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giovedì 25 ottobre 2012

Il Partito Democratico è favorevole o contrario all’utilizzazione degli OGM in agricoltura?



Il Partito Democratico è favorevole o contrario all’utilizzazione degli OGM in agricoltura?

Bella domanda! 
Per avere un’idea del pensiero del Partito Democratico nei confronti degli OGM si può visitare il sito  “Italiani Europei”  e leggere i contenuti riguardanti gli OGM, per la gran parte favorevoli all'introduzione degli OGM nell'agricoltura italiana………in particolare, si può visionare il Blog di Anna Meldolesi e rendersi conto che le affermazioni nei riguardi degli OGM in agricoltura sono a senso unico….vengono espresse soltanto opinioni a favore degli OGM in agricoltura!


Anche “LIBERTA' eguale” associazione di cultura politica nata nel 1999 per opera di riformisti provenienti dalle più diverse esperienze nell'ambito del centrosinistra italiano, esprime delle opinioni in merito agli OGM in agricoltura. In particolare, il 5 luglio 2007 si è svolto a Roma, presso la Fondazione Basso, un incontro dibattito organizzato dal Circolo di Roma dell’Associazione sul tema “La società della conoscenza e l’agricoltura del futuro. Idee per il Partito Democratico”. Ha aperto e coordinato il dibattito Alfonso Pascale, membro del comitato di presidenza di Libertà EGUALE di Roma. Tra le tante affermazioni di Alfonso Pascale c’è anche la seguente: “Fino allo sbarco sulla Luna la gente credeva agli scienziati sulla parola. Non è più così. Anche i medici, i fisici e i matematici devono rendere conto di quello che fanno. Bisogna raccontare la scienza e saperlo fare. Il consenso sociale non si può eludere, in nessuna parte del mondo. La modernizzazione ecologica è strettamente legata alle innovazioni che riguardano il cibo. La salubrità, la qualità legata all’origine, la varietà dei requisiti nutrizionali e salutistici e la rintracciabilità degli alimenti potranno essere garantite con la genetica e la genomica, le nanotecnologie e le tecnologie informatiche. E queste stesse innovazioni servono anche per dotare di un’organizzazione modulare i sistemi agroalimentari, in grado di rispondere ad una domanda di cibo “su misura” dell’atteggiamento e dell’attitudine del consumatore. E’ evidente che tutto questo non si può ottenere, come scrive Mario Campli, con le contrapposizioni pregiudiziali tra chi vuole imporre una strategia aggressiva di diffusione delle varietà transgeniche e chi non vuole nemmeno sentir parlare di OGM; tra chi guarda all’alimentazione solo dalla visuale dell’origine territoriale e chi è interessato solo agli aspetti sanitari del cibo. Ci vuole uno sforzo comune per ricondurre i diversi interessi, le diverse sensibilità a farsi carico di una gestione equilibrata del rischio, che però si può conseguire solo con la partecipazione democratica alle scelte, con un dibattito pubblico aperto senza incrinature ideologiche, con una visione globale dei problemi scevra da provincialismi. Bisogna praticare anche qui un ambientalismo del Sì. Non solo per la TAV e i termovalorizzatori, anche per gli Ogm occorre mettere bene in luce vantaggi e rischi e decidere una volta per tutte per il bene collettivo. Non possiamo, da una parte, continuare a consumare sbadatamente prodotti avvelenati, a rilasciare nel suolo una quantità sconsiderata di residui chimici e a non ridurre l’uso irriguo dell’acqua e, dall’altra, pretendere che le nuove tecnologie in grado di affrontare la tutela della salute e dell’ambiente siano a rischio zero.”
Del resto Alfonso Pascale non è certo uno che si risparmia in fatto di “sponsorizzazione” degli OGM in agricoltura!
http://www.partitodemocratico.it/doc/61152/gli-ogm-meglio-degli-insetticidi.htm

http://www.partitodemocratico.it/doc/232694/scusate-il-ritardo.htm

Anche il PD di Padova è sostanzialmente favorevole agli OGM. In una intervista, si legge:

In che modo la produzione agricola può guardare al progresso scientifico e alla ricerca, come nel caso delle biotecnologie e degli ogm, come a una risorsa? 
I nuovi bisogni alimentari e produttivi non possono prescindere dalla ricerca scientifica e dalla sua applicazione: se pensiamo al problema del surriscaldamento climatico, ecco che la scienza è chiamata a soluzioni che da un lato attenuino il fenomeno, dall'altro nell'immediato ne riducano l'impatto.


http://www.partitodemocraticopadova.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1721:bisogni-alimentari-e-ricerca&catid=187:agricoltura&Itemid=148

buona lettura…………..ricordiamocelo quando andremo a votare.

martedì 23 ottobre 2012

OGM: in ambito agroalimentare non abbiamo bisogno di quantità, ma abbiamo bisogno di qualità



Ogni tanto si legge o si sente dire che il nostro Paese dovrebbe adottare piante transgeniche (OGM), in quanto queste piante produrrebbero di più. A parte il fatto che è ancora da dimostrare la maggior produttività delle piante transgeniche rispetto a quelle convenzionali, il vero problema è che nei Paesi dell’Unione Europea non abbiamo bisogno di quantità, ma abbiamo bisogno di qualità. L’aumento produttivo è ormai un vecchio obiettivo della Politica Agraria Comunitaria (PAC). In particolare, è da anni che la PAC cerca di limitare la produzione di eccedenze, con numerosi strumenti, tra i quali:
-         Quote di produzione;
-         Ritiro dei seminativi dalla produzione;
-         Distruzione delle eccedenze produttive.

