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sabato 29 settembre 2012

Sovranità energetica o sovranità alimentare? Cibo per gli umani o combustibile per le automobili?

Parole chiave: bioenergia, syngas, agricoltura, bioenergetiche, mais, elettricità, risorse rinnovabili, pirolizzatore, terreno agricolo.

         Negli ultimi anni il mercato ha deciso che “il petrolio è più importante del cibo!”. Qualcuno potrà pensare ad un’affermazione fatta da una persona “scarsamente equilibrata”, poiché si può vivere senza petrolio, ma senza cibo è un po’ più difficile! Purtroppo non è così, in quanto la produzione agricola di “biodiesel” o di “bioetanolo” è divenuta più conveniente della produzione di frumento! In particolare, con il prezzo del petrolio che ha toccato i 150 $ il barile, la produzione agricola di biocombustibili, grazie anche agli incentivi pubblici, risulta economicamente più vantaggiosa della produzione di cibo. Fortunatamente, nel momento in cui si scrive questa nota, il prezzo del petrolio è sceso a 70-80 $ il barile, per cui la convenienza è diminuita, ma non al punto tale da impedire un aumento delle superfici agricole destinate alla produzione di biocombustibili. Sempre più spesso terreni agricoli di elevata fertilità vengono destinati alla produzione di biomasse, sempre più spesso imprese finanziarie che investono capitali laddove maggiore è la loro remunerazione affittano o acquistano terreni per avviare produzioni energetiche di origine agricola.
In termini generali potremmo indicare come biocombustibili tutte quelle sostanze di origine organica (vegetale o animale) in grado di produrre energia. Rientrano tra i biocombustibili i biocarburanti, costituiti principalmente da olio vegetale/biodiesel e bioetanolo specificamente utilizzati per l'alimentazione dei motori a combustione interna, e le biomasse, siano esse di origine erbacea o arborea, utilizzate a scopi energetici per la produzione di calore e/o di energia elettrica.
         La legna da ardere è un classico esempio di biocombustibile, per cui potremmo affermare che da sempre l’uomo utilizza biocombustibili per scopi energetici. Perché, allora, l’argomento è divenuto di estrema attualità? Il motivo è da ricercare nel fatto che a differenza di quanto avveniva in epoche passate, dove il biocombustibile derivava principalmente dagli scarti delle produzioni agricole (scarti di lavorazione del legno, sarmenti, ecc.) e/o da specifiche produzioni ottenute in territori marginali che non erano in grado di produrre cibo (per esempio il bosco ceduo attuato in terreni a forte pendenza), oggigiorno la produzione di biocombustibili deriva dalla coltivazione di terreni di elevata qualità agronomica (“terreni fertili”), che vengono normalmente sottratti alla produzione di cibo.
Da un punto di vista etico, pensare che qualcuno sul nostro pianeta utilizzi la Terra Fertile per alimentare le macchine utensili e/o le automobili piuttosto dell’uomo, è sicuramente un affronto nei confronti di chi quotidianamente soffre il problema della fame. Sono ormai una realtà consolidata stufe per il riscaldamento che funzionano a granella di mais, oppure motori a combustione interna per la produzione di elettricità che funzionano ad olio vegetale, oppure, ancora, caldaie per il riscaldamento di edifici e motori per automobili che funzionano a biodiesel o a bioetanolo. 
         In molti Paesi la produzione di biocombustibili è una realtà! Non solo negli U.S.A. o in Brasile dove le automobili alimentate ad alcool sono una realtà da decenni, ma anche da noi! In particolare, nei Paesi dell’UE sono state emanate Direttive che fissano obiettivi indicativi per la sostituzione dei carburanti convenzionali (diesel e benzina) con i biocarburanti derivanti da colture agricole (biodiesel e bioetanolo) e fornisce un inquadramento giuridico per le misure fiscali ed altri provvedimenti di carattere nazionale destinati alla promozione di questi combustibili. In particolare, ne viene incentivata la coltivazione con un contributo specifico per ettaro dell’ordine di 45,00 Euro.
         Nei Paesi dell’Unione Europea le coltivazioni agricole di maggiore interesse per la produzione di biocombustibili si sono rilevate le colture alcoligene ed oleiche per la produzione di biocarburanti liquidi per autotrazione e le colture da fibra per la produzione di biomassa che può essere utilizzata tal quale, oppure può subire la trasformazione in gas (singas o gas di sintesi da utilizzare poi per la produzione di elettricità e calore). Sinteticamente, le coltivazioni agricole destinate alla produzione di biocombustibili possono essere classificare in:
colture alcoligene, amidacee e zuccherine (canna da zucchero, cereali, sorgo zuccherino, barbabietola da zucchero, topinambur, ecc.) per la produzione di etanolo, da impiegarsi come combustibile oppure per la produzione di additivi per combustibili;
colture oleaginose (girasole, colza, soia, ecc.) per la produzione di biodiesel;
colture erbacee ad alta efficienza fotosintetica (sorgo da fibra, Miscanto, Arundo donax ed altre canne, ecc.);
colture arboree a breve rotazione (robinia, salice, pioppo, ginestra, eucalipto, ecc.).
Al momento non sussistono difficoltà di ordine tecnologico per la produzione e l’utilizzazione di biocombustibili, ma solo difficoltà di ordine economico/fiscale, legate al minor costo di mercato del combustibile fossile rispetto a quello ottenuto dalla filiera agricola (ancora per poco se l’incremento di prezzo del petrolio continuerà con la tendenza attuale). In particolare, in termini generali, sarebbe possibile la completa sostituzione del carburante fossile con bioetanolo o biodiesel; il primo ottenuto da specifiche coltivazioni di canna da zucchero, di mais o di sorgo zuccherino, mentre il secondo potrebbe essere ottenuto dall’esterificazione degli oli di soia, di colza o di girasole. Anche il gas proveniente da giacimenti fossili potrebbe essere in parte sostituito dal singas (gas di sintesi) proveniente dalla pirolisi di specifiche produzioni agricole.
I sostenitori dei biocombustibili affermano che essi presentano dei vantaggi rispetto a quelli di origine fossile. In particolare, si possono produrre facilmente nei Paesi europei, favoriscono la diversificazione delle fonti e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, contribuiscono al rispetto degli impegni assunti dall’Europa in materia di cambiamenti climatici (Protocollo di Kyoto, 1997), data la loro origine non fossile sono meno nocivi per l’ambiente, in quanto l’anidride carbonica emessa durante il processo di combustione è uguale a quella assorbita durante il processo di produzione agricola. Relativamente a quest’ultimo aspetto, però, taluni studiosi affermano che il bilancio energetico complessivo sarebbe negativo, in quanto occorrerebbe considerare anche l’energia consumata durante il processo di produzione agricola. In particolare, secondo taluni autori l’energia consumata durante il processo di produzione agricola (lavorazioni meccaniche, concimazioni, trattamenti antiparassitari, irrigazioni, raccolta, trasporto, ecc.) assorbirebbe una quantità di energia superiore a quella incamerata dal processo fotosintetico e utilizzata durante il processo di sfruttamento energetico.  Si consideri poi che l'utilizzazione dei biocombustibili è concentrata nelle aree ad alta densità abitativa, per cui permangono i problemi di inquinamento determinati dalla produzione di anidride carbonica.
Occorre poi considerare che il costo del combustibile di origine agricola non tiene conto delle esternalità che inevitabilmente essi producono. Tra queste le più importanti sono riferite a:
• inquinamento e sfruttamento del suolo (risorsa non rinnovabile) durante la coltivazione della materia prima da trasformare;
• inquinamento prodotto dai rifiuti ottenuti durante il processo di trasformazione. Per esempio, il processo di esterificazione necessario per la trasformazione dell’olio di semi in biodiesel è caratterizzato da una forte produzione di glicerina;
• non ultimo per importanza, la forte sottrazione di terreno agricolo che in precedenza era destinato alla produzione di alimenti. Si tenga presente che nel nostro Paese per sopperire al 5,75% del consumo di biocombustibili programmato dall’Unione Europea, occorrerebbe investire a coltivazioni energetiche dal 25% al 30% dell’attuale Superficie Agricola. In relazione al fatto che sarà impossibile destinare questa parte del territorio agricolo a coltivazioni energetiche, al fine di soddisfare i programmi dell’Unione Europea, sarà inevitabile l’importazione di olio di palma dai Paesi Meno Avanzati, con aggravamento quindi delle problematiche di deforestazione del territorio e di concorrenza in termini di prezzo  dei biocombustibili con le derrate alimentari prodotte in quegli stessi Paesi. Di fatto, numerosi Paesi Meno Avanzati hanno riconvertito territori che un tempo erano destinati alla foresta o alla produzione di alimenti, in terreni agricoli destinati alla coltivazione di palma da olio (Indonesia 16,5 milioni di ettari, Malesia 6 milioni di ettari, Sumatra e Borneo 4 milioni di ettari. Per operare un confronto e per rendersi conto dell’entità del fenomeno si tenga presente che la superficie dell’Italia è di 30 di milioni di ettari), che, con ogni probabilità, sarà destinato a scopi energetici. Per questi Paesi, nei quali vi è anche una certa carenza di cibo, la produzione di biocombustibili risulterà in competizione con la produzione di alimenti. Pertanto, inevitabilmente, la produzione di biocombustibili  contribuirà ad un aggravamento delle crisi alimentari in atto, dovute principalmente ad  una diminuzione dell’offerta locale di cibo, con conseguente aumento dei relativi prezzi.
È piuttosto evidente che al prezzo attuale del petrolio, e fino a quando le imposte sui biocarburanti saranno le stesse di quelle dei carburanti fossili, difficilmente nel nostro Paese potrà avviarsi la produzione e la commercializzazione di biocombustibili su larga scala. Diverso è il discorso relativo alla coltivazione di biomasse per la produzione di energia elettrica, che già oggi, grazie ai “certificati verdi”, garantisce saggi di redditività dei capitali investiti di un certo interesse.
Ma il prezzo del petrolio, inevitabilmente, tenderà a salire, per cui prima o poi si toccherà il punto di pareggio e sarà pertanto conveniente utilizzare biocarburanti agricoli in sostituzione di quelli fossili. Se sarà questa la prospettiva, occorrerà considerare che una buona parte dei terreni agricoli sarà sottratta alla produzione di alimenti e siccome occorre mangiare per vivere, in quanto il bioetanolo o il biodiesel non è un buon nutriente, occorrerà considerare che nei rimanenti terreni vi sarà una intensificazione dei processi produttivi agricoli (maggior impiego di concimi, di fitofarmaci, di acqua di irrigazione, ecc.), al fine di mantenere la produzione quantitativa di cibo ad un certo livello. Tale incremento nell’uso di fattori produttivi esterni all’agricoltura, sarà incentivato anche dall’inevitabile aumento del prezzo del cibo, in quanto la “distrazione” dei terreni agricoli ad altre utilizzazioni determinerà una diminuzione della loro offerta sul mercato. In questo contesto diverrà poi sempre più importante il discorso relativo alle caratteristiche qualitative del cibo, in quanto di solito l’intensificazione dei processi produttivi avviene attraverso una maggior utilizzazione di sostanze chimiche, siano esse fertilizzanti e/o antiparassitari.
In conclusione si può affermare che sempre più spesso le funzioni dell’agricoltura, che dovrebbero essere concentrate nella produzione di cibo in quantità adeguata e con elevati standard qualitativi, subiscono radicali modificazioni nel tempo. In particolare, un tempo l’agricoltore era chiamato a produrre “alimenti”. Oggigiorno l’agricoltore produce prevalentemente “materie prime”  che saranno poi utilizzate dall’industria che realizzerà valore aggiunto dalla successiva produzione di alimenti e/o di energia (gli allevamenti sono senza terra e utilizzano mangimi complessi di origine agricola, gli alimenti semplici non esistono quasi più e sono frutto della preparazione industriale, la coltivazione di biocombustibili è in espansione). E’ ovvio che in questa situazione il settore agricolo non può pretendere di acquisire dalla propria attività le stesse remunerazioni che riusciva ad ottenere quando produceva alimenti e non materie prime.            
A questo punto occorre interrogarsi sulle strategie di sviluppo della nostra società, troppo spesso legate ad una utilizzazione delle risorse finalizzata solo ed esclusivamente alla massimizzazione del profitto. In particolare, non è possibile accettare che possa crearsi una contrapposizione tra la “nutrizione umana” e la “nutrizione delle automobili”! Se contrapposizione si verificherà, ancora una volta il mercato dovrà tener conto di questo aumento della domanda di materie prime agricole, con un inevitabile aumento del prezzo delle derrate agro-alimentari. Soprattutto in un momento in cui secondo i dati della FAO 1 miliardo di persone nel mondo soffre la fame, ed in un momento in cui l’aumento generalizzato dei prezzi delle derrate alimentari ha  determinato in alcuni Paesi la “Guerra del pane” creando nuovi poveri, non è possibile accettare che ancora una volta la parte più ricca del pianeta metta in atto strategie produttive che sono in competizione con le esigenze di garantire un’esistenza dignitosa ad una buona parte della popolazione del Globo. E’ necessario un cambiamento di mentalità e di priorità, al fine di comprendere ed intraprendere le strategie realmente sostenibili ed al fine di maturare una nuova consapevolezza nei confronti delle altre popolazioni che con noi condividono il Pianeta, che hanno esigenze minime: vivere e non sopravvivere!

