Nel
caso di coesistenza gli attuali OGM, che hanno il transgene nucleare che si
esprime in ogni parte della pianta (nelle foglie, nelle radici e anche nel
polline), creano “inquinamento genetico" e determinano incertezza produttiva per
coloro che non li vogliono coltivare, siano essi coltivatori convenzionali o biologici. Soprattutto nel caso di "Rapporti di
integrazione verticale" con l'industria (produzione di "mais bianco" o di "mais 8 file" o di "mais da pop corn"), sarà impossibile per
l'agricoltore convenzionale sottoscrivere contratti di conferimento della
merce, poichè egli non avrà nessuna certezza in merito alle caratteristiche
finali del prodotto ottenuto (il raccolto avrà più o meno dello 0,9% di OGM?). In questa situazione di incertezza, il
coltivatore convenzionale nel tempo sarà portato a sostituire le coltivazioni
convenzionali con quelle OGM, poichè non potrà continuare a coltivare ai costi del convenzionale/biologico per poi vendere ai prezzi (più bassi) del transgenico.
Una sentenza della Corte di giustizia
europea riconosce alla Pioneer il diritto di distribuire per la
semina mais OGM in Italia. Secondo il tribunale con sede a Lussemburgo,
l'ingresso nel Paese di varietà già ammesse a livello comunitario non può
essere bloccato da Leggi statali o regionali. Tale sentenza,
implicitamente, ammette la possibilità di coesistenza tra coltivazioni
convenzionali/biologiche e coltivazioni transgeniche.
A questo punto una domanda è lecita: è possibile nel nostro Paese la coesistenza tra coltivazioni agricole
convenzionali (comprese quelle biologiche) e transgeniche? Allo stato attuale
delle cose, in relazione alle caratteristiche del materiale transgenico
disponibile, che presenta transgeni inseriti nel nucleo della cellula e che,
pertanto, si esprimono in ogni parte della pianta (foglie, radici, polline,
ecc.), la risposta è negativa, in quanto le piante transgeniche originano
inquinamento genetico. Ecco allora che, nel caso di coesistenza, il settore
produttivo che non intende ottenere prodotto transgenico, soprattutto nel caso
di accordi contrattuali con gli utilizzatori finali (produzione di "mais bianco" per polenta, di "mais 8 file" per polenta, mais da "pop corn", ecc.), dovrà mettere a punto
adeguate strategie di contenimento dell’inquinamento genetico, al fine di poter
avere “certezze”, che non avrà mai, in merito alle caratteristiche qualitative del prodotto finale
ottenuto.
E’ ovvio che queste strategie hanno un costo, per cui
la coesistenza tra coltivazioni transgeniche e coltivazioni convenzionali/biologiche,
prevede sicuramente una lievitazione dei costi di produzione per chi vuole ottenere
produzioni convenzionali, che possono abbassare, se non addirittura annullare,
i profitti normalmente ottenibili, creando situazioni di extramarginalità nel
settore produttivo delle piante convenzionali/biologiche, fino a decretarne la loro scomparsa.
Occorrerà poi considerare anche gli effetti
di mercato (abbassamento dei prezzi, difficoltà di collocamento della merce,
ecc.), poiché è vero che si avranno maggiori costi di produzione a livello
agricolo nell’ambito della produzione convenzionale, ma l’effetto più
pericoloso potrà essere quello di vedersi rifiutare il prodotto da parte del
consumatore interno o da parte dell’importatore estero, che, secondo specifiche
indagini campionarie, ancora esige un alimento esente da Organismi Transgenici
(OT).
Soprattutto per un Paese come il nostro, che produce
alimenti trasformati di eccellenza (formaggi, insaccati, vini, ecc.), di alto
valore aggiunto, i rischi di mercato sono sicuramente più pericolosi dei rischi
produttivi agricoli, in quanto la qualità della materia prima di base potrebbe
rappresentare un limite alla produzione di trasformati di eccellenza o,
quantomeno, ritenuti tali dal consumatore. In particolare, è ovvio che se viene
utilizzata materia prima transgenica, anche il prodotto trasformato sarà
transgenico (di fatto, perché verificabile da una analisi PCR, oppure
“derivante” da OGM, nel caso in cui venga attuata la tracciabilità di filiera).
E’ altrettanto ovvio che, se la legislazione lo prevede, questo prodotto dovrà
essere etichettato come “contenente OGM” o “derivante da OGM”. Ecco che in
questa situazione, al di là del fatto che gli OGM possano determinare anche
effetti sui costi agricoli, gli scenari economici si faranno molto più
complessi, in quanto si dovranno ipotizzare riduzioni di prezzo dei prodotti
trasformati che non rispondono più alle esigenze dei consumatori, consumatori
che non sono più disposti a pagare prezzi elevati per acquistare un prodotto
che eccellente, secondo il loro metro di misura, non è più.
Nella suddetta situazione, occorrerebbe quindi verificare il complesso
degli effetti prodotti dall’introduzione di OT sull’intera filiera
distributiva, che parte dall’agricoltore ed arriva alla distribuzione al
dettaglio. E’ vero che gli agricoltori convenzionali/biologici subiranno
maggiori costi, ma è altrettanto vero che anche i trasformatori che non vogliono gli OGM subiranno
maggiori costi (acquisizione materia prima, analisi di laboratorio,
certificazioni, ecc.) e minori incassi, ed è altrettanto vero che anche i
distributori di prodotti di eccellenza subiranno maggiori costi (segregazione,
etichettatura, ecc.) e minori incassi. Inutile sottolineare che la coesistenza, in relazione ai precedenti maggiori costi, obbligherà i produttori ed i distributori ad aumentare il prezzo di vendita
delle derrate alimentari certificate “OGM Free”. In questa situazione, di
coesistenza, con ogni probabilità, gli unici che guadagneranno saranno i
produttori di beni alimentari di scarsa qualità (OGM), che vedranno aumentare le difficoltà
produttive di coloro che offrono prodotti di eccellenza (no OGM) (difficoltà nel
reperimento della materia prima, maggiori costi di approvvigionamento, maggiori
costi di analisi, ecc.) e vedranno divenire maggiormente competitivi i prodotti
da loro offerti (in termini relativi se il prezzo dei prodotti di eccellenza
aumenterà, il prezzo degli altri prodotti di minore qualità, pur rimanendo stabile, è come se diminuisse).
