CORPO
FORESTALE DELLO STATO
ISPETTORATO
GENERALE
Documento
predisposto in occasione dell’audizione del Capo del Corpo forestale dello
Stato, Cesare Patrone, alla Camera dei Deputati, del 6 novembre 2013, ore 15.00,
sulle attività svolte dal Corpo forestale dello Stato in materia di organismi
geneticamente modificati (Ogm)
Gli
organismi geneticamente modificati (Ogm), come è noto, sono esseri viventi
che possiedono un patrimonio genetico
alterato artificialmente tramite l'aggiunta, l'eliminazione o la modifica di
elementi genici.
L’agricoltura
è uno dei settori ad alto “rischio-OGM”, in particolare per quanto attiene ai
pericoli generati dall’induzione di resistenze o tolleranze in organismi
nocivi, dalla selezione di organismi infestanti o “superinfestanti”,
dall’alterazione del valore nutrizionale e infine dalla riduzione di varietà
coltivate e perdita di biodiversità.
Non
trascurabili sono anche i rischi derivanti dall’interazione con altri
organismi, che potrebbero originare un pericoloso trasferimento orizzontale dei
geni, l’inquinamento della base genetica attraverso la dispersione di semi o
polline, il trasferimento di geni a microrganismi ed infine la generazione di
nuovi virus per ricombinazione genetica.
La
normativa italiana vigente non consente la coltivazione di alcun organismo
geneticamente modificato sul territorio nazionale, se non attraverso una
preventiva autorizzazione ai fini dell’iscrizione nel “Registro nazionale delle
varietà vegetali geneticamente modificate” e un’attenta separazione delle
filiere a garanzia del principio di coesistenza tra colture biologiche,
convenzionali e transgeniche. In Italia sono le Regioni che hanno la competenza
di adottare le misure di coesistenza tra i diversi tipi di colture e, come
noto, tale possibilità non è stata ancora utilizzata da alcuna Regione.
In
particolare il D.Lgs n. 212/2001
stabilisce che la messa in coltura di Ogm debba essere soggetta ad
autorizzazione con provvedimento del Ministro delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali, di concerto con il Ministro dell'Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare e del Ministro della Salute, sia allo scopo di
“evitare il contatto con le colture
derivanti da prodotti sementieri tradizionali”, sia di “non arrecare eventuale danno biologico
all'ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agroecologiche,
ambientali e pedoclimatiche”.
In
data 6 dicembre 2012, tuttavia, la
Corte di Giustizia europea ha dichiarato che la coltivazione di Ogm non può
essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando
l’impiego e la commercializzazione di tali varietà siano autorizzati ai sensi
dell’articolo 20 del Regolamento (CE) n.
1829/2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e
le medesime varietà siano state iscritte nel catalogo comune delle varietà
delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE, relativa
al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, emendata con
il regolamento sopra citato.
Tra
le varietà di Ogm iscritte nel catalogo
comune europeo è presente la varietà
di mais Mon810, capace di produrre una proteina-tossina letale (Cry1Ab) per gli eventuali lepidotteri
parassiti e, in particolare, per uno dei principali fitofagi della specie, la
piralide, Ostrinia nubilalis, una
farfalla molto diffusa nell’Italia centro settentrionale.
Nel
giugno 2013 un imprenditore agricolo
ha reiterato la semina di mais, effettuata la prima volta due anni or sono, privo
di tracciabilità ma dichiarato geneticamente modificato, in due appezzamenti
localizzati nella Regione Friuli Venezia Giulia, rispettivamente nel Comune di
Mereto di Tomba (UD) e di Vivaro (PO).
Il
Corpo forestale dello Stato, in ragione della sua missione istituzionale di
Forza di polizia specializzata nella tutela delle risorse agro alimentari e
ambientali del Paese, di propria iniziativa in agro di Pordenone e su delega
della Procura della Repubblica di Udine ha svolto nei mesi scorsi dei
campionamenti nei campi presuntivamente seminati a Ogm e di quelli a essi
limitrofi, sia per accertare la varietà di mais geneticamente modificato
coltivata, sia al fine di verificare una possibile contaminazione ambientale.
Circa
la specificità dell’azione tossica degli Ogm, infatti, sussistono numerosi
dubbi a livello comunitario e nazionale. Il Consiglio dell’Unione europea, ha
espresso la necessità di rafforzare le procedure di valutazione del rischio
ambientale degli Ogm, con particolare riferimento alla possibilità di un
impatto sugli insetti non bersaglio; parallelamente, l’Autorità europea per la
sicurezza alimentare (EFSA) ha raccomandato il rafforzamento delle misure di
gestione e sorveglianza, per evitare l’eventuale acquisizione di resistenza da
parte dei parassiti e ridurre la mortalità di popolazioni di lepidotteri
sensibili.
Il
rischio di un impatto sulle popolazioni di lepidotteri non target è stato
ulteriormente evidenziato in un parere dell’Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) risalente allo scorso 30 aprile; nel
medesimo studio, inoltre, non si esclude la possibilità di un impatto negativo
sugli organismi acquatici sensibili alle tossine prodotte dal mais Mon810.
