del fatto che gli OGM possano determinare anche effetti sui costi agricoli, gli scenari economici si faranno molto più complessi, in quanto si dovranno ipotizzare riduzioni di prezzo dei prodotti trasformati che non rispondono più alle esigenze dei consumatori, consumatori che non sono più disposti a pagare prezzi elevati per acquistare un prodotto che eccellente, secondo il loro metro di misura, non è più.
         Nella suddetta situazione, occorrerebbe quindi verificare il complesso degli effetti prodotti dall’introduzione di OT sull’intera filiera distributiva, che parte dall’agricoltore ed arriva alla distribuzione al dettaglio. E’ vero che gli agricoltori convenzionali/biologici subiranno maggiori costi, ma è altrettanto vero che anche i trasformatori che non vogliono gli OGM subiranno maggiori costi (acquisizione materia prima, analisi di laboratorio, certificazioni, ecc.) e minori incassi, ed è altrettanto vero che anche i distributori di prodotti di eccellenza subiranno maggiori costi (segregazione, etichettatura, ecc.) e minori incassi. Inutile sottolineare che la coesistenza, in relazione ai precedenti maggiori costi, obbligherà i produttori ed i distributori ad aumentare il prezzo di vendita delle derrate alimentari certificate “OGM Free”. In questa situazione, di coesistenza, con ogni probabilità, gli unici che guadagneranno saranno i produttori di beni alimentari di scarsa qualità (OGM), che vedranno aumentare le difficoltà produttive di coloro che offrono prodotti di eccellenza (no OGM) (difficoltà nel reperimento della materia prima, maggiori costi di approvvigionamento, maggiori costi di analisi, ecc.) e vedranno divenire maggiormente competitivi i prodotti da loro offerti (in termini relativi se il prezzo dei prodotti di eccellenza aumenterà, il prezzo degli altri prodotti di minore qualità, pur rimanendo stabile, è come se diminuisse).
         A questo punto, in un’ottica di globalizzazione dei mercati,  si inseriscono considerazioni di opportunità per il nostro Paese, in merito all’utilizzazione o meno di produzioni che possono determinare una diminuzione della competitività delle nostre produzioni e che non sono gradite dal consumatore, un consumatore che controlla e verifica accuratamente il prodotto prima di acquistarlo.
La contemporanea presenza di forme di agricoltura transgenica (con piante che hanno transgeni inseriti nel nucleo della cellula), con forme di agricoltura convenzionali determina l’impossibilità da parte dell’agricoltore, anche nel caso in cui sostenga maggiori costi, di poter garantire una effettiva produzione “OGM free”, così come richiesto dal consumatore.
In questa situazione alcune considerazioni sono necessarie relativamente alla possibilità che l’agricoltore metta in atto strategie di contenimento dell’inquinamento genetico:

1)                            all’agricoltore che non vuole coltivare transgenico conviene evitare l’inquinamento genetico? Con ogni probabilità gli converrà solo nel caso in cui sul mercato siano presenti tre prezzi del medesimo prodotto (prodotto OGM, prodotto con soglia di tolleranza inferiore allo 0,9%, prodotto "OGM free"). E’ ovvio che egli adotterà tecniche che comportano maggiori costi di produzione, solo nel caso in cui il prezzo di mercato del prodotto che ottiene (tutto da verificare, in quanto con l’inquinamento genetico non esiste la certezza di ottenere una produzione di un certo tipo e, quindi, un prezzo di mercato certo) sia in grado di remunerare questi maggiori costi. Nell’incertezza produttiva, con ogni probabilità, egli sceglierà di coltivare prodotto transgenico, in quanto è l’unico in grado di consentirgli di poter impostare una tecnica produttiva certa, con previsioni certe su ricavi e costi. Pertanto, in presenza di incertezza produttiva, si verrebbe a determinare una situazione simile a quella che ha visto l’esplosione delle superfici coltivate con piante transgeniche negli U.S.A., in Canada ed in altri Paesi, dove queste produzioni sono considerate “Sostanzialmente Equivalenti” a quelle convenzionali. La presenza di un unico prezzo di mercato per prodotto OGM e prodotto “OGM free” ha determinato una esplosione delle superfici coltivate con prodotto OGM, in quanto è quello caratterizzato dal minor costo di produzione;

2)                            l’agricoltore è sicuro che anche adottando determinate pratiche colturali potrà ottenere un prodotto realmente al di sotto della soglia di tolleranza? Purtroppo la risposta è negativa, in quanto sono talmente tante le possibilità di inquinamento genetico della produzione agricola, che difficilmente si potrà avere la certezza del risultato. Potrà accadere che nonostante gli sforzi operati dall’agricoltore il prodotto presenti soglie di OGM superiori allo 0,9%. Ecco allora che anche in questo caso difficilmente il nostro produttore adotterà pratiche colturali più costose nell’incertezza di concretizzare con un maggior prezzo il risultato della coltivazione. Ancora una volta, consapevole del fatto che difficilmente potrà avere la certezza di ottenere una produzione “OGM Free” o al di sotto della soglia di tolleranza, egli sarà portato a coltivare piante OGM, in quanto saranno le uniche che determineranno certezze in merito ai costi di produzione ed ai prezzi di vendita;

3)                            chi pagherà i maggiori costi? Nel caso delle produzioni “OGM free” il mercato offre spunti di riferimento, in quanto attualmente queste produzioni sono caratterizzate da prezzi superiori al prodotto convenzionale dell’ordine del 5% circa. E’ ovvio che queste maggiorazioni di prezzo ricadranno sul consumatore, il quale si troverà costretto a pagare di più il prodotto convenzionale, per il sol fatto che qualcuno ha voluto introdurre un alimento del quale ancora non sono note le reali capacità  produttive, nutrizionali e ambientali.

4)                            chi guadagnerà da questa situazione? Ancora una volta si sottolinea il fatto che in questa situazione gli unici che guadagneranno saranno i produttori di alimenti ritenuti di scarsa qualità dal consumatore e gli alimenti OGM secondo le ultime indagini rientrano tra questi.

In conclusione, la coesistenza tra produzioni transgeniche e convenzionali determina un ampliamento delle problematiche produttive e decisionali per l’intera filiera produttiva, dall’agricoltore, al trasformatore, al distributore. E’ ovvio che in una situazione di incertezza in cui non sarà possibile determinare a priori la qualità del prodotto finale ottenuto, il produttore agricolo sarà portato a sostituire le produzioni convenzionali con quelle transgeniche, in quanto saranno le uniche che offriranno certezza nei costi di produzione e nei prezzi di vendita (in pratica egli sarà portato a non rischiare di coltivare con i costi del convenzionale, per poi vendere ai prezzi del transgenico). Ecco allora che, ancora una volta, la “Moneta cattiva scaccerà la moneta buona”.