Le Quote di produzione costituiscono un meccanismo di controllo quantitativo della produzione agricola, sottoposto ad un regime particolare di funzionamento: l'Organizzazione comune di mercato (OCM), che disciplina, secondo regole comuni, la produzione agricola e il suo commercio. Coesistono quattro tipologie di quote:
- Le quote di produzione in senso stretto - riguardano il latte e lo zucchero, sono stabilite a livello nazionale. Ripartite tra le aziende agricole le imprese, esse prevedono sanzioni a carico dei produttori dei singoli Stati membri in caso di superamento;
- Le quote di produzione garantita di carattere nazionale - Tali quote (quantitativi massimi garantiti - QMG; superfici massime garantite - SMG; premi per capo di bestiame) che riguardano un lungo elenco di prodotti, sono equivalenti ad un diritto di aiuto diretto a favore dei produttori, ridotto proporzionalmente in caso di superamento dei limiti prefissati;
- Le quote di produzione garantita a livello comunitario - Detta categoria di quote calcolate sulla produzione EU-15, in via di sparizione, riguarda soltanto alcuni ortofrutticoli trasformati, le leguminose e le banane;
- Le quote nazionali di eccedenze - Dette quote riguardano alcune produzioni mediterranee (il vino, mediante volumi di distillazione approvati) e alcuni ortofrutticoli freschi (tramite soglie di ritiro).

Il Ritiro dei seminativi dalla produzione (di solito con durata ventennale), può essere fatto attraverso diverse modalità. Una volta che i terreni sono stati ritirati, non potranno essere coltivati a seminativo (frumento, mais, soia, ecc.). Assumono una certa importanza:
1.     Il “Ritiro dei seminativi dalla produzione per scopi ambientali”;
2.     Il “Ritiro dei seminativi per la Gestione dei terreni per l’accesso del pubblico e per le attività ricreative”.

A volte, soprattutto nel caso di eccedenze produttive, viene attuata anche la distruzione della produzione, al fine di contenere l’offerta e mantenere un certo prezzo di mercato. Ad esempio, nel caso della vitivinicoltura sono previsti:
-         Misura relativa alla vendemmia verde: per vendemmia verde si intende la distruzione totale o l’eliminazione dei grappoli non ancora giunti a maturazione, riducendo a zero la resa della relativa superficie vitata. Il sostegno a favore della vendemmia verde può consistere nell’erogazione di una compensazione sotto forma di pagamento forfettario per ettaro, il cui importo deve essere stabilito dallo Stato membro.

-         Misura di distillazione di crisi: sostegno concesso per la distillazione volontaria o obbligatoria di eccedenze di vino decisa dagli Stati membri in casi giustificati di crisi, al fine di ridurre o eliminare l’eccedenza e nel contempo garantire la continuità di rifornimento da un raccolto all’altro.

-         Misura relativa alla distillazione dei sottoprodotti: sostegno concesso alla distillazione, volontaria oppure obbligatoria, dei sottoprodotti della vinificazione (vinacce e fecce di vino).

-         Misura relativa alla distillazione di alcole per usi commestibili: sostegno concesso ai produttori, sotto forma di aiuto per ettaro,  per la distillazione del vino in alcole per usi commestibili.

mercoledì 17 ottobre 2012

OGM e micotossine un buon documento pubblicato dalla Regione Veneto

Le micotossine rappresentano sicuramente un problema salutistico. Utilizzare l'argomento micotossine per far passare gli OGM è però una strumentalizzazione che non regge, soprattutto se si considera che negli U.S.A., dove si fa largo uso di piante OGM, il contenuto di aflatossine ammesso nel latte è 10 volte quello consentito nei Paesi dell'Unione Europea (a pag. 90 del link sottostante si legge: Molti ad esempio fanno notare come negli USA sia in vigore un limite per l’aflatossina M1 nel latte (0,5 ppb) che è 10 volte più tollerante rispetto a quello in vigore nella UE (0,05 ppb)). Forse allora non è vero che l'utilizzazione delle piante OGM, con particolare riferimento al mais BT, potrebbe consentire un abbassamento del contenuto di micotossine nella granella di mais.

Che sia colpa del fatto che la coltivazione del mais al fine di aumentare la produzione è irrigata troppo spesso? Che sia colpa del fatto che le brattee non coprono più completamente la pannocchia, lasciando quindi spazio per l'entrata dell'acqua e quindi creando un ambiente favorevole alla diffusione delle muffe? Che sia colpa di una cattiva conservazione?

Ci sono state alcune ricerche che hanno evidenziato un maggior contenuto di micotossine  nei mais convenzionali rispetto a quello BT. In queste ricerche, però, la coltivazione convenzionale è stata portata a termine senza alcun trattamento insetticida contro la piralide.


Ci sono anche ricerche che avrebbero evidenziato un minor contenuto di micotossine nel mais biologico, rispetto a quello convenzionale.

Un buon lavoro sulle micotossine è reperibile a questo indirizzo

http://www.venetoagricoltura.org/upload/pubblicazioni/MAIS_SICUREZZA_ALIMENTARE/Volume_Mais_-_Cap._7.pdf

altri a questi indirizzi

http://www.ermesagricoltura.it/var/portale_agricoltura/storage/file/ra0803075s_1244543930.pdf

http://www.bs.izs.glauco.it/izs_bs/allegati/1383/Micotossine.pdf

http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=4&sqi=2&ved=0CDwQFjAD&url=http%3A%2F%2Fwww.cremona.coldiretti.it%2FRenderImg.aspx%3FCI%3D20488125&ei=I5F1UIXaKImE4gTC-oDYCw&usg=AFQjCNFcH-shGxDi8zBh66SFxTCe8wbQxw&sig2=qU_lreHRHZ2zfcHDke-87g





OGM e Società Italiana di Ecologia


Non è vero che tutti gli scienziati o la gran parte degli scienziati è a favore degli OGM. Già nel 2002, ancor prima che si verificassero alcuni inconvenienti dovuti alla coltivazione di piante OGM, la Società Italiana di Ecologia in un suo documento aveva posto in primo piano la possibilità che l'introduzione di queste nuove piante avrebbe potuto determinare degli effetti ambientali di un certo rilievo.  Il documento è stato sottoscritto da un gran numero di scienziati ricercatori.
  