Il
dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in
agricoltura (CRA) in data 2 aprile 2013, poi, sottolinea “l’impatto sugli imenotteri parassitoidi specialisti di O. nubilalis”
e ribadisce ulteriormente il rischio di “modifica
delle popolazioni di lepidottero non bersaglio”. Infine, paventa anche la
possibilità di una predisposizione allo “sviluppo
di parassiti secondari, potenzialmente dannosi per altre colture”, come
verificatosi già in Argentina e sta avvenendo in Spagna, su colture di mais
OGM.
Sulla
base delle considerazioni sopra esposte, il 12 luglio 2013 è stato sottoscritto, come è noto, un Decreto
interministeriale a firma congiunta del Ministro delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali, del Ministro dell'Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare e del Ministro della Salute, in cui viene sancito il
divieto di coltivazione di mais Mon810 sul territorio italiano per un periodo di
18 mesi.
Come si legge nella
sentenza della Corte di Giustizia UE, interpellata in via
Pregiudiziale dal Tribunale di Pordenone, nonché nella causa C-36/11, in data 6
dicembre 2012, la corte di Giustizia Europea ha dichiarato che: “la messa in
coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais MON 810
non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione
quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai
sensi dell'art. 20 del regolamento CE n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi
geneticamente modificati, e le medesime varietà sono state iscritte nel
catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla
direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al catalogo
comune delle varietà delle specie di piante agricole, emanata con il
regolamento n.1829/2003”.
“L'art. 26 bis della direttiva 2001/18CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di
organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio,
come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio dell'11 marzo 2008, NON CONSENTE ad uno Stato membro di
opporsi in via generale alla messa in coltura sul territorio di tali organismi
geneticamente modificati nelle more dell'adozione di misura coesistenza diretta
a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati in
altre colture”;
ciò non può essere di impedimento in via generale alla messa in coltura di OGM,
con la conseguenza che i divieti devono riguardare i singoli casi, previa
valutazione degli specifici aspetti relativi alla possibilità e/o probabilità
di contaminazione.
Premesso quanto sopra, sul piano
operativo il Corpo forestale dello Stato ha proceduto al campionamento del mais
geneticamente modificato seminato nei terreni delle due province friulane; le
analisi, affidate all'Istituto Zooprofilattico delle Marche e dell’Umbria, ente
di ricerca specializzato nel settore, hanno confermato che la varietà di mais
impiegata è il Mon810. La mancanza di tracciabilità delle sementi utilizzate,
tuttavia, ha comportato l’irrogazione della sanzione amministrativa di € 16.000 prevista dal D.Lgs. 70/2005 nei confronti dell’imprenditore
agricolo. La contestazione
è stata effettuata e irrogata con un “codice” generico, come indicato dal Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nelle
more di adozione di un apposito capitolo con relativo codice per i pagamenti
(modello F23), come previsto dall'artico 13 del medesimo decreto legislativo.
L’attività
di campionamento eseguita dal Corpo forestale dello Stato ha riguardato anche i
terreni limitrofi ai campi seminati con mais Mon810, allo scopo di verificare
eventuali contaminazioni ambientali a carico dei terreni coltivati con mais
tradizionale; i risultati analitici ottenuti dimostrano, in effetti, un
“inquinamento genetico” del mais transgenico che arriva anche fino al 10%.
A
fronte di una comprovata diffusione nell’ambiente del mais Ogm e della relativa
tossina e sulla scorta delle considerazioni scientifiche sopra enunciate, è
stata effettuata alla Procura della Repubblica di Udine una Comunicazione di
notizia di reato concernente la violazione dei seguenti articoli del Codice
penale:
Art. n. 650 C.P. - Inosservanza dei
provvedimenti dell’autorità, per aver inosservato (coltivando mais
Mon810), il provvedimento interministeriale sopra richiamato, in attesa di
un'ordinanza da parte di un Ente locale (Regione e/o Provincia e/o Comune) a
tutt'oggi non avvenuta;
Art. n. 635 C.P. – Danneggiamento,
poiché coltivando varietà di Mais Mon810 si potrebbe avere un impatto sugli
imenotteri parassitoidi specialisti di Ostrinia
nubilalis, oltre che modificare le
popolazioni di lepidotteri non bersaglio e favorire lo sviluppo di parassiti
secondari, potenzialmente dannosi per le altre colture (piante e arbusti
fruttiferi, viti e boschi);
Art. n. 56 e 500 C.P. – Diffusione di
una malattia delle piante o degli animali, in
quanto la coltivazione di Mais Mon810 può comportare rischi per le popolazioni
di lepidotteri non target e, inoltre, non è esclusa la possibilità di impatto
negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine Cry1Ab prodotte dalla coltivazione della varietà di mais in
questione.