venerdì 28 settembre 2012

Gentechnisch Veränderte Organismen und Konsumenten



In einer Situation in der die Auswirkungen von gentechnisch veränderten Organismen (GVO) auf die menschliche Gesundheit und auf die Umwelt nicht klar sind, kann der Konsument mit einem bestimmten Risiko im Konsum von gentechnisch veränderten Lebensmitteln (GVL) konfrontiert sein. Und zwar vor allem in den folgenden Fällen :
1) Die GVL besäßen die selben qualitativen Merkmale wie die konventionellen Lebensmittel,           hätten jedoch einen niedrigeren Preis
2) Die GVL besäßen bessere qualitative Merkmale wie die konventionellen Lebensmittel und hätten  den selben Preis
         3) Die GVL erhöhten die Vielfalt der am Markt angebotenen Lebensmittel
         4) Die GVL erhöhten die Lebensmittelsicherheit
         5) Die GVL erhöhten die Umweltsicherheit
         6) Die GVL könnten zu einer Lösung der Hungersnöte in der Welt beitragen
7) Die GVL trägen zu einer Verminderung der sozialen Unterschiede zwischen den  verschiedenen Personen bei


1) Gleiche qualitative Merkmale und niedrigerer Preis

Von einem streng ökonomischen Gesichtspunkt aus betrachtet ist anzumerken, dass der Konsument dazu tendiert, soviel wie möglich beim Einkauf zu sparen, um seinen gesamten Konsum zu maximieren. Daraus erklärt sich, dass der Konsument sich für das GVL entscheidet, falls es die selbe Qualität wie das konventionelle Produkt hat und zu einem niedrigeren Preis angeboten wird. Als erstes jedoch ist noch die qualitative Gleichheit zwischen den GVL und den konventionellen Lebensmittel zu beweisen. Die GVL enthalten nämlich nicht nur das fremde Gen, sondern auch das vom Gen ausgedrückte Protein.

Angenommen, dass wirklich kein qualitativer Unterschied bestünde und die Preise für die Lebensmittel sich verringern würden, dann würde dies ohne Zweifel zu einer Verbesserung der Wohlfahrt der Gesellschaft führen. Die Bevölkerung armer Länder hätte so die Möglichkeit, eine größere Menge an benötigten Lebensmitteln zu kaufen. Während Konsumenten aus reicheren Ländern beim Einkauf von Lebensmitteln Geld sparen könnten, das sie für den Konsum anderer Güter (z.B. Luxusgüter) ausgeben könnten.

Auch wenn der Konsument für die GVL einen niedrigeren Preis zu zahlen hat, bleibt ihm immer noch die Ungewissheit über den tatsächlichen Nährwert solcher Produkte. Diese Unsicherheit führt zu einer Verminderung der Bedürfnisbefriedigung. Der niedere Preis könnte als virtueller, nicht realer Vorteil betrachtet werden, da das gentechnisch veränderte Produkt dem Konsumenten womöglich auch einen niedrigeren Nutzen bringt (es kostet zwar weniger ist aber auch weniger wert!!). Die starke Zunahme der Nachfrage nach biologischen Produkten und Produkten, dessen Herkunft garantiert ist, zeigt, wie wichtig es dem Konsumenten geworden ist, mehr über die organoleptischen Eigenschaften der Lebensmittel zu wissen (der Konsument ist bereit mehr für ein Produkt zu zahlen, das ihm seiner Meinung nach einen höheren Nutzen bringt und das seinen Ansprüchen an Qualität, Echtheit,  Rückverfolgbarkeit und Lebensmittelsicherheit entspricht).



Die Anfangs aufgestellte Hypothese (der niedrigere Preis bringt dem Konsumenten einen Vorteil) kann somit widerlegt werden. Zusätzlich hat die Einführung GVL zu keiner Verminderung, sondern zu einer Erhöhung der Preise für nicht gentechnisch veränderte Produkte, geführt. Dazu kam es, da sich in den industrialisierten Ländern, in denen die Skepsis gegenüber gentechnisch veränderter Produkte größer ist, für das selbe Produkt zwei „Absatzkanäle“ gebildet haben: einen für das GVP und einen für das nicht GVP. Diese Aufteilung ermöglicht dem Konsumenten seinen Einkauf  bewusst zu wählen, ist aber mit höheren Distributionskosten (Seggregierung, Konservierung, Bearbeitung, Etikettierung, Analyse usw.) verbunden. Diese Kosten reduzieren somit die in der landwirtschaftlichen Produktion gewonnenen ökonomischen Vorteile.

Es ist klar, dass eine Erhöhung des Preises sich negativ auf die Wohlfahrt des Konsumenten auswirkt. Nun ist er auch noch gezwungen mehr Geld  für die  nicht gentechnisch veränderten Produkte auszugeben. Und all das bloß, weil diese neuen Lebensmittel eingeführt wurden, ohne sich vorher mit den damit verbundenen sozialen und wirtschaftlichen Probleme auseinander gesetzt zu haben (laut Informationen von in diesem Sektor tätigen Personen, muss man im Vergleich zum konventionellen Soja bereits ca. 15% mehr für gentechnikfrei zertifiziertes Soja bezahlen).

Solange also der Preis für ein GVL im Vergleich zum konventionellen Produkt nicht bedeutend niederer ist, wird der Konsument niemals einem Produkt (GVL) den Vorzug geben, das ihm möglicherweise gesundheitlichen Schaden zuführen und eine Gefahr für zukünftige Generationen und für die Umwelt darstellen könnte. Stattdessen wird er das konventionelle Produkt kaufen, da es immer schon Teil seiner Ernaehrung war und da es ihm im laufe der Zeit bewiesen hat, sicher zu sein.

Es ist notwendig dass durch weitere Forschung all diese Unsicherheiten geklärt werden, bevor man eine Einführung von GVL in Erwägung zieht.