SCIENZA E AMBIENTE 2002


Come reazione ad alcune esagerazioni di taluni movimenti ambientalisti si va diffondendo la nuova moda di negare l'esistenza di alcuni gravi problemi ambientali per il nostro pianeta. Si afferma inoltre che le politiche di conservazione della natura sono di impedimento allo sviluppo civile ed economico e ostacolano il progresso scientifico. Come scienziati che hanno a cuore la protezione dell'ambiente al di là di ogni credo politico vogliamo invece ribadire, senza allarmismi, ma anche senza ottimismi fideistici, che i problemi che affliggono la nostra Terra sono davvero ingenti. Purtroppo non possiamo non rilevare che anche alcuni colleghi scienziati, facendosi paladini di una visione scientifica parziale e di una tendenza alla semplificazione di problemi intrinsecamente complessi, tendono ad avvalorare la nuova moda "negazionista". Essi inoltre ripropongono l'idea che i problemi dell'umanità, quali la fame e il degrado ambientale, possano essere risolti dal solo progresso scientifico e tecnologico, anzi dal solo progresso in alcune specifiche aree scientifiche. Siamo invece convinti che solo un progresso equilibrato in tutti i settori scientifici e tecnici e solo la parallela adozione di adeguate politiche sociali ed economiche e di conservazione della natura potranno portare ad un reale miglioramento delle condizioni di vita del nostro pianeta.
Più specificatamente vogliamo fare chiarezza su alcuni temi di attualità portando, come scienziati, precise osservazioni ad alcune affermazioni che vengono proposte all'opinione pubblica.
- Riscaldamento globale: secondo taluni non ci sarebbero prove scientifiche del graduale riscaldamento dell'atmosfera della Terra; i cambiamenti climatici ci sono sempre stati e l'eventuale riscaldamento non può essere imputato all'attività dell'uomo.
Nei 160.000 anni precedenti il 1850 la concentrazione di biossido di carbonio in atmosfera è sempre rimasta compresa tra 190 e 290 parti per milione con lente variazioni; dal 1850 ad oggi è aumentata continuamente, passando da 280 a 370 parti per milione. In base alle conoscenze scientifiche attuali, un aumento di tale portata in un tempo così breve non era mai stato registrato prima nella storia della Terra. Non v'è dubbio che tale continua crescita sia dovuta alle emissioni da combustibili fossili e alla deforestazione. Inoltre esiste da centinaia di migliaia di anni una correlazione fortissima tra le concentrazioni di biossido di carbonio e la temperatura media della terra, come scientificamente provato al di là di ogni dubbio negli ultimi anni. Le previsioni più recenti, basate sui modelli di illustri colleghi climatologi, perlopiù provenienti da scuole di fisica, scienziati degni di fede e non fondamentalisti ambientali, sono che la temperatura della terra aumenterà di almeno un grado entro il 2040 se non verranno presi provvedimenti di limitazione delle emissioni.
- Biotecnologie: secondo taluni non si dovrebbero porre limitazioni alla ricerca biotecnologica che ha un ruolo fondamentale per alleviare i problemi dell'umanità.
Sotto il termine "biotecnologie" vengono in realtà indicati settori scientifici e tecnologici diversi: dallo sviluppo di nuovi farmaci (a volte, ma non sempre, basati sull'utilizzo dell'ingegneria genetica), alla clonazione di organi e organismi, all'introduzione di organismi geneticamente modificati per scopo agricolo o zootecnico. Ognuna di queste tecnologie pone problemi diversi dal punto di vista scientifico, etico e sociale e non si può quindi parlarne in maniera generica. Per quanto riguarda l'aspetto di maggiore impatto sull'ambiente, ovvero l'introduzione di organismi geneticamente modificati (OGM), vogliamo osservare che, se è vero che gli effetti sulla salute umana dell'ingestione di cibo proveniente da OGM sono stati grandemente esagerati da alcuni movimenti ambientalisti, è anche vero che alcuni scienziati hanno grandemente esagerato i benefici che possono derivare dall'utilizzo degli OGM per combattere la fame nel mondo e ne hanno minimizzato i pericoli per il mantenimento dell'ambiente naturale di cui l'uomo è parte. Va infatti ricordato che attualmente il 70% dell'area coltivata ad OGM è destinata a specie modificate per resistere all'azione degli erbicidi. L'aumento di produzione agricola dovuto a questi OGM è minimo, se non inesistente, l'unico cosiddetto "vantaggio" essendo la possibilità di utilizzare indiscriminatamente grandi quantità di erbicida senza danneggiare la specie coltivata. Ma gli OGM possono anche costituire un pericolo per il funzionamento degli ecosistemi, poichè la loro introduzione è del tutto analoga al rilascio di specie esotiche, una pratica che ha portato nel recente e lontano passato a qualche beneficio, ma anche a molti danni, di natura sia biologica che economica. L'introduzione di OGM ha già contribuito in alcuni casi al declino di specie e razze naturali e, se effettuata su larga scala, può contribuire a una drastica diminuzione della biodiversità dei nostri ecosistemi. Vogliamo ricordare con forza che a medio e lungo termine la salute dei nostri figli e dei nostri nipoti dipende dal mantenimento del funzionamento degli attuali sistemi naturali che forniscono gratuitamente non solo cibo, legname, fibre tessili, medicinali, ma anche servizi fondamentali per la nostra sopravvivenza quali la purificazione naturale di aria e acqua, il riciclo dei sali nutritivi, la stabilità dei versanti montagnosi, la protezione delle coste dall'erosione.
- Principio di precauzione: secondo taluni esso viene ingiustamente invocato per ritardare il progresso scientifico e tecnologico.