Il
Corpo forestale dello Stato sta attualmente verificando l’eventuale livello di
contaminazione presente a carico dei favi degli alveari adibiti alla produzione
di polline e miele situati nelle zone limitrofe ai campi Ogm e in quelli
coltivati con mais convenzionale. Detto materiale è stato conferito
all’Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Marche e dell’Umbria per
accertare l’inquinamento ambientale a carico delle popolazioni di imenotteri e
dei prodotti agroalimentari connessi alla loro preziosa attività.
Si
constata che, in coincidenza di questi prelievi effettuati dal personale del
Corpo forestale dello Stato all'interno degli alveari collocati vicino ai campi
coltivati con mais OGM, Mon810, si è registrata un’accelerazione relativa a una
nuova e diversa definizione dello stato
giuridico del polline da ingrediente,
come è definito attualmente (obbligo di menzionarlo in etichetta), a
componente come potrebbe essere in
futuro. Infatti, la Commissione europea, nella persona del Commissario europeo
per la salute e la politica dei consumatori, Tonio Borg ha sottolineato la
necessità di fare attenzione a non trasformare la proposta della Commissione in
un tema OGM. La proposta di modifica della Direttiva
2001/110/CE è volta a chiarire che il polline è
un componente naturale e non un ingrediente del miele “altrimenti significherebbe definire il miele
come un prodotto trasformato, confondendo i consumatori e non essendo in linea
con le definizioni a livello internazionale”.
Secondo
Borg, questo chiarimento proposto dalla Commissione non scavalca le conclusioni
della Corte di Giustizia, dal momento che ogni polline geneticamente modificato
presente nel miele dovrà essere autorizzato prima di poter commercializzare il
prodotto.
In attesa di questi nuovi ulteriori
risultati e sviluppi, si stanno estendendo i controlli su altri terreni localizzati
anche in altre Regioni, al fine di verificare la presenza non dichiarata di
ulteriore mais geneticamente modificato e di controllare il relativo grado di
contaminazione ambientale.
In tale contesto, la soluzione ottimale
alla complessa questione OGM, potrebbe avvenire solo in sede di rivisitazione
delle decisioni europee del 2001 e del 2003, tesa a restituire ai singoli Stati
un campo di azione autonomo per la coltivazione o il divieto sul proprio
territorio di colture OGM, coerenti con le diverse tipologie di agricoltura e
dei diversi valori ambientali e territoriali presenti e adottati nei singoli
Stati europei.
Nelle more di tale processo sarebbe
possibile l’adozione, da parte di uno degli Enti territoriali interessati da
colture OGM, della relativa ordinanza di applicazione del decreto governativo
del luglio del 2013 così da potere consentire l’applicazione, di quanto
previsto dall’art. 650 del c.p., in caso di perdurante inosservanza
dell’obbligo del divieto di colture OGM da parte di chiunque.
In alternativa, il decreto del luglio
2012 dovrebbe essere potenziato con le necessarie previsioni sanzionatorie di
tipo penale da prevedere, in considerazione della lesione dei valori colturali,
economici e territoriali di eccellenza dell’agricoltura italiana, con
l’adozione di una decretazione di urgenza, al pari, di quanto avvenuto, per
altra tipologia di fattispecie illegale, nell’agosto del 2000, per il reato
d’incendio boschivo, introdotto con D.L. del 3 agosto 2000 e convertito
successivamente in legge.
Sarebbe utile inoltre nel contempo
realizzare una sinergia fra gli Istituti di ricerca impegnati e quindi
l’Istituto Zooprofilattico dell’Umbria e delle Marche, l’ISPRA del Ministero
dell’Ambiente e il CRA del Ministero delle politiche agricole, da proporre
eventualmente anche all’Autorità Giudiziaria, per approfondire in maniera certa
l’esistenza o meno dei danni provocati all’ambiente.
Il ruolo della ricerca scientifica e
in particolare di quella pubblica, infatti, non si deve esaurire o limitare alla
sperimentazione di nuove e vantaggiose applicazioni delle moderne
biotecnologie, ma deve essere anche quello di valutare e prevenire i rischi
connessi all’introduzione di tali tecniche nell’ambiente, fornendo, tra
l'altro, delle risposte esaurienti e rassicuranti all’opinione pubblica e ai
cittadini.
Il Corpo forestale dello Stato intanto
sta continuando nello svolgimento delle indagini tese a evidenziare i danni
ambientali emergenti e a verificare l’esistenza sul territorio nazionale di
altre piantagioni di mais OGM.
L’azione del Corpo forestale dello
Stato è incentrata sulla convinzione che prevenzione e repressione debbano
coesistere sinergicamente, nell’ottica di ottimizzare il valore aggiunto del
paesaggio agroalimentare italiano, la cui conservazione risulta prioritaria ai
fini del mantenimento sul territorio di produzioni agricole capaci di generare
sia alte remunerazioni economiche per gli agricoltori, sia numerosi servizi
ambientali per tutti i cittadini, nonché i prodotti di eccellenza del made in Italy, che rappresentano la
nostra carta d’identità in ambito internazionale.