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lunedì 1 ottobre 2012

Ricerca in tema di OGM - Un punto di incontro e di discussione


         In tema di Organismi Transgenici (OT), così come del resto per altri ambiti scientifici di “frontiera”, siamo tutti d’accordo sul fatto che la ricerca non può essere fermata. Questo non significa però che essa possa essere effettuata liberamente, senza alcuna regola e senza adottare il “Principio di precauzione”. Soprattutto nel caso di ricerche che presentano, anche solo potenzialmente, effetti negativi per lo sviluppo sostenibile della nostra società e soprattutto nel caso in cui questi effetti siano irreversibili ed incontrollabili, occorre adottare regole che impediscano che questi eventi possano verificarsi.
Nel caso degli OT, che presentano transgeni nucleari che possono originare inquinamento genetico, e soprattutto nella loro sperimentazione in campo aperto, occorre notevole “precauzione", poiché l’inquinamento genetico è per sua natura qualcosa di incontrollabile; una volta che determinati individui che hanno autonoma capacità di replicarsi sono stati immessi nell’ambiente, sarà molto difficile eliminarli. Esempi in questo senso sono rappresentati per il momento da alcuni animali, sicuramente dannosi per la nostra agricoltura, regalo della globalizzazione dei mercati, che si sono diffusi nel nostro Paese originando situazioni dannose per gli equilibri ecologici ambientali di alcuni territori (infantria, nutrie, scoiattoli, gamberi, pesce siluro, ecc.).
Anche le nuove piante transgeniche potrebbero dar luogo ad un inquinamento genetico di questo tipo, con un'aggravante però; mentre per gli animali sarebbe sostanzialmente semplice, anche se oneroso e cruento, risolvere il problema una volta accertato che essi sono dannosi per la salute dell’uomo e per l’ambiente, per le piante transgeniche, trattandosi di piante fenotipicamente identiche a quelle naturali, la risoluzione del problema sarebbe notevolmente più difficoltosa e dispendiosa, se non impossibile.
         E’ in questa situazione che occorre anche rispondere alla domanda: coltivare o non coltivare organismi transgenici? E’ sicuramente questa la domanda che ultimamente viene più frequentemente posta a coloro che si interessano di programmazione e di pianificazione in agricoltura. Da un lato alcuni prospettano sviluppi illimitati per la produzione agricola (sia in quantità, sia in qualità, nonché con modalità di produzione meno impattanti per l’ambiente, ecc.), dall’altro non si possono nascondere i rischi che potrebbero accompagnare una scelta di questo tipo (sulla salute umana, sulla biodiversità, sull’economia agricola nazionale da sempre improntata sulla tipicità e sulla naturalezza delle sue produzioni, ecc.).
In questo contesto appare necessario adottare il “principio di precauzione” e verificare preventivamente, attraverso lo sviluppo di specifiche ricerche, gli effetti che gli OT possono determinare, con particolare riferimento agli elementi di sicurezza, di sostenibilità e di economicità per l’agricoltura del nostro Paese.
Da un punto di vista della sicurezza, è necessario che le produzioni transgeniche non si collochino ad un livello inferiore rispetto a quelle convenzionali in termini di salubrità, tracciabilità, qualità ed economicità.
Per quanto attiene alla salubrità, occorrerà dapprima chiarire gli effetti degli organismi transgenici sulla salute umana, sia da un punto di vista delle malattie che essi possono eventualmente indurre, sia da un punto di vista delle loro caratteristiche nutrizionali. Molti scienziati, infatti, concordano sul fatto che l’inserimento del transgene e la produzione della relativa proteina potrebbero dare origine a fenomeni di tipo allergico. Occorrerà, inoltre, verificare se risponde al vero l’eventualità che i batteri patogeni possano acquisire il marcatore che conferisce resistenza all’antibiotico utilizzato per selezionare le cellule che hanno ricevuto il transgene. Più in generale, occorrerà valutare attentamente tutte le interazioni che possono dare origine a fenomeni dannosi per la salute, sia nel caso di elevati livelli di singole somministrazioni, sia nel caso, più realistico per le sostanze alimentari, di basse somministrazioni che si protraggono nel tempo.
Un altro pericolo reale, soprattutto in relazione al fatto che la tecnologia necessaria per ottenere piante transgeniche è piuttosto semplice e alla portata di piccoli laboratori, potrebbe essere costituito dalla possibilità che piante transgeniche siano prodotte e commercializzate all’insaputa degli organi di controllo. Pertanto, occorrerà essere in grado di distinguerle nettamente da quelle “normali”, anche nel caso in cui non siano conosciuti i transgeni, i marcatori e i promotori. In questo ambito le ricerche potranno essere rivolte alla definizione di metodi di identificazione delle produzioni transgeniche.
Nell’ambito delle problematiche relative alla sicurezza per il consumatore, un ruolo di rilievo possono avere anche le ricerche tese ad evidenziare le caratteristiche organolettiche degli alimenti transgenici, che non devono essere diverse quelle che caratterizzano le produzioni convenzionali. Soprattutto per il nostro Paese, nel quale le produzioni tipiche di qualità assumono un ruolo decisamente importante, questo elemento dovrà essere verificato attentamente prima di indirizzare la produzione agricola verso questa strada.
Da un punto di vista qualitativo, in relazione al fatto che attualmente siamo alle prime applicazioni di questa tecnologia, ci si può chiedere: che cosa accadrà quando nella stessa pianta saranno introdotti più transgeni (uno che conferisce resistenza ad un erbicida, un altro che conferisce resistenza agli insetti, uno che conferisce resistenza ai virus, un altro che conferisce resistenza alle batteriosi, un altro che conferisce resistenza alle micosi, un altro ancora che conferirà alla pianta resistenza al freddo o al caldo, alla siccità, ecc.)? Ci troveremo di fronte alla stessa pianta, con le stesse caratteristiche nutrizionali originarie, oppure sarà qualcosa di diverso? Ecco che la ricerca potrebbe verificare gli effetti e le interazioni sul prodotto finale conseguenti alla contemporanea presenza di più transgeni nello stesso organismo.
Per quanto attiene alla sostenibilità degli OT, occorrerà preliminarmente considerare che il nostro Paese è caratterizzato dalla presenza di un gran numero di prodotti tipici, frutto di una continua selezione naturale e di un continuo affinamento delle tecniche di trasformazione, che rappresentano un vanto per la nostra agricoltura e per la nostra industria agro-alimentare. Le ricerche in questo ambito si rendono necessarie al fine di:
- impedire che entrino nel Paese organismi non voluti, che potrebbero determinare una variazione permanente delle caratteristiche qualitative delle nostre produzioni tipiche  (IGP, DOP, DOC, biologiche, ecc.). Per esempio, sarà necessario verificare se il “Parmigiano Reggiano”, ma così anche per le altre produzioni, mantiene le medesime caratteristiche organolettiche anche nel caso in cui per la sua produzione sia utilizzato latte proveniente da vacche alimentate con mangimi di origine transgenica (stessa cosa dicasi per il “Prosciutto di Parma” e per le altre produzioni tipiche);

