In tema di Organismi
Transgenici (OT), così come del resto per altri ambiti scientifici di
“frontiera”, siamo tutti d’accordo sul fatto che la ricerca non può essere
fermata. Questo non significa però che essa possa essere effettuata
liberamente, senza alcuna regola e senza adottare il “Principio di precauzione”. Soprattutto nel caso di ricerche che
presentano, anche solo potenzialmente, effetti negativi per lo sviluppo
sostenibile della nostra società e soprattutto nel caso in cui questi effetti
siano irreversibili ed incontrollabili, occorre adottare regole che impediscano
che questi eventi possano verificarsi.
Nel caso degli OT, che presentano transgeni nucleari
che possono originare inquinamento genetico, e soprattutto nella loro
sperimentazione in campo aperto, occorre notevole “precauzione", poiché l’inquinamento genetico è per sua
natura qualcosa di incontrollabile; una volta che determinati individui che
hanno autonoma capacità di replicarsi sono stati immessi nell’ambiente, sarà
molto difficile eliminarli. Esempi in questo senso sono rappresentati per il
momento da alcuni animali, sicuramente dannosi per la nostra agricoltura,
regalo della globalizzazione dei mercati, che si sono diffusi nel nostro Paese
originando situazioni dannose per gli equilibri ecologici ambientali di alcuni
territori (infantria, nutrie, scoiattoli, gamberi, pesce siluro, ecc.).
Anche le nuove piante transgeniche potrebbero dar
luogo ad un inquinamento genetico di questo tipo, con un'aggravante però;
mentre per gli animali sarebbe sostanzialmente semplice, anche se oneroso e cruento,
risolvere il problema una volta accertato che essi sono dannosi per la salute
dell’uomo e per l’ambiente, per le piante transgeniche, trattandosi di piante
fenotipicamente identiche a quelle naturali, la risoluzione del problema
sarebbe notevolmente più difficoltosa e dispendiosa, se non impossibile.
E’ in questa situazione che occorre anche rispondere alla domanda: coltivare o
non coltivare organismi transgenici? E’ sicuramente questa la domanda che
ultimamente viene più frequentemente posta a coloro che si interessano di
programmazione e di pianificazione in agricoltura. Da un lato alcuni
prospettano sviluppi illimitati per la produzione agricola (sia in quantità,
sia in qualità, nonché con modalità di produzione meno impattanti per l’ambiente,
ecc.), dall’altro non si possono nascondere i rischi che potrebbero
accompagnare una scelta di questo tipo (sulla salute umana, sulla biodiversità,
sull’economia agricola nazionale da sempre improntata sulla tipicità e sulla
naturalezza delle sue produzioni, ecc.).
In questo contesto appare necessario adottare il
“principio di precauzione” e verificare preventivamente, attraverso lo sviluppo
di specifiche ricerche, gli effetti che gli OT possono determinare, con
particolare riferimento agli elementi di sicurezza, di sostenibilità e
di economicità per l’agricoltura del nostro Paese.
Da un punto di vista della sicurezza, è necessario che le
produzioni transgeniche non si collochino ad un livello inferiore rispetto a
quelle convenzionali in termini di salubrità, tracciabilità, qualità ed
economicità.
Per quanto attiene alla salubrità, occorrerà dapprima
chiarire gli effetti degli
organismi transgenici sulla salute umana, sia da un punto di vista
delle malattie che essi possono eventualmente indurre, sia da un punto di vista
delle loro caratteristiche nutrizionali. Molti scienziati, infatti, concordano
sul fatto che l’inserimento del transgene e la produzione della relativa
proteina potrebbero dare origine a fenomeni di tipo allergico. Occorrerà,
inoltre, verificare se risponde al vero l’eventualità che i batteri patogeni
possano acquisire il marcatore che conferisce resistenza all’antibiotico
utilizzato per selezionare le cellule che hanno ricevuto il transgene. Più in
generale, occorrerà valutare attentamente tutte le interazioni che possono dare
origine a fenomeni dannosi per la salute, sia nel caso di elevati livelli di
singole somministrazioni, sia nel caso, più realistico per le sostanze alimentari,
di basse somministrazioni che si protraggono nel tempo.
Un altro pericolo reale, soprattutto in relazione al
fatto che la tecnologia necessaria per ottenere piante transgeniche è piuttosto
semplice e alla portata di piccoli laboratori, potrebbe essere costituito dalla
possibilità che piante transgeniche siano prodotte e commercializzate
all’insaputa degli organi di controllo. Pertanto, occorrerà essere in grado di
distinguerle nettamente da quelle “normali”, anche nel caso in cui non siano
conosciuti i transgeni, i marcatori e i promotori. In questo ambito le ricerche
potranno essere rivolte alla definizione di metodi di identificazione delle produzioni transgeniche.