Precisiamo che con principio di precauzione intendiamo questo: "quando ci si propone di introdurre nuove sostanze o nuove tecnologie nell'uso quotidiano bisogna partire dalla presunzione che esse possano avere un effetto nocivo sull'uomo; perciò, prima di commercializzarle e utilizzarle su larga scala, bisogna sottoporle ad un'analisi preventiva dei danni e dei benefici che possono procurare alla salute dell'uomo e dell'ambiente in cui l'uomo vive". Facciamo notare che il principio di precauzione è normalmente adottato per i nuovi farmaci: solo dopo lunghi anni di sperimentazione e di analisi dei possibili effetti negativi e dei comprovati benefici per la salute dell'uomo un nuovo farmaco può venire utilizzato e commercializzato. Simili precauzioni vengono ora adottate anche per i pesticidi. Non è razionale pensare che il principio di precauzione non debba valere anche per altre sostanze con cui l'uomo viene a contatto o che vengono immesse in natura. Finora è invece sostanzialmente invalso il principio opposto, ovvero si parte dalla presunzione che una sostanza non sia nociva e la si ritira dal commercio quando ne vengono comprovati i danni al di là di ogni dubbio. Gli esempi abbondano: basti citare l'esempio dei clorofluorocarburi, la cui immissione in atmosfera ha portato all'assottigliamento dello strato di ozono stratosferico fondamentale per la sopravvivenza degli organismi viventi. Dopo la seconda guerra mondiale sono stati sintetizzati milioni di nuove molecole, di cui alcune migliaia sono poi state commercializzate e quindi portate a contatto con vaste popolazioni di uomini, animali e piante. Solo una piccolissima percentuale di queste nuove sostanze è stata sottoposta ad analisi tossicologica. Pur senza indulgere a ingiustificati allarmismi, riteniamo del tutto corretto che questa prassi venga cambiata e resa simile a quella per i farmaci. Riteniamo inoltre che il principio di precauzione vada applicato anche agli OGM.
- Nuove infrastrutture: secondo taluni non bisogna assolutamente ostacolare i tentativi di dotare il Paese di infrastrutture vitali per lo sviluppo economico e per il miglioramento della qualità della vita della popolazione.
Il nostro paese ha sicuramente bisogno di investire in infrastrutture. Va però precisato che i miglioramenti infrastrutturali necessari per lo sviluppo del paese non sono costituiti solo dalla costruzione di nuove strade o ponti. L'adeguamento dei finanziamenti alla ricerca scientifica di base alle percentuali di PIL degli altri Paesi avanzati, la costruzione di laboratori scientifici per gli studenti, l'apprestamento di efficienti reti informatiche e di biblioteche, la costruzione di impianti di depurazione delle acque reflue e di reti di approvvigionamento idrico, il miglioramento dei servizi tecnici di sorveglianza contro gli incendi e dei servizi idrogeologici e meteorologici sono anch'essi fondamentali investimenti infrastrutturali. Secondo noi vale il principio che le cattedrali nel deserto non servono a nessuno e quindi che gli investimenti devono essere equilibrati e andare a rafforzare tutti i settori carenti del nostro paese. Riteniamo inoltre che una nuova infrastruttura debba soddisfare a tre requisiti: a) non essere fine a se stessa, ma fornire la soluzione di una ben precisa esigenza pubblica; b) venire valutata in termini sia di costi e benefici economici che di impatto per la salute dell'uomo e dell'ambiente; c) non avere alcuna ragionevole alternativa che abbia minore costo economico e minore impatto sull'ambiente. Le valutazioni economiche, sanitarie e ambientali vanno condotte da organi indipendenti da pressioni di parte.
E' importante anche notare come il prepotente emergere negli ultimi trent'anni di una maggiore coscienza delle problematiche ambientali non sia andata a scapito del progresso scientifico, ma anzi abbia dato un enorme impulso al miglioramento tecnologico. Ad esempio i "Clean Air Act Amendments" introdotti dal parlamento statunitense nel 1990 per migliorare la qualità dell'aria non hanno affatto portato ai disastri economici previsti da alcuni critici e sono costati molto meno di quanto predetto inizialmente dalle industrie. In particolare, per quanto riguarda il programma sulle precipitazioni acide dovute al biossido di zolfo, uno studio industriale del 1989 aveva predetto un costo annuale tra 4 e 7 miliardi di dollari, ma le stime più recenti dell' US Accounting Office sono di circa due miliardi di dollari. Il costo della riformulazione del carburante a minore contenuto di benzene era stato valutato dall'industria petrolifera nel 1993 in circa 16 centesimi di dollaro al gallone, ma nel 1999 tale costo è stato valutato essere di solo un centesimo al gallone. Nel 1990 i portavoce di alcune industrie chimiche avevano predetto severi problemi economici e sociali se si fosse accelerata la dismissione dei clorofluorocarburi come refrigeranti. In realtà le industrie chimiche hanno rapidissimamente sviluppato prodotti alternativi ai clorofluorocarburi. E' confortante osservare come recentemente l'atteggiamento del mondo delle imprese verso i problemi ambientali sia cambiato radicalmente. E'sempre maggiore il numero di aziende che adotta strumenti per la gestione ambientale di impresa come i marchi verdi, l'analisi del ciclo di vita dei beni di produzione e lo schema EMAS (management e audit ambientale). Molte imprese hanno infatti scoperto che l'analisi accurata del ciclo produttivo per contenere i danni ambientali ha anche consentito loro di riorganizzare in maniera più razionale l'azienda, realizzando così importanti risparmi sui costi di produzione.
Tutti i medici riconoscono che è meglio prevenire l'insorgenza delle malattie con semplici precauzioni piuttosto che curarle con costosi medicinali quando sono insorte. Siamo convinti che anche per l'ambiente sia meglio investire nella prevenzione del degrado piuttosto che sperare nella cura a posteriori, fidando nell'onnipotenza dello sviluppo scientifico e tecnologico per la soluzione di tutti i guasti provocati dall'incuria e dalla disattenzione. Siamo perciò dell'opinione che i corsi di studio scientifici, sia quelli tradizionali sia quelli di nuova istituzione, non debbano ripiegarsi su di un sapere estremamente specializzato, ma aprirsi all'insegnamento anche di altre discipline scientifiche e di discipline socio-economiche. Solo così creeremo degli scienziati coscienti della realtà sociale in cui operano e della loro influenza sulla salute del nostro ambiente naturale. Siamo convinti che in questa maniera l'Italia non farebbe altro che continuare la sua grande tradizione umanistica nel solco di personaggi come Leonardo, che fu grande scienziato, ingegnere, osservatore della natura e al contempo grande artista.
Per concludere non possiamo infine non ricordare che la libertà di ricerca scientifica non può essere assoluta, perchè anche la ricerca scientifica e tecnologica è soggetta a limitazioni di ordine morale, come qualsiasi altra attività umana. Tra questi limiti etici c'è anche quello di non nuocere alla meravigliosa Natura che ci circonda, formatasi in miliardi di anni di evoluzione biologica.