2) Gleicher Preis aber bessere qualitative Eigenschaften

Der Konsument könnte bereit sein, das mit dem Konsum von GVL  verbundene Risiko einzugehen, falls die Preise für GVL und nicht GVL  gleich sind und die GVL aber bessere qualitative Eigenschaften (Nährwert, Art des Konsums, Erreichbarkeit usw.) besitzen.  Ökonomisch gesehen ist dieser Fall eher unrealistisch, da es in der Praxis kaum möglich sein kann, dass ein Produkt mit höheren qualitativen Merkmalen nicht auch einen höheren Preis hat.

Bezüglich Verbesserung der Qualität durch gentechnische Eingriffe ist anzumerken, dass die aktuelle Forschung vor allem auf eine Erleichterung der Produktion gerichtet ist. Beispielsweise werden  vor allem Pflanzen entwickelt, die resistent gegen Herbizide, Insekten und Pilzkrankheiten sind.  Dabei geht es hauptsächlich darum, die Gewinne der Unternehmen, die Patente für diese Pflanzen haben, zu maximieren. Der Konsument jedoch hat  bis jetzt noch keinen qualitativen Vorteil, wie etwa einen besseren Nährwert, aus diesen neuen Produkten schöpfen können. Leider weisen diese gentechnisch veränderten Produkte auch keine geschmacklichen Besonderheiten auf (z.B. die Tomate, die nicht fault wurde wieder vom Markt genommen, da sie einen metallischen Beigeschmack hatte). Es muss jedoch gesagt werden, dass die zur Zeit angebauten gentechnisch veränderten Pflanzen für  die Verarbeitungsindustrie bestimmt sind. Es ist also für diese Produkte sehr schwer, ein objektives und rationales Urteil bezüglich deren Qualität zu fällen.

Auf jeden Fall erhöhen sich die Unsicherheiten von Seiten der Konsumenten bezüglich des Nährwerts dieser Produkte. Diese Bemerkung unterstreicht die Tatsache, dass die GVL von außen nicht von den nicht GVL zu unterscheiden sind. Deshalb könnten dem Konsumenten sowohl GVL als auch konventionelle Lebensmittel verkauft werden, ohne dass er es weis. Im Fall von Lebensmitteln, die eine  höhere Dosis an Vitaminen enthalten, könnte dies sehr problematisch werden. Bekanntlich ist sowohl ein Mangel als auch ein Überschuss an Vitaminen für die menschliche Gesundheit schädlich.  Solche Produkte müssten also von den konventionellen Produkten sichtlich getrennt und nur unter strenger Kontrolle verkauft werden.

Den ersten Vorfall, bei dem eine Verwechslung GVL mit nicht GVL gesundheitlichen Schaden verursacht hat, hat sich schon ereignet. In den vereinigten Staaten wurde nämlich ein gentechnisch manipulierter Mais namens STARLINK, der nur als Tierfutter zugelassen war, im fehl Menschen verabreicht. Bei 50 Personen hat STARLINK eine allergische Reaktion hervorgerufen. Dieser Vorfall brachte einen finanziellen Schaden von mehreren Milliarden.

Das Problem der Rückverfolgbarkeit und richtigen Etikettierung ist nicht zu unterschätzen. Der Konsument legt immer mehr Wert auf Informationen bezüglich Herkunft und Produktionsablauf des zu erwerbenden Produktes.


3) Erhöhung der Vielfalt des Lebensmittelangebots 

Der Konsument könnte GVL akzeptieren, falls diese die Vielfalt des Angebots erhöhen würden. Er hätte so eine größere Auswahl an Lebensmittel und eine größere Abwechslung in der Ernährung.
Die Einführung GVL, führt jedoch auf jeden Fall zu einer Verminderung der genetischen Vielfalt und folglich zu einer Erhöhung der Einseitigkeit der Ernährung. Es werden nämlich nur jene Pflanzen von Landwirten verwendet werden, die auf eine Erleichterung der Produktion modifiziert wurden. So könnten jene wertvollen Pflanzen, die andere qualitative Merkmale wie Geschmack und Nährwert besitzen, von solchen gentechnisch veränderten Pflanzen ersetzt werden. Ein erstes Beispiel für dieses Problem haben wir in den USA, Argentinien und Mexiko, wo eine große Expansion des Anbaus von gentechnisch veränderten Mais und Soja zu beobachten ist. Dadurch dass die Produktionskosten bei gentechnisch veränderten Mais bzw. Soja niederer sind und es keinen getrennten Markt für konventionellen Mais bzw. Soja gibt, sind die Landwirte „gezwungen“ (vom Markt) die konventionellen Pflanzen mit den gentechnisch modifizierten Pflanzen zu ersetzen. Nur so können sie bezüglich ihrer Einkommen wettbewerbsfähig bleiben. 

Die Verminderung der Zahl an qualitativen Merkmalen eines Produktes führt beim Konsumenten zu einer Modifizierung und Homologierung des Geschmacks. Er wird nicht mehr imstande sein, zwischen den traditionellen und künstlichen Geschmäckern zu unterscheiden. Solche traditionelle Lebensmittel werden seltener und auch teurer werden, während die GVL mit ihren künstlichen Geschmäckern größere Verbreitung finden und womöglich preislich interessanter werden. Die Globalisierung spielt diesbezüglich eine  „ziehende“ Rolle, sofern jeder Ort mit seinen spezifischen, lokalen Kulturen seine eigenen  Geschmäcker hervorbringt und so eine Globalisierung der Produktionsstätten begrenzt ist.

Abschließend ist anzumerken, dass Auffassungen über Qualität eine stark subjektive Sache sind. Daher ist es schwer zu sagen, ob zum Beispiel ein Gen das den Zuckergehalt erhöht oder die Reifung verlangsamt, eine Verbesserung oder eine Verschlechterung der Qualität bewirkt. Die Meinung ist stark von Gewohnheiten und vom persönlichen Geschmack abhängig. Dem Konsumenten sollte daher immer das Recht bewahrt bleiben, zwischen den verschiedenen Lebensmitteln (GVL oder nicht GVL) bewusst wählen zu können. Eine entsprechende  Etikettierung ist also unabdingbar. Sie muss einfach und klar sein und muss dem Konsumenten die Möglichkeit bieten ohne jeglichen Kompromiss, gentechnikfreie Lebensmittel zu erwerben.


4) Lebensmittelsicherheit

Befürworter GVL behaupten, dass jene die Lebensmittelsicherheit erhöhen würden, da gentechnisch modifizierte Pflanzen gesünder sind und weniger Mykotoxine enthalten. Jedoch handelt es sich bei diesen GVL um neue Lebensmittel, die nie Teil unserer Ernaehrung gewesen sind und bei denen man noch nicht die genauen Auswirkungen auf die menschliche Gesundheit kennt. Dass man sich von diesem Lebensmittel eine bestimmte Gefahr erwartet, sehen wir schon daran, dass die europäische Gesetzgebung den Gebrauch von GVL zur Ernaehrung von Säuglingen und Kindern unter drei Jahren verbietet. Außerdem weigern sich Versicherungsgesellschaften, Verträge  bezüglich der Gefahren, die von GVL ausgehen könnten, abzuschließen.

Folglich weitere Gründe warum  GVL eine Gefahr für die menschliche Gesundheit darstellen könnten:

1       Die Möglichkeit, mit Proteinen oder Vitaminen angereicherte Lebensmittel mit konventionelle Lebensmittel zu verwechseln
2       Die Möglichkeit GVL, die für den menschlichen Verbrauch bestimmt sind mit jenen, die ausschließlich zur Tierernährung dienen, zu verwechseln.
3       Bestimmte Substanzen, die nur im GVL vorkommen,  können beim Konsumenten allergische Reaktionen hervorrufen
4       Das in einer Pflanze eingeführte Gen, das für eine Resistenz gegen bestimmte Antibiotika codiert (Dieses Gen wird während der Entwicklungsphase des GVO’s benötigt), könnte auf die interstinale bakterielle Flora und von dieser auf pathogene Bakterien übergehen, die in Folge auch resistent gegen diese Antibiotika werden.
5       Mögliche Effekte und Wechselwirkungen des vom fremden Gen ausgedrückten Proteins.
6       Mögliche Effekte und Wechselwirkungen des im Lebensmittel vorhandenen fremden Gens.
7       Die Effekte der Promotoren und Terminatoren auf das Lebensmittel und auf die Umwelt.

Besonders schwer ist das Problem der Allergie zu lösen. Ein kleiner Teil der Bevölkerung könnte, ohne es zu wissen, allergisch auf das vom fremden Gen ausgedrückte Protein reagieren und gesundheitlichen Schaden davontragen.

Nochmals ist auf die Wichtigkeit einer intensiveren Forschung bezüglich GVL und ihre Auswirkungen auf Gesundheit und Umwelt hinzuweisen. Auch die Etikettierung ist entscheidend, um dem Konsumenten eine bewusste Wahl der Art des Lebensmittels (GVL oder nicht GVL) zu ermöglichen.


5) Umweltsicherheit

Auch für den Fall, dass die Produktion des GVL’s einen geringeren negativen Effekt auf die Umwelt hat, könnte der Konsum des GVL’s mit Risiken für den Konsumenten verbunden sein. Der Anbau von Pflanzen, die mithilfe  gentechnischer Manipulation resistent gegenüber der meisten Krankheiten und Schädlinge geworden sind, hat sicherlich eine Verminderung, der im konventionellen Anbau einzusetzenden Pflanzenschutzmittel zur Folge. Andererseits muss man jedoch auf die Komplexität des „Systems Natur“ hinweisen. Folglich haben einige Forschungen ergeben, dass mit der Zeit Insekten eine natürliche Resistenz gegenüber bestimmte Toxine entwickeln. Weiters können Unkräuter durch Pollenübertragung und Einkreuzung, das gegen Herbizide resistente Gen von der Kulturpflanze übertragen bekommen (nach einigen Autoren gibt es in den Ländern, in denen als erstes GVO eingeführt wurden Unkräuter, die bereits resistent gegen das Herbizid Roundup geworden sind).