Nell’ambito delle problematiche relative alla
sicurezza per il consumatore, un ruolo di rilievo possono avere anche le
ricerche tese ad evidenziare le
caratteristiche organolettiche degli alimenti transgenici, che non
devono essere diverse quelle che caratterizzano le produzioni convenzionali.
Soprattutto per il nostro Paese, nel quale le produzioni tipiche di qualità
assumono un ruolo decisamente importante, questo elemento dovrà essere
verificato attentamente prima di indirizzare la produzione agricola verso
questa strada.
Da un punto di vista qualitativo, in relazione al
fatto che attualmente siamo alle prime applicazioni di questa tecnologia, ci si
può chiedere: che cosa accadrà quando nella stessa pianta saranno introdotti
più transgeni (uno che conferisce resistenza ad un erbicida, un altro che
conferisce resistenza agli insetti, uno che conferisce resistenza ai virus, un
altro che conferisce resistenza alle batteriosi, un altro che conferisce
resistenza alle micosi, un altro ancora che conferirà alla pianta resistenza al
freddo o al caldo, alla siccità, ecc.)? Ci troveremo di fronte alla stessa
pianta, con le stesse caratteristiche nutrizionali originarie, oppure sarà
qualcosa di diverso? Ecco che la ricerca potrebbe verificare gli effetti e le interazioni sul prodotto
finale conseguenti alla contemporanea presenza di più transgeni nello stesso
organismo.
Per quanto
attiene alla sostenibilità degli OT, occorrerà preliminarmente considerare
che il nostro Paese è caratterizzato dalla presenza di un gran numero di
prodotti tipici, frutto di una continua selezione naturale e di un continuo
affinamento delle tecniche di trasformazione, che rappresentano un vanto per la
nostra agricoltura e per la nostra industria agro-alimentare. Le ricerche in
questo ambito si rendono necessarie al fine di:
- impedire che
entrino nel Paese organismi non voluti, che potrebbero determinare una
variazione permanente delle caratteristiche qualitative delle nostre
produzioni tipiche (IGP, DOP, DOC, biologiche, ecc.). Per esempio,
sarà necessario verificare se il “Parmigiano Reggiano”, ma così anche per le
altre produzioni, mantiene le medesime caratteristiche organolettiche anche nel
caso in cui per la sua produzione sia utilizzato latte proveniente da vacche
alimentate con mangimi di origine transgenica (stessa cosa dicasi per il
“Prosciutto di Parma” e per le altre produzioni tipiche);
- impedire che
determinate scelte possano mettere in crisi la competitività della nostra agricoltura, soprattutto
quella attuata nelle aree marginali, che, come è risaputo, svolge anche altre
importanti funzioni che non sono esclusivamente legate alla produzione di derrate
alimentari (paesaggio, assetto idrogeologico, tutela della flora e della fauna,
ecc.);
- verificare gli effetti ambientali reali e potenziali degli organismi transgenici (impatti
diretti e indiretti, effetti sulla flora, effetti sulla fauna, effetti sul terreno, effetti sugli ecosistemi,
effetti economici, ecc.), al fine di fornire una risposta univoca a quelli che
attualmente sono i principali dubbi che caratterizzano l’applicazione di questa
tecnologia.
In particolare, occorrerà verificare se risponde al
vero che:
- possano
esserci delle interazioni tra le piante transgeniche e le loro parentali
selvatiche, con la possibilità di trasferimento a queste ultime del transgene
per la resistenza ai diserbanti, con conseguente creazione di “superinfestanti”
resistenti esse stesse al diserbante (come per esempio può accadere tra Colza
RR e senape selvatica);
- - vi
possa essere la possibilità di trasferimento a piante parentali selvatiche del
transgene per la resistenza agli insetti;
- - si
abbia la selezione nel tempo di insetti resistenti alla tossina insetticida
prodotta dal transgene nelle piante BT;
- - si
possa avere un’azione della tossina insetticida anche nei confronti di insetti
non bersaglio;
- - si
possa avere un comportamento infestante delle PT resistenti al diserbante, con
aggravamento delle problematiche agronomiche connesse al contenimento dei danni
provocati dalle piante infestanti;
s - si abbia una riduzione della biodiversità, in
relazione alla forte specializzazione produttiva che accompagnerà la
coltivazione di queste piante.