Il Consiglio Direttivo della Societa' Italiana di Ecologia
Amalia Virzo, Presidente, Professore di Ecologia, Università di Napoli Federico II
Marino Gatto, Vicepresidente, Professore di Ecologia Applicata, Politecnico di Milano
Ferdinando Boero, Segretario, Professore di Zoologia e Biologia Marina, Università di Lecce
Alberto Castelli, Consigliere, Professore di Ecologia, Università di Pisa
Almo Farina, Consigliere, Professore di Ecologia, Università di Urbino
Carlo Gaggi, Consigliere, Professore di Ecologia, Università di Siena
Silvana Galassi, Consigliere, Professore di Ecologia, Università dell'Insubria
Pier Francesco Ghetti, Consigliere, Professore di Ecologia, Università di Venezia
Pierluigi Viaroli, Consigliere, Professore di Ecologia, Università di Parma
Ireneo Ferrari, Professore di Ecologia, Università di Parma, ex Presidente della Società Italiana di Ecologia



Hanno sottoscritto:

Gian Carlo Albertelli, Professore di Biologia, Presidente dell'Associazione Italiana di Oceanografia e Limnologia
Carlo Blasi, Professore di Conservazione della Natura e delle sue Risorse, Presidente della Società Botanica Italiana
Massimo Capaccioli, Professore di Astronomia, Direttore dell'Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Presidente della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti
Orazio Ciancio, Professore di Assestamento Forestale, Segretario Generale dell'Accademia di Scienze Forestali
Salvatore Fasulo, Professore di Citologia e Istologia, Presidente dell'Unione Zoologica Italiana
Gerardo Marotta, Presidente dell'Istituto Italiano di Studi Filosofici
Giovanni Sburlino, Professore di Conservazione della Natura e delle sue Risorse, Presidente della Società Italiana di Fitosociologia
Giulio Relini, Professore di Ecologia Animale, Presidente della Società Italiana di Biologia Marina
Luciano Bullini, Professore di Ecologia, Accademico dei Lincei
Ernesto Capanna, Professore di Anatomia Comparata, Accademico dei Lincei
Gian Carlo Carrada, Professore di Biologia marina, Università di Napoli Federico II
Roberto Cenci, Institute for Environment and Sustainability, Joint Research Centre, Ispra
Gabriella Cundari, Professore di Politica dell'Ambiente, Università di Napoli Federico II, Consigliere della Regione Campania
Stefano Guerzoni, Primo Ricercatore, CNR, Istituto di Biologia del Mare, Venezia
Donato Marino, Dirigente, Laboratorio di Botanica Marina, Stazione Zoologica A. Dohrn, Napoli
Paolo Menozzi, Professore di Ecologia, Università di Parma
Sandro Pignatti, Professore di Fondamenti di Valutazione di Impatto Ambientale, Accademico dei Lincei
Andrea Pugliese, Professore di Biomatematica, Universita' di Trento
Aristeo Renzoni, Professore di Conservazione della Natura e delle sue Risorse, Università di Siena
Sergio Rinaldi, Professore di Teoria dei Sistemi, Politecnico di Milano, Premio ITALGAS per le Scienze Ambientali
Andrea Rinaldo, Professore di Costruzioni Idrauliche e Marittime, Universita' di Padova
Remigio Rossi, Professore di Ecologia, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Università di Ferrara
Renzo Rosso, Professore di Infrastrutture Idrauliche, Politecnico di Milano
Rodolfo Soncini Sessa, Professore di Modellistica e Gestione delle Risorse Naturali, Politecnico di Milano