Daraus ist schon ersichtlich, dass die genetische Manipulation  die Probleme im Anbau nicht lösen kann, wenn doch schon nach einigen Jahren  die Ausgangssituation wiederhergestellt ist. Die Folgesituation ist sogar schlimmer, wenn man bedenkt, dass die Schädlinge durch ihre Resistenzbildung, neue genetische Merkmale erwerben (dieser Punkt trifft besonders die Bio- Bauern, die nun mit virulenteren Schädlingen zu kämpfen haben).

Ein größeres Problem aus Sicht der Umweltbelastung, ist die genetische Kontamination. Die fremden Gene der GVO, werden nämlich in allen Teilen der Pflanze ausgedrückt, auch im Pollen (es gibt zwar eine Technik die das vorkommen des Gens im Pollen verhindert, sie wird jedoch noch nicht angewandt). So kommt es zu einer unkontrollierbaren Verbreitung dieser gentechnisch modifizierten Pflanze durch Wind und Insekten. Dieser Pollen kann also verwandte, nicht gentechnisch veränderte Pflanzen bestäuben und es entstehen Samen, die das fremde Gen enthalten. Im nächsten Jahr geht das fremde Gen über den Samen auf die Folgekultur über und es kommt zu einer unkontrollierbaren Replikation dieses Gens.

Bezüglich der Verbreitung des Pollens über die Luft müsste noch erörtert werden, inwiefern die Möglichkeit einer genetischen Kontamination beim Anbau konventioneller Kulturen neben gentechnisch veränderten Pflanzen bestünde. Welche Konsequenzen ergeben sich für Kulturen, bei denen kein Einsatz von Gentechnik vorgesehen ist? Welche Konsequenzen ergeben sich für den biologischen Anbau, der den Einsatz von GVO völlig ausschließt? Wer übernimmt die Verantwortung für mögliche ökonomische Schäden?

Doch was geschieht, wenn Insekten oder Pflanzen, die mit der Zeit eine Resistenz erworben haben, beginnen Schäden anzurichten?
Prinzipiell gibt es zwei Lösungsansätze:
1)    Einführung eines neuen Gens in die Kulturpflanze um sie wiederum resistent gegen die neuen Schädlinge zu machen (so müssten alle 5-6 Jahre neue gentechnisch veränderte Pflanzen eingeführt werden und es käme so zu einer zunehmenden Abhängigkeit des Bauern von der Samenherstellenden Industrie).
2)    Entwicklung spezieller chemischer Mittel die den Antagonisten (neue Antiparasiten, neue Herbizide usw.) eliminieren.

Keine dieser Lösungen ist tragbar. Im ersten Fall kommt es mit der Zeit zu einer Häufung von fremden Genen in derselben Pflanze (falls wir in derselben Pflanze 10, 20, oder 1000 fremde Gene vorfinden, handelt es sich dann noch um dieselbe Pflanze?). Im zweiten Fall würden wir uns  bereits nach wenigen Jahren in der Ausgangssituation vorfinden, mit dem Unterschied, dass man dann neue chemische Mittel finden muss, um die resistent gewordenen Insekten kontrollieren zu können.

Bezüglich der gegen bestimmte Insekten resistente Pflanzen ist zu beachten, dass ihre, als insektizid fungierende Proteine, nicht nur Schädlinge eliminieren, sondern vielleicht auch eine Gefahr für nützliche Tiere (Pollenüberträger, Bodendurchlockerer usw.) darstellen könnten. Dies ist ein sehr bedeutender Punkt, da somit für die Nahrungskette wichtige Insekten eliminiert werden. Was würde geschehen, falls das Gen, das das „Insektizid-Protein“ produziert, auf andere verwandte, aber wild vorkommende Pflanzen überginge? Welche Insekten würden von diesen Pflanzen eliminiert werden? Welche Auswirkungen würde das auf andere Tiere haben, die Teil derselben Nahrungskette sind? Auf diese Fragen müssen Antworten gefunden werden bevor GVP in der freien Natur angebaut werden.


6) Welthunger

„ Die GVO sind die einzige Lösung zur Beseitigung des Hungers in der Welt“! Diese Behauptung steht jedoch in starkem Widerspruch mit der Realität. Tatsächlich liegen die Gründe einer Hungersnot nicht immer an einem Mangel an Quantität, sondern viel öfter sind interne politische und ökonomische Probleme dafür verantwortlich. Also, um das Problem des Hungers zu lösen, muss als erstes die Armut der betroffenen Bevölkerung gemindert (ihr Einkommen sollte mindestens so hoch sein, dass sie sich die nötigsten Lebensmittel kaufen können) und eine „gesunde“ politische Situation geschaffen werden. Am Beispiel Indiens, das als Hauptexporteur von Getreide, trotzdem mit Hungersnöten im eigenen Land zu kämpfen hat, erkennen wir die Richtigkeit der vorangehenden Argumentation. In diesem Punkt ist noch zu klären, inwiefern der Einsatz von GVO nicht sogar diese Hungersituation verschlechtern könnte. Dazu könnte es im Falle einer, durch eine Erhöhung der Exporte folgende Erhöhung der internen Preise  für Lebensmittel, kommen.

Eliminierung des Hungers auf der Welt bedeutet sicherlich eine groeßere Menge an Lebensmitteln zu produzieren, bedeutet aber auch die Essensgewohnheiten der Bevoelkerung der reichen Länder, zu ändern. Der hohe Fleischkonsum bringt nämlich eine größere Verschwendung an pflanzlichen Kalorien mit sich. Für die Produktion von einer Kalorie tierischen Ursprungs benötigt man nämlich 7-8 Kalorien pflanzlichen Ursprungs. Das heißt nicht, dass wir nun alle Vegetarier werden sollen, um den Hunger auf der Welt zu beseitigen. Jedoch soll der Konsument bezüglich seiner Ernaehrungsweisen etwas bewusster werden. Bewusster auch bezüglich der negativen Einflüsse intensiver Tierhaltung auf die Umwelt (Boden und Wasser) und bezüglich der qualitativen Eigenschaften des Fleisches (Fleisch von Tieren, die mit Hormonen oder Antibiotika behandelt und Fleisch von Tieren, die mit tierischem Futtermittel gefüttert wurden usw.).


7) Soziale Unterschiede

Der Konsument könnte den GVL gegenüber positiv  eingestellt sein, falls diese zu einer Verminderung der sozialen Unterschiede zwischen den verschiedenen Personen und zu einer allgemeinen Verbesserung des Wohlstands der schwächeren sozialen Schichten führen würden. Das Gegenteil wird jedoch der Fall sein, wenn man bedenkt, dass GVL mit ihren niedrigeren Preisen und größeren Risiken, vor allem von Personen erworben werden, die einer schwächeren sozialen Schicht angehören. Während die reicheren Personen sich immer mehr mit biologischen Produkten und Produkten aus kontrollierter Herkunft ernähren werden. In einem Moment, in dem die Auswirkungen von GVL auf die menschliche Gesundheit nicht klar sind, stellt dies ein großes Problem bezüglich sozialer Sicherheit dar.

Gentechnik, Patentrechte und Landwirtschaft: Ein schwieriges Zusammenleben


1. Grundsätzliche Überlegungen

Ich denke es ist für jeden klar, dass die Entwicklung der Gentechnik mit der Möglichkeit Patentrechte einzusetzen einhergeht, wenn nicht sogar darauf aufbaut. Ohne Patentrechte würde es wahrscheinlich gar keine Gentechnik geben und somit würden wir an dieser Stelle gar nicht darüber nachdenken. Trotzdem sind wir uns bewusst, dass Patentrechte generell einen Anreiz für die wissenschaftliche Forschung zum Wohle der Menschheit darstellen. Der Gedanke, dass Patentrechte bei Pflanzen und Tieren in der Landwirtschaft mit grundlegender Bedeutung für die menschliche Ernährung angewandt werden könnten, schockiert uns besonders. Ich möchte unterstreichen, dass wir hier von  Ernaehrung sprechen, einem Bedürfnis, dem jeder von uns durchschnittlich drei mal am Tag nachzugehen hat.
Aufgrund dieser Überlegungen sind Patentrechte auf Dinge und Gegenstände klar von jenen auf Lebensmittel zu unterscheiden; auch deshalb, weil sie die Machtposition eines jeden Landes in Frage stellen könnten. Bevor patentierte, gentechnisch veränderte Pflanzen und Tiere in der Landwirtschaft eingesetzt werden, müssen wir uns grundsätzlich folgende Fragen stellen:

·        Verbessern sie die menschlichen Bedingungen oder befriedigen sie nur die Profitgier einiger weniger?
·        Erfüllen sie Kriterien wie Qualität, Lebensmittelsicherheit und Rückverfolgbarkeit?
·        Bringen sie Vor- oder Nachteile für unser Land?
·        Nimmt die wirtschaftliche Abhängigkeit der Landwirtschaft zu oder ab?
·        Wie kann der Landwirt das Patent ausschöpfen?
·        Gibt es Grenzen bzgl. seiner wirtschaftlichen Ausschöpfung oder ist jedem alles erlaubt, der es besitzt?
Um auf diese Fragen antworten zu können ist es notwendig, dass eine gewisse Kontrolle in der Forschung, ausgehend von der Entdeckung der technischen Innovation bis hin zur Vermarktung derselben erfolgt, wobei dabei auf die Veränderung der Lebensmitteleigenschaften ein besonderes Augenmerk gelegt werden muss.