- impedire che determinate scelte possano mettere in crisi la competitività della nostra agricoltura, soprattutto quella attuata nelle aree marginali, che, come è risaputo, svolge anche altre importanti funzioni che non sono esclusivamente legate alla produzione di derrate alimentari (paesaggio, assetto idrogeologico, tutela della flora e della fauna, ecc.);
- verificare gli effetti ambientali reali e potenziali degli organismi transgenici (impatti diretti e indiretti, effetti sulla flora, effetti sulla fauna,  effetti sul terreno, effetti sugli ecosistemi, effetti economici, ecc.), al fine di fornire una risposta univoca a quelli che attualmente sono i principali dubbi che caratterizzano l’applicazione di questa tecnologia.

In particolare, occorrerà verificare se risponde al vero che:
-         possano esserci delle interazioni tra le piante transgeniche e le loro parentali selvatiche, con la possibilità di trasferimento a queste ultime del transgene per la resistenza ai diserbanti, con conseguente creazione di “superinfestanti” resistenti esse stesse al diserbante (come per esempio può accadere tra Colza RR e senape selvatica);
-         - vi possa essere la possibilità di trasferimento a piante parentali selvatiche del transgene per la resistenza agli insetti;
-         - si abbia la selezione nel tempo di insetti resistenti alla tossina insetticida prodotta dal transgene nelle piante BT;
-         - si possa avere un’azione della tossina insetticida anche nei confronti di insetti non bersaglio;
-         - si possa avere un comportamento infestante delle PT resistenti al diserbante, con aggravamento delle problematiche agronomiche connesse al contenimento dei danni provocati dalle piante infestanti;
s            - si abbia una riduzione della biodiversità, in relazione alla forte specializzazione produttiva che accompagnerà la coltivazione di queste piante.
   