Di estrema importanza per il nostro Paese è anche la verifica degli effetti legati all’eventuale
modificazione del paesaggio rurale, in relazione al fatto che la
transgenesi potrebbe essere in grado di eliminare quelle limitazioni di
carattere ambientale che oggigiorno impediscono la diffusione di determinate
piante in ambiti territoriali a loro ostili (per assurdo si potrebbe pensare
alla diffusione nel nostro Paese di coltivazioni di banane, di datteri, ecc.).
Per quanto attiene, infine, all’economicità, occorrerà verificare
se le coltivazioni transgeniche rispondono o meno ad obiettivi di sviluppo
sostenibile e se le stesse sono in sintonia con gli obiettivi di politica
agraria. In particolare, occorrerà verificare se esse sono in grado di
determinare:
- - un
aumento della competitività dell'agricoltura, in relazione alle aperture del
commercio internazionale previste dagli Accordi GATT;
- - un
aumento della qualità dei prodotti agricoli, in relazione alle nuove esigenze
dei consumatori;
- - una
maggior sostenibilità ambientale delle pratiche agricole;
- - il
mantenimento del prezzo delle produzioni alimentari ad un livello accettabile per
gli agricoltori e per i consumatori;
- - l’impostazione
di adeguate politiche di sviluppo rurale, al fine di evitare fenomeni di esodo
rurale;
- - la
multifunzionalità dell'agricoltura, al fine di favorire altre forme di
integrazione al reddito dell'agricoltore;
- - il
decentramento e la semplificazione burocratica dell'attività agricola.
Preoccupante per il nostro Paese è la possibilità
offerta dalle moderne biotecnologie di:
- - indurre
nelle piante la resistenza a fattori pedoclimatici avversi (caldo, freddo, ph,
contenuto di calcare, contenuto di sodio, ecc.), al fine di consentire la
coltivazione di piante tipiche del nostro territorio (fragola, agrumi, olivo,
vite, ortaggi, ecc.) anche in altre aree del pianeta, che presentano
limitazioni di tipo pedoclimatico. Quando sarà possibile produrre di tutto
ovunque, con ogni probabilità le produzioni si sposteranno laddove minori sono
i costi di produzione e laddove minori sono le limitazioni di carattere
ambientale e di carattere produttivo (ci si riferisce alle limitazioni nell’uso
di concimi, di fitofarmaci, ecc.);
- - far
produrre a piante annuali le sostanze che attualmente otteniamo dopo anni di
allevamento da piante arboree (per esempio sembra che sia possibile ottenere
dalla coltivazione di colza transgenica un olio "sostanzialmente
equivalente" a quello ottenuto dalla spremitura delle olive), e gli esempi
potrebbero continuare ancora.
Da un punto di vista economico occorrerà infine
operare un confronto tra i costi di
produzione in agricoltura convenzionale e transgenica, al fine di stimare l’effetto
che l’introduzione di questi nuovi prodotti potrebbe avere sul sistema dei
prezzi dei prodotti alimentari.
Nell’ambito dei costi, un ruolo importante assumeranno
anche quelli di distribuzione, in quanto la segregazione delle filiere
produttive implica la necessità di effettuare analisi del DNA e certificazioni
di processo e di prodotto caratterizzate da elevati livelli di costo. Da
rilevare a questo proposito che fin tanto che permarranno perplessità e
incertezze nell’uso di questi nuovi alimenti non si intravedono grandi vantaggi
economici per il consumatore, in quanto i costi dei controlli ed i costi di
segregazione delle due filiere andranno a compensare, se non a superare, gli
auspicati minori costi di produzione della fase agricola.
Come si può osservare ancora tanto c’è da fare prima
di introdurre queste nuove piante per l’alimentazione umana. Del resto non si
capisce che fretta ci sia, in quanto non abbiamo certo problemi di carattere
quantitativo:
- - stiamo
pagando gli agricoltori per non coltivare la terra (set-aside);
- - abbiamo
quote su gran parte delle produzioni (latte, barbabietole, ecc.);
- - distruggiamo
le produzioni in eccesso per impedire il crollo dei prezzi di mercato
(vino, taluni ortofrutticoli, ecc.).
In questo contesto occorre credere nella ricerca e
affidarle il compito di fornire certezze in merito a scelte che possono avere
ripercussioni a lungo termine per il nostro sviluppo e per quello delle
generazioni future.