·        Wer entscheidet über die Lebensmittelqualität?
·        Kann der Inhaber der Patentrechte die Eigenschaften und Nährwerte von Lebensmitteln beliebig festlegen und nach Lust und Laune verändern?
·        Darf der Inhaber der Patentrechte die bestehenden Bindungen zwischen Qualität und Herstellungsgebiet aufheben?
·        Wie sieht es mit dem Aspekt der Ethik aus; ist alles erlaubt oder gibt es Einschränkungen?

Die Tatsache, dass das zu patentierende Produkt eine „Neuheit“ darstellen muss, vermindert wesentlich den Informationsfluss zwischen den konkurrierenden Forschungsteams. Diese Voraussetzung hat zur Folge, dass eine Veröffentlichung vor Anmeldung des Patents ausreichen würde, um das angestrebte Patent nicht mehr erhalten zu können. Der Forscher, der eine Patentierung seines Produkts zum Ziele hat wird sich deshalb davor hüten, Gegenstand oder Inhalt seiner Forschung vorzeitig zu veröffentlichen. Somit wird sich der Informationsaustausch zwischen den Forschern, der wesentlich zum Forschungserfolg und somit zum Wohlstand der Menschheit beitragen könnte, auf ein Mindestmass reduzieren.

Die Möglichkeit eine Erfindung patentieren lassen zu können bringt das Problem mit sich, dass sich das Interesse der Forscher auf Forschungsbereiche konzentrieren wird, die eine Markteinführung zumindest in Aussicht stellen.
Aufgrund dieser Annahme ergeben sich weitere Fragen:

·        Wer führt Forschungen bezüglich ökologischer, ökonomischer uns sozialer Auswirkungen dieser neuen Technologien durch?
·        Wer führt Forschungen in nicht markttauglichen Sachgebieten durch?
·        Ist der Faktor der „Markttauglichkeit“ ausschlaggebend, ob eine Forschung wichtig oder unwichtig ist?
2. Patentrechte und nationale Landwirtschaft

In diesem zweiten Teil möchte ich nicht auf sämtliche privatwirtschaftliche Probleme eingehen, die mit den Patentrechten auf Pflanzen und Tiere verbunden sind, sondern es sollen vielmehr die Auswirkungen derselben auf die nationale Landwirtschaft untersucht werden.
In unserem Land wird die Sicherung des Einkommens der Landwirte als sehr wichtig eingeschätzt. Dies ist um so wichtiger, wenn wirtschaftspolitische Entscheidungen sehr oft die Bedeutung der Landwirtschaft vernachlässigen. Wie allgemein bekannt ist die Landwirtschaft der Ursprung zahlreicher positiver Externalitaeten, die von grundlegender Bedeutung für eine nachhaltige Entwicklung eines Gebiets sind. (Verbesserung der hydrogeologischen Eigenschaften des Bodens, Landschaftspflege und –erhaltung, Schutz der Flora und Fauna, Erhaltung der Biodiversitaet, Schaffung von Freiräumen, Erhaltung von Tradition und Kultur, Kompensation negativer Auswirkungen von Produktions- und Konsumverhalten seitens Dritter)
Die Landwirtschaft im ländlichen Gebiet erhalten zu können, bedeutet Entscheidungen zu unterbinden, die eine Reduktion des Einkommens für den Landwirt mit sich bringen würden und somit eine Abwanderung, der in der Landwirtschaft tätigen Personen zur Folge hätte. Wie allseits bekannt betrifft die Abwanderung in erster Linie jene Personen, die Einkommensalternativen in anderen Ortschaften suchen und dort auch vorfinden (Pendler). In einem zweiten Moment betrifft es deren Familien und schließlich könnte sich diese Erscheinung auf sämtliche Personen, die im ländlichen Raum leben, ausweiten.


Die Idee pflanzliche und tierische Gene bzw. deren Produkte patentieren zu lassen wurde durch die letzten Entdeckungen über das menschliche Genom erneut aufgegriffen. Obwohl die Allgemeinheit grundsätzlich dagegen ist, ereiferten sich einige Verantwortliche verschiedener Länder Entdeckungen dieser Art als äußerst wichtig zu erachten. Die Meinungsäußerungen bezogen sich insbesondere auf die menschlichen Gene, die als unser Erbe anerkannt werden und somit von jeglicher Form wirtschaftlicher Gewinnabsicht und Patentierung ausgeschlossen werden müssen. Pflanzliche und tierische Gene werden in diesen Diskussionen erst gar nicht angesprochen und es verstärkt sich somit die Annahme, dass einer wirtschaftlichen Nutzung und Patentierung in Zukunft nichts mehr entgegensteht. Die Möglichkeit gentechnisch manipulierte Pflanzen und Tiere patentieren lassen zu können bringt für den, dem das Patent gehört, einen Besitzanspruch ein.

Was bedeutet also dieses „Patent“ für die italienische Landwirtschaft und welche Auswirkungen könnte es auf das Einkommen des Landes haben?
In erster Linie trägt die Patentierung von (ein- oder mehrjährigen) Pflanzen dazu bei, dass die wirtschaftliche Abhängigkeit der Landwirtschaft von der Industrie zunimmt:
Der Landwirt ist gezwungen jedes Jahr Samen jener Kultur einzukaufen, die er vor hat aufzuziehen. Jemand könnte einwenden, dass dies auch heute schon, ohne Patentrechte für den Grossteil der landwirtschaftlichen Kulturen zutrifft. Im Falle der Gentechnik, abgesehen von einer sich ergebenden Monopsoniosituation, bedeuten Patentrechte mehr: Der Landwirt könnte nämlich nicht nur dazu gezwungen werden, die Samen einkaufen zu müssen, sondern dazu auch jene Substanzen, die die Produktion der Samen überhaupt erst ermöglichen. Diese Methode ist auch heute schon bei resistenten Soja- und Maispflanzen gegen bestimmte Unkräuter üblich. In Zukunft könnte sie von Konzernen, die Patentrechte auf gentechnisch veränderte Pflanzen besitzen verstärkt eingesetzt werden um sich vor einer illegalen Verbreitung der Samen schützen zu können.


Angenommen, dass gentechnisch manipulierte Produkte keine negativen Auswirkungen auf die menschliche Gesundheit und deren Umfeld haben und ihre volle Akzeptanz das Vorhandensein eines einzigen Distributionskanals und keine besondere Kennzeichnung der gentechnisch veränderten Produkte mit sich bringen würden, ist zu berücksichtigen, dass jene Konzerne, die gentechnisch veränderte Produkte herstellen einen enormen Wettbewerbsvorteil inne haben werden, der bis zu einer möglichen Monopolstellung derselben führen könnte.
In Ländern, in denen gentechnisch veränderte Lebensmittel ohne besondere Vorsichtsmassnahmen zugelassen werden, haben sich folgende Konsequenzen ergeben: Das Vorhandensein eines einzigen Distributionskanals einhergehend mit einer Preisreduktion für gentechnisch veränderte Produkte hat eine explosionsartige Zunahme des Anbaus dieser neuen Kulturen zur Folge gehabt.
Wie kann man sich dieses Phänomen erklären?
Die niedrigeren Kosten beim Anbau gentechnisch manipulierter Kulturen hat zu einer Preisreduktion der Produkte geführt, unabhängig ob sie gentechnisch verändert waren oder nicht. Aus diesem Grund waren auf Dauer auch jene Landwirte gezwungen gentechnisch manipulierte Kulturen anzupflanzen, die eigentlich gar nicht davon überzeugt waren; nicht aber wegen des überragenden Erfolgs derselben sondern einzig und allein um eine gewisse Rentabilität ihrer landwirtschaftlichen Arbeit trotz Preisreduktion aufrechterhalten zu können.


Vom Blickpunkt der wirtschaftlichen Ausschöpfung gesehen, könnte sich der Inhaber eines Patents darauf beschränken für jedes kg verkauften Samens eine ROYALTY zu verlangen um dem Landwirt sämtliche Freiheiten bezüglich des Verkaufs der Produktion zu gewähren. Diese Geldsumme kann als Entschädigung für die Forschungsarbeit gerechtfertigt werden, die dem Landwirt und schließlich auch dem Konsumenten einen Vorteil (Surplus) einbringt. Es erscheint jedoch notwendig aufzuzeigen, dass im Unterschied zum vorigen Abschnitt die Einführung einer ROYALTY auf Samen den Effekt der Kostenreduktion begrenzen würde. Der Inhaber des Patents wird nämlich wahrscheinlich die Verkaufspreise schrittweise um gerade soviel erhöhen, dass dem Landwirt und in Folge dem Konsumenten die wirtschaftlichen Vorteile auf ein Minimum schrumpfen. Aus diesem Grund könnte die erhoffte Preissenkung von Lebensmitteln ausbleiben, die vor allem sozial schwachen Bevölkerungsgruppen zugute käme.