Adesioni ricevute:
Anna Alfani, Professore di Ecologia, Università di Napoli Federico II
Paolo Boscato, Ricercatore di Archeozoologia, Università di Siena
Antonella Brozzetti, Professore di Diritto Bancario, Università di Siena
Giampiero Cai, Ricercatore di Botanica, Università di Siena
Ilaria Corsi, Assegnista di Ecotossicologia, Università di Siena
Roberto Danovaro, Professore di Ecologia, Università di Ancona
Vincenzo De Dominicis, Professore di Botanica, Università di Siena
Giulio De Leo, Professore di Ecologia Applicata, Università di Parma
Anna Elisa Fano, Professore di Ecologia, Università di Ferrara
Lucia Falciai, Ricercatrice di Ecologia, Università di Siena
Silvia Ferrozzi, Assegnista di Ecotossicologia, Università di Siena
Paolo Gambassini, Professore di Ecologia Preistorica, Università di Siena
Folco Giusti, Professore di Zoologia, Università di Siena
Maria Grazia Mazzocchi, Primo Ricercatore, Laboratorio di Oceanografia Biologica, Stazione Zoologica A. Dohrn, Napoli
Stefano Loppi, Ricercatore di Botanica, Università di Siena
Fausto Manes, Professore di Ecologia, Università di Roma La Sapienza
Giuseppe
Manganelli, Professore di Zoogeografia, Università di Siena
Monica Modigh, Ricercatore, Laboratorio di Oceanografia Biologica, Stazione Zoologica A. Dohrn, Napoli
Emanuela Molinaroli, Ricercatore di Geologia Marina, Università di Venezia
Marina Montresor, Primo Ricercatore , Laboratorio di Botanica Marina, Stazione Zoologica A. Dohrn, Napoli
Massimo Nepi, Ricercatore di Botanica, Università di Siena
Ettore Pacini, Professore di Botanica, Università di Siena
Maurizio Ribera d'Alcalà, Primo Ricercatore, Laboratorio di Oceanografia Biologica, Stazione Zoologica A. Dohrn, Napoli
Annamaria Ronchitelli, Professore di Paleontologia Umana, Università di Siena
Gianni Fulvio Russo, Professore di Ecologia, Università di Napoli Parthenope
Vincenzo Saggiomo, Dirigente, Laboratorio di Oceanografia Biologica, Stazione Zoologica A. Dohrn, Napoli
Adriana Zingone, Primo Ricercatore, Laboratorio di Botanica Marina, Stazione Zoologica A. Dohrn, Napoli
Patrizia Torricelli, Professore Ordinario di Ecologia, Dipartimento di Scienze Ambientali, Università Ca' Foscari Venezia
Paolo Burlando, Professore di Idrologia e Gestione delle Risorse Idriche, Scuola Politecnica Federale di Zurigo, Svizzera
Francesco Montecchio Responsabile di Sezione Associazione Italiana per il WWF – Sezione di Este
Rino Cardone Giornalista Professionista, TG3 RAI Radio Televisione Italiana
Valerio Caramassi, Direttore di ECO SRL Marketing e Comunicazione Ambientale, Livorno
Andrea Nardini, ingegnere, esperto senior Ministero Ambiente, Servizio Sviluppo Sostenibile (Roma); socio fondatore del Centro Italiano Riqualificazione Fluviale (CIRF)
Riccardo Sedola, Direttore Tecnico Ufficio Ambiente, Comune di Maranello, Modena
Rosario Gatto, Docente, Min. Pubblica Istruzione
Daniele Fraternali, Ingegnere chimico, ex ricercatore di area ENEL, Ricercatore indipendente nel settore energia ed ambiente
Enzo Pranzini, Professore straordinario di Geografia fisica, Universtà degli Studi di Firenze
Maurizio Gioioisa, Naturalista - Resp. Ricerca, Museo Provinciale di Storia Naturale di Foggia
Adriana Galderisi, Ricercatrice CNR- Docente a contratto presso l'Università Federico II di Napoli,
Gianpaolo Salmoiraghi, Ricercatore confermato, Professore di Ecologia applicata e di Limnologia, Università di Bologna
Giannozzo Pucci, agricoltore, pubblicista, Membro Commissioni agricoltura biologica e agricoltura sostenibile del MIPAF, Associazione Fioretta Mazzei; Associazione La FierucolaOnl.
Luigi Guarrera
, Direttore AMAB-Ass. Medit. Agricoltura Biologica, AMAB
Massimo Pandolfi, Docente e Ricercatore confermato, Università degli Studi di Urbino
Fabio Caporali, Professore Ordinario di Ecologia Agraria, Università della Tuscia
Anna Giovanetti, biologa, ricercatrice ENEA, CR Casaccia, Roma
Pasquale De Sole, Laboratorio di Chimica clinica - Policlinico Gemelli, Università Cattolica Sacro Cuore, Roma
Antonino Drago , Docente di Storia della Fisica, Università Federico II, membro del Com. Scient. del CIRB, Napoli
Elda Perlino, Primo Ricercatore CNR, IBBE- BARI
Franco Medici, Professore di Tecnologia dei Materiali e Chimica Applicata, Università di Roma "La Sapienza"
Elisabetta Morelli, Ricercatore presso l'Istituto di Biofisica, CNR PISA
Gioacchino Carella, Tecnico del CNR e Vice Sindaco di Capurso, Bari
Giovanni Cercignani, Ricercatore Confermato, Università degli Studi di Pisa.
Simonetta Corsolini, Ricercatore di Ecologia. Dip. Sc. Ambientali, Università di Siena
Silvia Olmastroni, Dottoranda in Scienze Polari, Dipartimento Scienze Ambientali, Siena
Stefano Mazzotti, Conservatore Zoologia, Museo di Storia Naturale, Ferrara
Daniele Vitalini, Primo Ricercatore, Istituto per la Chimica e la Tecnologia dei Materiali Polimerici, CNR, Catania
Monica Masti, Funzionario Amministrativo, Università di Siena
Antonio Finizio, Assegnista di Ricerca, Università di Milano Bicocca
Francesco Maria Senatore, Biologo Chiron Vaccines, Siena
Aldemaro Boscagli, Ricercatore, Dip. Scienze Ambientali, Università di Siena
Michele Gregorkiewitz, Professore Associato di Cristallografia, Dip. Scienze della Terra, Università di Siena
Alessandro Chiarucci, Ricercatore, Dip. Scienze Ambientali, Università di Siena
Elena Torricelli, Dottoranda in Ecologia, Dip. Scienze Ambientali, Università di Parma

