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giovedì 28 maggio 2015

Piante OGM - Rischi relativi agli insetti utili



prof. Raffaele Testolin, Direttore del Dipartimento Produzione Vegetale e Tecnologie Agrarie Università di Udine

4.2 Rischi relativi agli insetti utili

Il problema ha due facce: la prima riguarda la creazione di resistenze in insetti contro i quali è stata prodotta la pianta transgenica; la seconda riguarda il danno che piante con geni che codificano per biopesticidi (tossine ecc.) possono recare alla entomofauna ‘non-target’, cioè agli insetti non direttamente obiettivo del biopesticida come i predatori e i visitatori occasionali.
Per entrambi gli aspetti, molte ricerche hanno riguardato e riguardano tuttora l’uso di geni che codificano per tossine Bt, derivanti da Bacillus thuringiensis.
Nel primo caso sono ormai documentate resistenze selezionate in alcuni lepidotteri dall’uso di piante Bt. In particolare sono state trovate resistenze nella tignola delle crucifere (Plutella xylostella) allevata su broccoli Bt e colza Bt (Ramachandaran et al 1998 e Tang et al 1999 citati in Tabashnik et al 2000), nel verme rosa delle capsule di cotone (Pectinophora gossypiella), mentre per quanto riguarda le resistenze rilevate in popolazioni di piralide allevata su mais Bt i dati sono contrastanti. Prevalgono i lavori che riportano il superamento di resistenze e in tali lavori il dibattito è relativo al tipo di resistenza: dominante o recessiva. Come è noto i due tipi di resistenza hanno effetti molto diversi sulla possibilità di diffusione del gene stesso (Huang et al 1999; Tabashnik et al 2000).
Per quanto riguarda il secondo aspetto, al di là delle ormai note vicende della farfalla monarca (Danaus plexippus) e del dibattito creatosi attorno a questa vicenda, i risultati riportati in bibliografia sono piuttosto contrastanti. Ciò è dovuto soprattutto all’eterogeneità dei protocolli e a qualche ‘ingenuità’ come l’uso di individui adulti come soggetti sperimentali, quando è noto che la tossina del B. thuringiensis è molto più efficace sugli stadi larvali. Molti dei dati che si trovano in bibliografia poi riguardano tests preparati per la registrazione di formulazioni a base di B. thuringiensis da utilizzare nei trattamenti alle colture e sono poco pertinenti al caso (Croft 1990). Solo recentemente si è operato alimentando predatori con prede cresciute su prodotto transgenico contenente la proteina Bt. I primi risultati non hanno riportato effetti negativi, ad eccezione di un caso in cui si sono registrate mortalità elevate in larve di crisopa (Chrysoperla carnea) alimentate con prede allevate a loro volta su mais Bt (Hilbeck et al 1998). Al di là dei risultati, è importante notare come le prime segnalazioni di resistenze siano comparse in letteratura già nel 1998, cioè ad appena due anni dall’inizio della coltivazione di mais, cotone e patata Bt negli USA. L’allarme è stato preso in seria considerazione da diverse società scientifiche e le perplessità che queste società avanzano con i loro documenti possono essere così riassunte (Wallimann 2000; Saxena et al 1999):
1. la coltivazione su grandi aree a monocoltura di specie come mais o cotone, che esprimono costitutivamente composti ad azione insetticida come la tossina Bt, crea un ecosistema omogeneo con una grande pressione selettiva e quindi facilmente orientato a creare resistenze;
2. creando resistenze si rischia di perdere un bio-pesticida, come il Bt, di grande valore, in uso con successo ormai da 30 anni;
3. la tossina Bt, oltre ad agire sui parassiti, sui loro predatori e su visitatori occasionali, viene essudata nel terreno e rimane attiva per oltre 200 giorni, avendo effetti non prevedibili su una miriade di insetti del suolo.