Der Inhaber des Patents könnte aber einen Schritt weitergehen: Zusätzlich zur ROYALTY für jedes kg verkauften Samens könnte er auch eine ROYALTY für jedes kg der Ernte verlangen, die aus den Samen hervorgeht und verkauft werden kann. Das Patentrecht würde in diesem Fall ein vermindertes Vertragsrecht für den Landwirt mit sich bringen, der in Zukunft nur mehr die Funktion haben wird, Arbeit und Kapital für jenen bereitzustellen, der Patentrechte auf eine bestimmte Pflanze oder ein bestimmtes Tier besitzt.
Was könnte die Folge sein?
Beispielsweise könnte der Erfinder einer gentechnisch manipulierten Tomatenpflanze darauf bestehen, dass die Früchte „seiner“ Pflanze unter einem bestimmten Namen und Handelsmarke verkauft werden müssen. Auf diese Art und Weise nimmt der Inhaber der Patentrechte neben den Anteilen am Verkauf der Samen auch eine ROYALTY für jedes kg verkauften Produktes ein. Um diese Strategie auszuweiten reicht es aus, dass der Inhaber der Patentrechte ein Netz an Samenvermehrern und /oder Handelstreibenden für den Verkauf der Produkte aufbaut, welches die gesamte Produktionskette, angefangen von der Vermehrung des genetischen Materials bis hin zum Verkauf des Endprodukts kontrolliert. Es handelt sich dabei um einen „Integrationsprozess“ in dem ein einzelner Handels- oder Industriekonzern die Vermehrungsrechte einer neuen Pflanze erwirbt, beziehungsweise selbstständig produziert, Handelsmarke des Endprodukts registrieren lässt und somit die gesamte Produktions- und Verkaufskette kontrollieren kann.
Diese Möglichkeit ergibt sich heute einerseits aufgrund der starken Konzentration der Nachfrage von Lebensmitteln und andererseits aufgrund der starken Konzentration des Angebots bedingt durch die Großhandelsketten, die sich durch die Präsenz von rechtlich geschützten Produkten noch verstärken wird. Für Produkte dieser Art sind nämlich die Markteinführung des Vermehrungsmaterials, die Produktion für den Konsum sowie die vorhersehbaren und unvermeidbaren Betrügereien relativ leicht zu kontrollieren.
Objektiv gesehen handelt es sich hierbei um eine extrem effiziente Produktionskette in der jedoch der Landwirt und der Konsument die schwächsten Glieder darstellen: Der Inhaber der Patentrechte könnte den in den Produktionsprozess eingegliederten Firmen Anweisungen bezüglich Qualitätskriterien des Produkts, sowie Art der Verpackung und Modalitäten der Vermarktung auferlegen. In einer solchen Situation braucht der Landwirt nicht davon auszugehen, dass er eine komplette Vergütung für sein landwirtschaftliches Unternehmertum erhält, weil der Inhaber der Patenrechte viele Aktivitäten des Produktionsprozesses selbst organisieren und somit auch dafür kassieren wird.

Der Inhaber der Patentrechte könnte sich allerdings nicht mit der Bezahlung einer ROYALTY für jedes kg verkauften Samens und für jedes kg verkauften Produkts begnügen, sondern er könnte auf den Besitz des Endprodukts bestehen. Dieser Fall könnte dann eintreten, wenn patentiere Pflanzen und Tiere einen starken Konkurrenzvorteil gegenüber anderen Produkten besitzen und die Gewinnabsicht des Patentinhabers in Folge ansteigen würde. Der Inhaber der Patentrechte könnte mit dem Landwirt einen Produktionsvertrag abschließen, in dem Säzeitpunkt, Pflegetechniken und anderes festgelegt sind, wobei sich der Pateninhaber das Verkaufsrecht der gesamten Produktion vorbehält. Natürlich erhält der Landwirt für seine Leistungen eine Vergütung, die auf Basis der Produktionsfaktoren (Land, Kapital und Arbeit) berechnet werden. In einer solchen Situation verfügt der Landwirt allerdings über kein Vertragsrecht mehr, weil er den wenigen Samenproduzenten voll ausgeliefert ist und die Landwirte zueinander in einem Konkurrenzverhältnis stehen um den Zuschlag für die Produktion zu erhalten.
Die Annahme, dass in einer solchen Situation die Vergütung für den Landwirt gering sein wird, liegt nicht fern, abgesehen von der Tatsache, dass der Inhaber der Patentrechte es vorziehen könnte, in andere Länder der Welt abzuwandern um dort kostengünstiger produzieren zu können.


Die Abwanderung der Lebensmittelproduktion aus den traditionellen Anbaugebieten ist auch dadurch bedingt, dass durch die Gentechnik „neue Individuen“ hergestellt werden können, die imstande sind ungünstigen geoklimatischen Bedingungen zu trotzen (z.b.: kälteresistente Erdbeerpflanzen, kalkresistente Weinreben, usw.). Die Abwanderung könnte einerseits die Selbstversorgung einzelner Regionen verbessern, andererseits auch nur deshalb erfolgen, um möglichst günstige Produktionsfaktoren einzusetzen bzw. den Einsatz von Schädlingsbekämpfungs- und Düngemittel, sowie Wachstumshormone und so weiter, die in den traditionellen Anbaugebieten verboten sind zu ermöglichen.
Diese Produkte könnten dann in den traditionellen, bzw. ehemaligen Anbaugebieten auf den Markt kommen...

Es ist klar, dass die geschilderte Situation für unser Land nur wenige Vorteile bringen wird, wenn nicht sogar dazu führen wird, dass unsere Produktion, die seit jeher in unserem Land die besten geoklimatischen Bedingungen vorgefunden hat, ihren Wert verlieren wird.


Ländern, die im Besitz bestimmter Patentrechte sind, könnte es in Zukunft möglich sein, in Gebieten nahe den Distributionsmärkten landwirtschaftliche Kulturen anzulegen. Es handelt sich hierbei um eine Vorgangsweise die heute aufgrund der hohen Vermarktungskosten noch nicht möglich ist. Auf diese Art und Weise könnten sämtliche Umweltprobleme, die eine intensive landwirtschaftliche Bewirtschaftung im eigenen Land zur Folge hätte, vermieden oder besser gesagt „ausgelagert“ werden. (Bodenerosion, Grundwasserverschmutzung, usw.) Dabei bauen Länder mit ungünstigen geoklimatischen Bedingungen beziehungsweise hohen Transportkosten in unserem Land auf Vertragsbasis landwirtschaftliche Produkte für welche sie ein Patent besitzen an. Auf dieser Art und Weise könnte jedes Land der Erde ohne Vorhandensein von landwirtschaftlichen Kulturflächen ein Akteur im Lebensmittelmarkt werden. Die Produktion würde in unserem Land durch Dritte oder Patentinhaber des Vermehrungsmaterials erfolgen, die den Wertzuwachs dieser Kulturen kassieren würden. Aufgrund der Tatsache, dass Lebensmittel leicht austauschbar sind, könnten diese neuen Produkte eine ernstzunehmende Konkurrenz für unsere landestypischen Produkte darstellen.

·        Sind nun die geschilderten Beispiele für die nationale Landwirtschaft von Vor- oder Nachteil?

Es ist notwendig, auf diese Fragen klare Antworten zu finden, bevor sich voreilige Entscheidungen unter Umständen als kontraproduktiv erweisen könnten.


Schlussfolgerungen:

Das Patentrecht auf gentechnisch veränderte Pflanzen und Tiere bringt große Veränderungen für die Landwirtschaft mit sich.
Ein Szenarium sieht eine Form der Landwirtschaft ohne Vertragsrecht vor, wobei sich die Aktivität des Landwirts auf die Bereitstellung von Produktionsfaktoren ausschließlich für den Inhaber der Patentrechte reduziert. Die neuen Lebensmittel können unabhängig vom genetischen Material und Produktionstechnik ohne wesentliche Einschränkungen überall auf der Erde hergestellt werden. Die Folge ist ein Weltmarkt der Lebensmittel in dem es gilt, unabhängig vom Standort, möglichst billig zu produzieren um dann dort zu verkaufen, wo die Kaufkraft am höchsten ist.

·        Sind Globalisierung und Billigproduktion mit Qualität zu vereinbaren?
·        Ist es möglich den Landwirten, die aufgrund höherer Produktionskosten nicht konkurrenzfähig sind, ein angemessenes Einkommen zu garantieren?
·        Ist eine nachhaltige Entwicklung im ländlichen Raum möglich?
·        Ist die kulturelle, wirtschaftliche und soziale Identität eines Gebiets abgesichert?

Es ist notwendig auf diese Fragen Antworten zu finden um zu erkennen, ob Gentechnik und Globalisierung für die nationale Landwirtschaft eine Chance oder womöglich eine Gefahr darstellen, die sich negativ auf das Wohlbefinden der Gesellschaft auswirken könnte. Eine wesentliche Chance liegt im Export, wobei zu berücksichtigen ist, dass die Produktionskosten in unserem Land jene des Weltmarktes übersteigen.
Deshalb sind folgende Punkte festzuhalten:

·        Es ist eine Illusion, dass die nationale Landwirtschaft mit anderen Produktionsstandorten der Erde mit niedrigeren Produktionskosten und Preisen konkurrenzfähig sein wird.
·        Eine Differenzierung des Angebots in Produkt, Verpackung und Herstellung könnten eine Chance für die nationale Landwirtschaft darstellen.
·        Qualität, Lebensmittelsicherheit und Rückverfolgbarkeit sind die Schlagwörter, die zumindest kurzfristig eine angemessene Wertschöpfung für unsere Landwirtschaft mit sich bringen könnte.

Organismes transgéniques, brevet et agriculture: une coexistance difficile


1-     Quelques considérations initiales




Je pense que le développement d’Organismes Transgéniques (OT) est fortement corrélé, si on n’ajoute pas de nouveaux élèments, à la possibilité de breveter le résultat de la manipulation génétique, si le brevet ne se fait pas, ce qui est une probalité, il n’y aura pas de OT et aujourd’hui il n’y aurait pas lieu de parler de cet argument. Mais nous sommes aussi conscients du fait que, en terme général, le brevet pourrait constituer un encouragement à la recherche scientifique, c’est ainsi qu’arrivent les innovations brevetables dans le but d’améliorer le bien-etre de la société.