Di estrema importanza per il nostro Paese è anche la verifica degli effetti legati all’eventuale modificazione del paesaggio rurale, in relazione al fatto che la transgenesi potrebbe essere in grado di eliminare quelle limitazioni di carattere ambientale che oggigiorno impediscono la diffusione di determinate piante in ambiti territoriali a loro ostili (per assurdo si potrebbe pensare alla diffusione nel nostro Paese di coltivazioni di banane, di datteri, ecc.).
Per quanto attiene, infine, all’economicità, occorrerà verificare se le coltivazioni transgeniche rispondono o meno ad obiettivi di sviluppo sostenibile e se le stesse sono in sintonia con gli obiettivi di politica agraria. In particolare, occorrerà verificare se esse sono in grado di determinare:
-         - un aumento della competitività dell'agricoltura, in relazione alle aperture del commercio internazionale previste dagli Accordi GATT;
-         - un aumento della qualità dei prodotti agricoli, in relazione alle nuove esigenze dei consumatori;
-        - una maggior sostenibilità ambientale delle pratiche agricole;
-         - il mantenimento del prezzo delle produzioni alimentari ad un livello accettabile per gli agricoltori e per i consumatori;
-         - l’impostazione di adeguate politiche di sviluppo rurale, al fine di evitare fenomeni di esodo rurale;
-         - la multifunzionalità dell'agricoltura, al fine di favorire altre forme di integrazione al reddito dell'agricoltore;
-        - il decentramento e la semplificazione burocratica dell'attività agricola.

Preoccupante per il nostro Paese è la possibilità offerta dalle moderne biotecnologie di:
-         - indurre nelle piante la resistenza a fattori pedoclimatici avversi (caldo, freddo, ph, contenuto di calcare, contenuto di sodio, ecc.), al fine di consentire la coltivazione di piante tipiche del nostro territorio (fragola, agrumi, olivo, vite, ortaggi, ecc.) anche in altre aree del pianeta, che presentano limitazioni di tipo pedoclimatico. Quando sarà possibile produrre di tutto ovunque, con ogni probabilità le produzioni si sposteranno laddove minori sono i costi di produzione e laddove minori sono le limitazioni di carattere ambientale e di carattere produttivo (ci si riferisce alle limitazioni nell’uso di concimi, di fitofarmaci, ecc.);
-         - far produrre a piante annuali le sostanze che attualmente otteniamo dopo anni di allevamento da piante arboree (per esempio sembra che sia possibile ottenere dalla coltivazione di colza transgenica un olio "sostanzialmente equivalente" a quello ottenuto dalla spremitura delle olive), e gli esempi potrebbero continuare ancora.

Da un punto di vista economico occorrerà infine operare un confronto tra i costi di produzione in agricoltura convenzionale e transgenica, al fine di stimare l’effetto che l’introduzione di questi nuovi prodotti potrebbe avere sul sistema dei prezzi dei prodotti alimentari.

Nell’ambito dei costi, un ruolo importante assumeranno anche quelli di distribuzione, in quanto la segregazione delle filiere produttive implica la necessità di effettuare analisi del DNA e certificazioni di processo e di prodotto caratterizzate da elevati livelli di costo. Da rilevare a questo proposito che fin tanto che permarranno perplessità e incertezze nell’uso di questi nuovi alimenti non si intravedono grandi vantaggi economici per il consumatore, in quanto i costi dei controlli ed i costi di segregazione delle due filiere andranno a compensare, se non a superare, gli auspicati minori costi di produzione della fase agricola.

Come si può osservare ancora tanto c’è da fare prima di introdurre queste nuove piante per l’alimentazione umana. Del resto non si capisce che fretta ci sia, in quanto non abbiamo certo problemi di carattere quantitativo:
-         - stiamo pagando gli agricoltori per non coltivare la terra (set-aside);
-         - abbiamo quote su gran parte delle produzioni (latte, barbabietole, ecc.);
-         - distruggiamo le produzioni in eccesso per impedire il crollo dei prezzi di mercato (vino,  taluni ortofrutticoli, ecc.).

In questo contesto occorre credere nella ricerca e affidarle il compito di fornire certezze in merito a scelte che possono avere ripercussioni a lungo termine per il nostro sviluppo e per quello delle generazioni future.