venerdì 12 ottobre 2012

DAGLI OGM VEGETALI AGLI ANIMALI CLONATI: Scienza, Società, Etica

               Angelo Serra S.I.


            Padre Angelo SERRA è Professore di Genetica Umana presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia “Agostino Gemelli” dell'Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma), in questo articolo intende offrire alcune essenziali informazioni su vari aspetti di questo nuovo campo di ricerche e applicazioni e le nuove responsabilità della scienza, della tecnologia e dell’intera società in questo periodo che è stato definito della «seconda creazione».
In questo scritto di Padre Angelo Serra c'è una affermazione ("l'in­dustria per tutelarsi, oltre il pagamento dei diritti sui semi di varie­tà vegetali brevettate, si assicura che le sementi divengano sterili") che non deve essere interpretata come un errore, in quanto la tecnologia "Terminator" non è ancora stata applicata dall'industria sementiera, ma deve essere intesa come potenziale possibilità applicativa futura.

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Gli ultimi 25 anni del Novecento hanno visto un rapido e cre­scente sviluppo di nuove tecnologie in campo sia vegetale sia anima­le. Fini essenziali sono sempre stati il miglioramento della qualità dei prodotti e la preparazione di «bio reattori» capaci di produrre mole­cole di alto valore nutritivo e terapeutico. Furono denominate «bio­tecnologie» e adottarono come nuovo strumento di lavoro l'«inge­gneria genetica», la quale implica la manipolazione diretta del DNA1. Questo nuovo, ma significativo, ibrido verbale e concettuale fu in­trodotto nel 1965 da un noto genetista, R D. Hotchkiss. Apparve nel titolo di un suo scritto premonitore dal titolo «Presagi per una inge­gneria genetica», dove «presagi» significa «previsione di eventi di grande importanza o di serie calamità». L'Autore aveva previsto, cer­tamente, gli uni e le altre. Ma in questo scritto richiamava l'attenzio­ne soprattutto, e con un'evidente preoccupazione, su rischiose con­seguenze che avrebbero potuto seguire a interventi sull'informazio­ne genetica - o genoma - presente in ogni essere vivente, e con­cludeva: «Coloro che hanno la responsabilità d'insegnare e scrivere di scienza compiranno il loro storico dovere aiutando il nostro pub­blico a riconoscere e valutare queste possibili conseguenze, per evi­tarne gli abusi. Poiché certamente questi si stanno facendo”.
Stava nascendo in realtà, proprio in quegli anni, una nuova tec­nologia, in cui convergevano varie discipline: genetisti, biologi mo­lecolari, biologi cellulari, embriologi, biochimici, medici, veterina­ri, botanici, esperti in scienze dell'agricoltura, fisici, ingegneri e in­formatici. Tecnologia a cui fu attribuita proprio la denominazione di «ingegneria genetica». W. S. Reznikoff, nella sua introduzione al primo Simposio su Progress in Recombinant DNA Technology, tenuto nel 1990, la definiva «la tecnologia con cui l'uomo sceglie e produce mutanti al fine di utilizzare gli organismi risultanti a suo beneficio”3. Anche se - forse - troppo riduttiva, questa defini­zione ne mostra chiaramente il fine: il bene dell'uomo.
Siamo, oggi, in un periodo di sviluppo esponenziale di queste biotecnologie e, quindi, di continuo cambiamento. Se ne tocche­ranno perciò gli aspetti più rilevanti ed essenziali in una prospet­tiva aperta, ma su direttrici indicate da una mente umana che cer­ca la verità. Questo offrirà, da una parte, la possibilità di ammi­rare almeno alcuni traguardi con esse raggiunti o in prospettiva e, dall' altra, la possibilità di comprendere ed esaminare i non pochi interrogativi, sollevati dalle stesse, a livello sia sociale sia etico, al fine di valutare le nuove responsabilità della scienza, della tecnologia e dell'intera società. E’ innanzitutto da affermare con tutta chiarezza che gli sviluppi e le conquiste dell'ingegneria genetica sono stati, sono e saranno straordinari e meravigliosi: espressione, da una parte, della capacità della mente umana di scoprire i mi­steri della natura e svelarne i segreti e, dall'altra, dell'industriosa abilità di plasmarla fino a sentirsene un secondo creatore. Una re­centissima espressione di questa convinzione è il titolo: La secon­da creazione. L’era del controllo biologico4 dato al volume in cui gli stessi scienziati che avevano clonato la pecora Dolly hanno trac­ciato la storia di quell’avventura. Di questa «seconda creazione»fanno parte le nuove biotecnologie in campo vegetale e animale.