Ce qui, aujourd’hui laisse encore plus perplexe est l’utilisation d’un brevet dans le domaine agricole, surtout dans le cas où ça concerne des plantes ou des animaux d’importance fondamentale pour l’alimentation humaine. Dans ce cas, nous ne parlons pas d’une fonction physiologique grace à laquelle chacun de nous pourrait en faire le moins possible, nous parlons de l’alimentation, une action que chacun de nous doit accomplir au moins trois fois par jour.

Ce sont ces considérations qui différencient essentiellement les brevet sur le matériel technologique ou sur les modes d’habillement, de ceux sur les plantes ou les animaux à fonction alimentaires, il est également possible de discuter sur la souverainenté alimentaire d’un pays. En particulier quelques questions sont nécessaires avant d’adopter des plantes ou des animaux transgéniques brevetés en agriculture :
-              constituent-ils quelque chose pour l’amélioration de la condition humaine ou est-ce seulement pour augmenter des proffits privés ?
-              répondent-ils aux demandes des consommateurs en terme de qualité, de sécurite alimentaire et de traçabilité ?
-              constituent-ils des avantages ou des désavantages pour l’agriculture de notre pays ?
-              augmentent-ils ou diminuent-ils la dèpenses économiques des agriculteurs ?
-              comment pourra etre exploitater le brevet par rapport à l’agriculteur ?
-              est-ce qu’il existe des limite à cette exploitation économique ou alors tout est accordé à celui qui en détient la propriété ?

Pour répondre à ces questions sur la brevetabilité de la production alimentaire, il est nécessaire qu’il y ait un controle social de la recherche scientifique, surtout dans les phases qui vont de la découverte de l’innovation technologique à son application pour le marché. En particulier, le problème de 1ère importance concerne la modification des caractéristiques de la nourriture. Qui décide de la valeur de la qualité de l’aliment ? Le détenteur du brevet pourrait modifier à son gré les caractéristiques intrinsèques du produit ? Comment pourraient etre modifier les caractéristiques nutritionnelles ? Le dètenteur du brevet pourra-t-il moifier à son gré le lein existant entre la qualité du produit et son lieu de production ? Et d’un point de vue éthique serons nous tous consentants ou y aura-t-il des limitations ?
Quoique cela tienne au développement de la recherche scientifique, le brevet constutue surement un encouragement à la recherche privée, d’un autre coté, la nécessité de devoir assurer la caractéristique de nouveauté que le produit devra avoir dèterminera une baisse du flux d’èchanges d’informations entre les chercheurs qui seront entre eux en concurrence pour obtenir le brevet. En effet, la qualité de la nouveauté est fondamentale pour pouvoir obtenir le brevet. Il est important que quiconque, peu de jour avant le depot de la damande, publie une simple notice relative au produit ou procédé produit pour se voir refuser ou non le brevet. Par conséquent, le chercheur qui vise à obtenir le brevet de son invention se guardera bien de rendre publique et ses lignes de recherche et les modalités au moyen desquelles il essaye de rèsoudre des problèmes déterminants. A ce propos on verra moins quels échanges d’informations entre les chercheurs a contribué au progrès de la recherche scientifique pour le bien de notre société.

Pour la recherche publique le problème est amplifié par le fait que la possibilité de breveter l’invention, comme établi par la dernière loi, provoquera un déplacement des intérets des chercheurs vers un type de recherche caractérisée par une perspéctive d’application pour le marché. A ce point, d’autres questions arrivent spontanèment : qui fera la recherche sur l’impact (environnemental, économique, social...) de la technologie ? Qui fera la recherche dans les secteurs scientifiques qui ne sont pas à meme de déterminer une application de l’invention sur le marché ? ces secteurs de la recherche seront considérés moins important simplement parce qu’ils ne donneront ps naissance à un résultat de type économique ?



2-     Brevet et agriculture nationnale





Dans cette partie, nous ne voulons pas confronter la problématique, encore à clarifier, relative à l’autirisation ou à l’utilisation du brevet pour affirmer un droit privé de propriété sur des plantes ou des animaux, mais nous voulons exclisivement mettre en évidence les effets que l’application de la tutelle « brevet » pourrait avoir sur le secteur agricole national. Une telle nécessité nait de la conscience que pour notre pays, il est stratégique de favoriser les opportunités de revenus pour l’entrepreneur agricole, afin de renforcer les « reflexions » pour le maintien de cette activité sur le territoire rural, un territoire qui est trop souvent négligé dans les choix politiques et économiques et qui est souvent abandonné à lui-meme. Comme s’est connu, en fait, l’activité agricole produit de nombreuses choses qui sont d’importance fondamentale pour le développement soutenu du territoire ( limite les problèmes hydrologiques, défend et maintient le territoire, conserve le paysage, la faune et la flore, la biodiversité, crée des espaces à usage récréatif, conserve des aspect culturels et traditionnels, abaisse des effets environementaux négatifs produits par d’autres activités de production ou de consomation..).

Favoriser le maintien de l’agriculture sur le territoire rural signifie veiller sur quels choix nous pouvons faire pour éviter une réduction des revenus de l’agriculteur qui pourrait donner lieu à un déplacement de la campagne vers la ville. Dans un 1er temps, l’exode rural concerne sutout les personnes qui cherchent des possibilités de revenus dans les endroits ou s’est possible de les obtenir, dans un 2nd temps, l’exode pourrait concerner des familles entières ce qui aurait pour conséquence l’abandon complet du territoire rural.

Remarquons que l’idée de la brevetabilité des gènes des plantes et des animaux, mais aussi des roduits obtenus à partir de leur utilisation, pour une opinion publique essentiellement contre, est sortie renforcée par les dernières déclaration dur le génome humain de quelques représentants des gouvernements des pays qui détiennent d’importantes décuvertes dans ce secteur. En particulier, lur déclarations ont surtout concerné les gènes humains, ces gènes doivent etre considérés comme patrimoine de l’humanité et donc, éthiquement il est inacceptable toute forme de brevet ou d’exploitation économique. Aucune allusion n’est faite pour le mérite des gènes des plantes ou des animaux, ce qui renforce les supositions sur leur bervetabilité et leut exploitation économique. Donc, dans le futur, l’opportunité de pouvoir breveter plantes et animaux transgéniques signifiera pouvoir exercer sur eux un droit de propriété de la part de celui qui détient le brevet.

Que signifie « brevet » pour le secteur agricole italien, et en particulier quel effet il pourrait avoir sur lr revenu de l’agriculteur ?

Dans un 1er temps, le brevet sur les plantes (herbacées ou arboracée) contribuira à augmenter la dépendance économique du secteur agricole à l’égard du secteur industriel, car l’agriculteur serait contraint d’acquérir tous les ans la semence qu’il veut cultiver. Quelqu’un pourrait remarquer qu’en fait, c’est déjà le cas pour la grande partie des productions agricoles, meme si elles ne sont pas brevetées. Dans le cas des OT, le brevet signifie quelque chose de plus car l’agriculteur, au-delà de l’acquisition des semences pourrait etre obligé d’acquérir aussi la mtière 1ère dans le but de faire produire ses semences ( c’est le cas des plantes de soja et de mais résistantes à un désherbage spécifique). Dans le futur, le problème pourrait etre amplifié par le fait que les firmes qui propagent ces nouveaux organismes, pour se protéger de l’utilisation illicite des semences brevetées, pourraient insérer des gènes qui permettraient la germination de la semence seulement sans le cas d’une présence simultanée d’une substance particulière qui serait vendue avec la semence. Si il est vrai, comme nous l’espérons, que ces nouveaux organismes n’auront aucuns effets sur la santé et sut l’environnement, il faudra considérer que leur complète acceptation (présence d’une seule filière de distribution, absence d’étiquetage des produits OGM...) provoquera un fort avantage compétitifs aux firmes qui les produisent, avec la création d’un marchédans des conditions de monopole ou de quasi monopole de l’offre. En fait cela est déjà arrivé dans les pays où on constate une acceptation inconditionnelle de ces nouveaux aliments, la prèsence d’une filière unique de distribution associée à une baisse des prix du marché des produits transgéniques, a provoqué une explosion des superficies cultivées avec ces nouveaux organismes. En pratique, que s’est-il passé ? Il s’est passé que le cout de production plus faible des cultures transgéniques a provoqué une baisse des prix du marché des produits similaires, qu’ils soient transgéniques ou non. Donc, meme les agriculteurs qui au début ne voulaient pas cultiver des produits transgéniques ont été contraints de le faire s’ils voulaient maintenir le degré de revenu de l’activité agricole.

D’un point de vue de l’exploitation économique, le détenteur du brevet pourrait se limiter à demander le paiement d’une royaltie pour chaque kg de semence vendue, laissant la liberté de choix à l’agriculteur à propos des diverses opportunités de vente sur le marché du produit obtenu. Une telle somme d’argent pourrait etre vue comme une juste compensation pour celui qui a investi dans la recherche et a réussi à obtenir une plante caractérisée par un surplus de qualité pour l’agriculteur et le consommateur. On peut cependant remarquer que contrairement à ce qui était souhaité, l’imposition de royaltie sur la semence pourrait limiter le processus de réduction des couts de production, ce qui porterait à augmenter le prix de vente de la semence d’un taux proche de la plus grandee marge qui serait à meme de déterminer aux agriculteurs les avantages économiques possibles pour le cultivateur et donc pour le consommateur. Donc le brevet pourrait empecher la réduction des prix du marché des produits alimentaires, annulant ainsi une amplification des possibilités d’acquérir de la nourriture da la part des classes sociales économiquement plus faibles.