A questo punto, in
un’ottica di globalizzazione dei mercati, si inseriscono considerazioni
di opportunità per il nostro Paese, in merito all’utilizzazione o meno di
produzioni che possono determinare una diminuzione della competitività delle
nostre produzioni e che non sono gradite dal consumatore, un consumatore che
controlla e verifica accuratamente il prodotto prima di acquistarlo.
La contemporanea presenza di forme di agricoltura transgenica (con piante
che hanno transgeni inseriti nel nucleo della cellula), con forme di agricoltura
convenzionali determina l’impossibilità da parte dell’agricoltore, anche nel
caso in cui sostenga maggiori costi, di poter garantire una effettiva
produzione “OGM free”, così come richiesto dal consumatore.
In questa situazione alcune considerazioni sono
necessarie relativamente alla possibilità che l’agricoltore metta in atto
strategie di contenimento dell’inquinamento genetico:
1)
all’agricoltore che non vuole coltivare transgenico
conviene evitare l’inquinamento genetico? Con ogni probabilità gli converrà solo nel caso in cui sul mercato siano
presenti tre prezzi del medesimo prodotto (prodotto OGM, prodotto con soglia di
tolleranza inferiore allo 0,9%, prodotto "OGM free"). E’ ovvio che egli adotterà
tecniche che comportano maggiori costi di produzione, solo nel caso in cui il
prezzo di mercato del prodotto che ottiene (tutto da verificare, in quanto con
l’inquinamento genetico non esiste la certezza di ottenere una produzione di un
certo tipo e, quindi, un prezzo di mercato certo) sia in grado di remunerare
questi maggiori costi. Nell’incertezza produttiva, con ogni
probabilità, egli sceglierà di coltivare prodotto transgenico, in quanto è
l’unico in grado di consentirgli di poter impostare una tecnica produttiva
certa, con previsioni certe su ricavi e costi. Pertanto, in presenza di incertezza produttiva, si verrebbe a determinare
una situazione simile a quella che ha visto l’esplosione delle superfici
coltivate con piante transgeniche negli U.S.A., in Canada ed in altri Paesi,
dove queste produzioni sono considerate “Sostanzialmente Equivalenti” a quelle
convenzionali. La presenza di un unico prezzo di mercato per prodotto OGM e
prodotto “OGM free” ha determinato una esplosione delle superfici coltivate con
prodotto OGM, in quanto è quello caratterizzato dal minor costo di produzione;
2)
l’agricoltore è sicuro che anche adottando determinate
pratiche colturali potrà ottenere un prodotto realmente al di sotto della
soglia di tolleranza? Purtroppo la risposta è negativa, in
quanto sono talmente tante le possibilità di inquinamento genetico della
produzione agricola, che difficilmente si potrà avere la certezza del
risultato. Potrà accadere che nonostante gli sforzi operati dall’agricoltore il
prodotto presenti soglie di OGM superiori allo 0,9%. Ecco allora che anche in
questo caso difficilmente il nostro produttore adotterà pratiche colturali più
costose nell’incertezza di concretizzare con un maggior prezzo il risultato
della coltivazione. Ancora una volta, consapevole del fatto che difficilmente
potrà avere la certezza di ottenere una produzione “OGM Free” o al di sotto
della soglia di tolleranza, egli sarà portato a coltivare piante OGM, in quanto
saranno le uniche che determineranno certezze in merito ai costi di produzione
ed ai prezzi di vendita;
3)
chi pagherà i maggiori costi? Nel caso delle produzioni “OGM free” il mercato offre spunti di
riferimento, in quanto attualmente queste produzioni sono caratterizzate da
prezzi superiori al prodotto convenzionale dell’ordine del 5% circa. E’ ovvio
che queste maggiorazioni di prezzo ricadranno sul consumatore, il quale si
troverà costretto a pagare di più il prodotto convenzionale, per il sol fatto
che qualcuno ha voluto introdurre un alimento del quale ancora non sono note le
reali capacità produttive, nutrizionali e ambientali.
4)
chi guadagnerà da questa situazione? Ancora una volta si sottolinea il fatto
che in questa situazione gli unici che guadagneranno saranno i produttori di
alimenti ritenuti di scarsa qualità dal consumatore e gli alimenti OGM secondo
le ultime indagini rientrano tra questi.
In conclusione, la coesistenza tra produzioni transgeniche
e convenzionali determina un ampliamento delle problematiche produttive e
decisionali per l’intera filiera produttiva, dall’agricoltore, al
trasformatore, al distributore. E’ ovvio che in una situazione di incertezza in
cui non sarà possibile determinare a priori la qualità del prodotto finale
ottenuto, il produttore agricolo sarà portato a sostituire le produzioni convenzionali
con quelle transgeniche, in quanto saranno le uniche che offriranno certezza
nei costi di produzione e nei prezzi di vendita (in pratica egli sarà portato a
non rischiare di coltivare con i costi del convenzionale, per poi vendere ai
prezzi del transgenico). Ecco allora che, ancora una volta, la “Moneta cattiva
scaccerà la moneta buona”.