Tra le
“mezze verità” che vengono dette in giro in merito alle proprietà miracolose
degli OGM, vi è anche quella relativa al fatto che gli OGM servirebbero per la
risoluzione delle problematiche connesse alla proliferazione delle aflatossine.
Ovviamente, in questa sede non si vuole sostenere che il mais BT non serva a
nulla, ma, purtroppo, il mais BT, molto probabilmente, non rappresenta, da
solo, il mezzo per la risoluzione del problema delle micotossine. In
particolare, negli U.S.A., dove si fa largo uso di mais BT, il contenuto
ammesso di aflatossine negli alimenti è 10 volte quello consentito nei Paesi
dell’UE (0,50 ppb negli USA, contro gli 0.05 ppb nei Paesi dell’UE), segno
inequivocabile che serve qualcos’altro.
Nell’Unione
Europea i limiti massimi di aflatossine sono quelli stabiliti dal Reg. Ce
165/2010, che prevede per il mais valori differenti a seconda della
destinazione della granella. In particolare, per l’alimentazione umana è
consentita la presenza di 5 ppb - parti per miliardo - per l’aflatossina B1 e
10 ppb per le B1+B2+G1+G2. Per l’alimentazione animale è consentita la presenza
di 20 ppb per la B1. Nel latte crudo, nel latte trattato termicamente e nel
latte destinato alla fabbricazione di prodotti a base di latte, il tenore
massimo è di 0,05 ppb di aflatossina M1.
Diversa
è la legislazione americana, in particolare per le aflatossine nei prodotti
destinati all’alimentazione animale. La normativa Usa, infatti, distingue i
limiti massimi a seconda della specie e del periodo di vita dell’animale e
varia notevolmente, passando dal valore minimo di 20 ppb nei prodotti a base di
mais per mangimi destinati alle vacche da latte, fino ad un massimo di 300 ppb
per quelli destinati ai bovini in finissaggio.
Nel
nostro Paese i Limiti Massimi Tollerabili di aflatossine in prodotti destinati
all’alimentazione umana (espressi in
µg/Kg ) sono riportati nella Direttiva 2006/1881/CE. Al limite comunitario di
0.050 ppb per l’aflatossina M1 nel latte crudo e termicamente trattato si
sono adeguati anche alcuni paesi asiatici, africani e dell’America Latina.
In
netto contrasto con quanto prescritto nei Paesi dell’UE sono gli Stati Uniti e alcuni
Paesi dell’Europa orientale e asiatici, che hanno adottato un limite dieci
volte superiore, ovvero 0.50 ppb, limite
adottato anche dal Codex Alimentarius nel 2001.
Pertanto,
negli USA, pur avendo a disposizione l’arma del mais BT, sono consapevoli che
esso da solo non serve a risolvere il problema aflatossine.
Negli
U.S.A., pur potendo contare sulla possibilità di coltivare mais BT, può
accadere poi che in particolari annate i limiti possano anche essere ritoccati,
in relazione al fatto che vengono superate le soglie ammesse:
Nella
realtà esistono altre problematiche legate alla diffusione di aflatossine nel
mais. In particolare:
-
Occorre
in primo luogo prestare attenzione alle rotazioni, al fine di limitare la
diffusione della piralide. A questo
proposito, occorre rilevare che negli ultimi decenni le aziende agricole, anche
al fine di contenere i costi di produzione, si sono fortemente specializzate,
per cui privilegiano la monocoltura di mais, con tutti i risvolti negativi in
merito alla diffusione di insetti e di piante infestanti;
-
Esiste
poi il problema delle attuali varietà di mais che hanno le brattee che non coprono completamente la pannocchia, per cui si sviluppano attacchi fungini.
Anche in questo caso l’umidità ristagna nelle parti apicali della pannocchia,
per cui si ha proliferazione di agenti micotici;
-
Esiste
poi il problema delle irrigazioni effettuate massicciamente allo scopo di
ottenere una maggior produzione, ma che rappresentano un elemento importante
per lo sviluppo delle aflatossine;
-
Esiste
poi il problema della “aree rifugio”, che devono essere attuate insieme alla
coltivazione del mais e che, se non trattate con insetticidi, origineranno un
prodotto con ingenti attacchi di piralide e, conseguentemente, con un alto
contenuto di aflatossine.
A cosa
servono le “Aree Rifugio”? Sono aree coltivate a mais convenzionale (fino al 50% della superficie coltivata a mais Bt), allo scopo di evitare che soggetti di piralide
resistenti alla proteina BT localizzati nel campo di mais BT vadano a fecondare
altri soggetti resistenti, sempre localizzati nel campo di mais BT, dando così
origine ad una progenie resistente. Il giochetto è presto spiegato: se noi
accanto ad un campo di mais BT mettiamo un campo di mais convenzionale, con
ogni probabilità nel campo di mais BT si selezioneranno soggetti resistenti
alla tossina BT, mentre nel campo convenzionale ci saranno soggetti non
resistenti. L’esclusiva presenza di coltivazioni di mais BT avrebbe determinato
una forte presenza di soggetti resistenti, con creazione di progenie di insetti
resistenti. Mettendo accanto al campo di mais BT un campo di mais
convenzionale, la formazione di progenie di piralide resistente alla tossina BT
è notevolmente rallentata, non evitata, in quanto soggetti resistenti
provenienti dal campo di mais BT possono fecondarsi con soggetti non resistenti
provenienti dal campo di mais convenzionale, dando così origine ad una progenie
che solo in parte è resistente.
Anche
nel caso delle “Aree Rifugio” l’introduzione di piante transgeniche resistenti
agli insetti non ha risolto completamente il problema e non ha semplificato la
coltivazione del mais. In particolare:
- molto spesso gli agricoltori non
hanno seguito il consiglio delle ditte sementiere, per cui non hanno messo in
atto la strategie delle “aree rifugio”;
- coloro che hanno creato le “aree
rifugio” hanno dovuto adottare due specifiche tecniche di coltivazione per lo
stesso prodotto, in quanto la parte coltivata con piante convenzionali deve
essere trattata in modo diverso da quella coltivata con piante transgeniche.
In
conclusione alle considerazioni effettuate sulle piante transgeniche resistenti
agli insetti, occorre chiedersi se quello delle “aree rifugio” è un modello
produttivo adatto all’agricoltura italiana, che, come è risaputo, è costituita
da aziende di modestissima dimensione (6-7 ettari), dove non è raro incontrare
campi coltivati a mais o a soia dell’ordine di poche decine di migliaia di
metri quadrati.
In merito agli effetti del mais BT sul
contenuto di micotossine, il problema è il seguente: consapevoli del fatto che le aree
rifugio saranno oggetto di “grandi attenzioni” da parte della piralide, cosa ne
sarà della granella prodotta in termini di micotossine se non si faranno
trattamenti insetticidi specifici? La granella prodotta sarà buttata? Sarà
destinata alla produzione di biocombustibili?
A
conclusione di queste piccole osservazioni sulle aflatossine nel mais BT, si
può far rilevare che il valore massimo consentito per l’aflatossina M1 nel latte adottato
dall’UE è tra i più bassi al mondo.
Senza
entrare nel dibattito sulla possibilità o opportunità di richiedere o meno una
modifica nella normativa europea sui tenori massimi di aflatossine nel mais, forse troppo stretti, va precisato che
questa procedura è lunga e complessa, anche perché richiede che siano prodotte
nuove informazioni scientifiche, che devono essere valutate dall’Efsa
(l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare) e dal Comitato permanente della
catena alimentare della salute animale.