Mais le détenteur du brevet pourrait aussi faire autrement. En plus de demander le paiement d’une royaltie pour chaque kg de semence vendue, il pourrait aussi demander une royaltie pour chaque kg de produit obtenu et introduit sur la marché à partir de cette semence. Le brevet dans ce cas déterminera une baisse du pouvoir contractuel de l’agriculteur, qui dans le futur pourrait devenir un simple prestaire de main d’oeuvre et de capital en faveur de celui qui détiendrait le brevet de telle plante ou de tel animal. En fait, que peut-il arriver dans la réalité ? Le créateur de tel type de tomates ou d’aubergines transgéniques pourrait enregistrer avec le meme nom soit la nouvelle plante, soit la marque commerciale avec lauqlle le fruit de la plante pourra ou devra etre commercialisé. Donc celui qui a breveté une nouvelle plante, en plus d’encaisser un pourcentage sur la vente de la semence, pourra également obtenir une royaltie sur chaque kg de produit vendu. Pour réaliser cette stratégie il est nécessaire que le détenteur du brevet crée à un nivreau mondial un réseau d’exclusivité, qu’il soit multiplicateur de la semence ou commerçant pour la vente du produit, dans le but de controler l’entière filière de production qui part de la multiplication du matériel génétique et arrive à la vente du produit obtenu. Un processus d’intégration dans lequel intervient une seule firme industrielle ou commerciale, qui produit ou acquiert par un créateur les droits de multiplication de la nouvelle plante, enregistre une marque commerciale du produit obtenu à partir de sa culture et en gère l’entière filière. Une telle opportunité est possible aujourd’hui par le fort processus de concentration de la demande des produits alimentaires. En particulier les chaines de la grandes distribution sont en mesure de réaliser de forte concentration de l’offre, qui dans l’exemple rapporté sont facilités par la présence d’un produit légalement protégé, pour lequel il est possible de controler assez simplement soit l’introduction sur le marché, soit la production acheminée au consommateur, mais aussi les prévisibles et inévitables frodes commerciales. Objectivement parlant, c’est une filière de production efficace, dans laquelle par contre l’agriculteur et le consommateur représentent toujours les mailles les plus faibles de la chaines. En effet, le détenteur du brevet pourrait indiquer aux firmes intégrées les caractéristiques qualitatives que le produit devra avoir, l’emballage à adopter mais aussi les modalité de commercialisation. Il est évident que dans une situation de ce type, l’agriculteur ne peut prétendre obtenir une rémunération complète de l’activité entreprise, car beaucoup d’opérations qui caractérisent la filière sont déterminée par celui qui détient le brevet et qui s’approprient des compensations relatives.

Le détenteur du brevet pourrait ne pas se contenter de demander le paiement d’une royaltie sur chaque kg de semence vendue et pour chaque kg de produit final obtenu, il pourrait se réserver la propriété de la production finale. En particulier, la présence d’animaux et de plantes brevetés caractérisés par une fort avantage compétitif, pourraient augmenter les opportunités de revenus pour celui qui en détient la propriété, réalisant la production pour son propre compte, sur la base d’un rpport contractuel avec l’agriculteur. Dans ce cas également se traitent des modalités de production déjà exitentes en agriculture et qui seraient amplifiées par un fort recours au brevet. En effet, celui qui détient le brevet ne vendrait pas la semence sur la marchè et pourrait souscrire avec l’agriculteur un contrat de culture dans lequel seraient indiqués les dates de semence, les modalitè de culture et tout ce qui sert à déterminer le pocessus de production, se reservant la propriété du produit une fois venu à maturité. Evidemment l’agriculteur recevra une indemnité pour l’activité de prestateur, qui sera proportionnel à l’engagement demandé en terme d’apport des facteurs de production (terre, travail, capital). Une situation d’une telle évidence (l’agriculteur n’a aucun pouvoir contractuel), par la présence d’un unique(ou de peu) détenteur de la semence, associé au fait que les cultivateurs ne sont pas en mesure d’exprimerr une unique contrepartie, les met entre eux en concurrence pour l’acquisition des commandes de cultures. Il est facilement imaginable que dans cette situation se déterminera une tendance vers le bas des compensations relatives au développement de l’activité agricole, et dans le pire des cas pour notre agriculture, celui qui possède le brevet pourrait trouver dans d’autres pays de meilleurs condition contractuelles.

Strictement connexe à la problématique précédente est la considération que le brevet pourrait permettre la délocalisation des productions alimentaires de celles qui sont les traditionneles aires de culture. La possibilité d’obtenir de nouveaux individus spécialement conçus et réalisés pour pouvoir résister à des conditions climatiques hostiles ( par exemple fraises résistant au froid....) déterminera la possibilité de pouvoir réaliser la production ailleurs que dans les aires traditionnelles de production (il y en a beaucoup dans notre pays). Une telle localisation pourrait se produire soit dans un but (plus légitime) d’augmenter le degré d’approvisionnement d’une région déterminée, soit ( moins légitime) pour pouvoir promouvoir la production dans des endroits où il est possible d’avoir des facteurs de production à cout plus bas et dans des endroits où il n’existe pas de limitation à l’usage de telle ou telle substance chimique : engrais, antiparasite, hormones de croissance...Les produits obtenus searient ensuite vendus sur les marchés traditionnels (les notres). Il est clair que dans la précédente situation il n’y aurait aucun avantage pour notre pays qui risuerait de perdre la valeur ajoutée des productions qui ont toujours trouvé sur notre territoire les meilleures conditions pédoclimatiques.

Le brevet d’une plante pourrait permettre aux pays qui n’en détienne pas la propiété de réaliser des cultures proches des lieux de marché de collecte, rendant ainsi compétitives des productions qui actuellement sont pénalisées par les couts élevés de commercialisation, évitant dans le meme temps les problématiques environnementales que ces productions pourraient représenter si on les réalisait sur leur territoire.

Pour quelques productions ceci est déjà arrivé. Que s’est-il passé ? Quelques pays, soit parce qu’ils n’ont pas de conditions pédoclimtiques favorables, ou parce qu’ils ne seraient pas assez compétitifs sur notre marché à cause des couts de transports élevés, sont en train de produir sur notre territoire sur une base contractuelle, quelques produits dont ils détiennent le brevet, ces produits au moment de la récolte deviendront leur propriété. C’est ainsi que n’importe quel pays, meme sans vocation de production, et à la limite sans terres agricoles disponibles, pourrait devenir protagoniste sur le marché de l’alimentation, la production serait réalisée dans notre pays pour un compte tiers ou alors pour le compte de celui qui a le brevet du matériel de propagation, qui s’appopriera la valeur ajoutée de cette production. Dans ce contexte, en relations au fait que les produits alimentaires sont facilement remplaçables, le produit issu de la culture pourrait devenir compétitif aussi en comparaison aux autres productions typiques de notre pays. Si ça se fait comme ça, le consommateur pourrait substutuer de telles productions nationnales contre ces nouveaux aliments.

Remarquons enfin, que la culture sur la base contractuelle dans d’autres pays pourrait permettre de laisser aux autres les problématiques environnementales qui en général sont associées à une production agricole intensive ( érosion du sol, pollution de la nappe phréatique...) laissant ainsi aux autres le soin de rèsoudre ces problèmes.

Les exemples précédents constituent-ils pour notre pays un avantage ou un désavantage ? Ils s’adaptent à toutes les cultures ou seulement à celles brevetées ? Et le consommateur aura-t-il des avantages ou des désavantages ? Il faut répondre à ces questions avant de faire des choix qui pourraient avoir des effets non souhaités dans notre pays.

Conclusion





         En conclusion de ce qui a été exposé précédemment, il est possible d’affirmer que le brevet sur les plantes et les animaux transgéniques serait en mesure de boulverser le mode de production en agriculture. Le scénario sera celui d’un secteur dans lequel l’agriculteur perdra tout pouvoir de décision, il deviendra seulement un fournisseur de moyen de production en faveur de celui qui détient le brevet et qui deviendra aussi le propriétaire de l’aliment obtenu. L’aliment pourra etre obtenu n’importe où, dans chaque partie du monde, peu importera le matériel génétique, peu importera la technique de production ou la protection sociale.

         Tout cela impliquera la réalisation d’un grand marché mondial des produits alimentaires, un marché où l’impératif sera de produir de tout, au prix les plus bas possibles pour ensuite vendre le produit là où il y a des moyens économiques pour l’acquérir.

         Mais les couts bas et la globalisation des marchés sont’ils conciliables avec la qualité de production que tout le monde souhaite ? Est-il nécessaire d’assurer un revenu aussi aux agriculteurs des zones désavantagées des points de vue des couts des facteurs de porduction ? Est-ce conciliable avec le développement des territoires ruraux ? Pourra-t-on préserver l’identité culturelle, économique, sociale et professionnelle d’un territoire ?

         Et à ces questions il faudra fournir des réponses, afin de vérifier si dans longtemps, les OT et le processus de globalisation des marché pourront repésenter pour l’agriculture de notre pays une opportunité ou au contraire quelque chose de dangereux, qui pourrait avoir des effets néfastes pour le bien etre de notre société.

         Les opportunités sont liées esclusivement à la possibilité augmenter les exportaions vers les autres pays consommateurs. A ce propos il faut remarquer que les prix de notre production, sont en général supérieurs à ceux des produits du marché mondial.

         Relativement à la cause transgénique, et pour tout ce qui concerne l’agriculture de notre pays il faut noter que :
-              Il est illusoire de penser pouvoir rivaliser avec les autres aires de production, avec les memes produits sur la base des bas couts de production et des bas prix de vente sur le marché.
-              Il faudra différencier notre offre (les produits et ls modes de production) afin de permettre au consommateur un choix de conscience
-              Il faudra valoriser notre pays, travaillant surtout sur la qualité, la sécurité alimentaire et la traçabilité, et ces éléments pourront apporter une valeur ajoutée à notre agriculture.