Le nuove biotecnologie in campo vegetale

I successi. Nel 1998, in uno stimolante editoriale della rivista scienti­fica statunitense Science, P. H. Abelson tracciava una visione compren­siva e prospettica delle biotecnologie in campo vegetale con espressio­ni incisive e, nello stesso tempo, cariche di entusiasmo: «Il mondo ot­terrà la maggior parte del cibo, dei carburanti, delle fibre, dei prodotti nutritivi chimici e dei prodotti farmaceutici da vegetali e piante geneti­camente modificate. [...] Le maggiori industrie stanno spendendo annualmente miliardi di dollari nell'ingegneria genetica. [...] Semi geneti­camente modificati si stanno producendo su scala sempre più ampia. [...] L'enfasi e lo sviluppo della ricerca genomica industriale sta ora pas­sando ad altre aree, tra cui il miglioramento dei valori nutritivi delle proteine vegetali e la natura e il contenuto dei carboidrati»5.
Molti traguardi erano stati raggiunti attraverso i processi della transgenizzazione, ossia mediante l'inserimento di geni desiderati in embrio­ni di vegetali6. Processi facilitati da una vasta gamma di forme di em­briogenesi vegetale, capaci di dare inizio allo sviluppo di una pianta sen­za passare attraverso il processo della fecondazione, e da due nuove tec­niche di trasferimento dell'informazione genetica: l'ibridazione somatica e l'ingegneria genetica7. Tecniche che diventeranno sempre più fini e complesse quando si potranno isolare geni singoli di cui si conosce la funzione, o assemblare complessi di geni, provenienti da altre specie ap­partenenti anche a regni diversi, atti a regolare specifiche attività. Si sta già lavorando alla preparazione di piante produttrici di semi con carat­teristici contenuti di carboidrati, proteine, lipidi e micronutrienti di più elevato valore nutritivo o industriale8. Anzi, da poco tempo, con il pro­gresso della mappatura genica e della sequenziazione del genoma anche nei vegetali e con gli sviluppi della genomica funzionale, si stanno apren­do nuove vie, più promettenti e, apparentemente almeno, più sicure, che permetteranno l'utilizzazione dei geni di una data pianta per modificare la regolazione di altri geni e funzioni complesse della stessa9.
Molti sono ormai i prodotti transgenici commercializzati o in via di commercializzazione, anche verso il mondo sottosviluppatol0, in parti­colare: frumento, mais, patata, pomodoro, riso, soia. Una buona parte sono piante modificate per renderle più resistenti ai parassiti e agli in­setti, più tolleranti agli erbicidi e a variazioni di temperatura e, quindi, con rese di prodotto più elevate e di miglior qualità. Inoltre si hanno già i primi risultati di piante di migliorato valore nutritivo11; e si sta lavo­rando molto intensamente alla produzione di proteine umane di im­portanza terapeutica, quali emoglobina, enzimi digestivi, proteine seri­che anticoagulanti, antigeni per vaccini orali 12.

Le perplessità. Allo stato attuale, i risultati raggiunti e le poten­zialità e le attese di queste nuove tecnologie in campo vegetale so­no notevoli. Ma non sono piccole le perplessità sulle conseguen­ze del loro impiego e sui prodotti ottenuti. Esse derivano da ra­gionevoli timori di rischi, collegati all'uso dei vegetali transgenici e alla loro stessa produzione, o peggio ancora da possibili - e tal­volta anche evidenti - abusi.
Una prima perplessità riguarda la sicurezza dei nuovi alimenti, soprattutto da un punto di vista nutrizionale e salutistico. Negli Stati"Uniti, dove questi prodotti sono entrati nel mercato dal 1993 e al 1998 erano già saliti a oltre trenta, le regolamentazioni esistenti che ne controllano la sicurezza sono molto severe: le piante inge­gnerizzate e i cibi contenenti prodotti da queste derivati non pos­sono essere commercializzati se non sono stati sottoposti al controllo di speciali agenzie: la USDA (United State Department Of Agricolture), la FDA (Food and Drug Administration) e la EPA (En­vironmental Protective Agenry). In un editoriale di Science del lu­glio 1999 R N. Beachy13, presidente del Donald Danlorth Plant Science Center in St. Louis, rilevava che la fiducia ottenuta dal pubblico negli Stati Uniti era stata la conseguenza di un lavoro di collaborazione in discussioni aperte tra scienziati, comitati norma­tivi, coltivatori e ambientalisti, con il risultato che nel 1999 gli et­tari di terreno per coltura di vegetali ingegnerizzati erano già sali­ti al 40% per il grano, al 45% per i semi di soia e al 50% per il co­tone. Sottolineata, poi, la pressione fortemente contraria sviluppa­tasi soprattutto in Europa - la quale, d'altra parte, aveva colla­borato in vari piani di ricerca e produzione di organismi genetica­mente modificati (OGM) -, esortava gli scienziati europei a usa­re i mezzi massmediali per guadagnare la fiducia del pubblico.
Tuttavia le resistenze all'introduzione del loro uso – soprattutto in Europa - sono ancora notevoli. Le ragioni di ciò sono state ampiamente analizzate con rigorose metodologie, sia scientifiche14, sia psicosociologiche15. Quest'ultima, in particolare, svolta da un gruppo di studiosi dell'Istituto di Metodologia e dal Dipartimento di Psicologia Sociale della London School of Economics intendeva rispondere alla domanda: <<Perché la gente negli Stati Uniti appa­rentemente non è turbata da una tecnologia che pone molte diffi­coltà agli europei?». E concludevano che «diversi fattori sono im­plicati e intercorrelati [...i quali] riflettono più profonde sensibili­tà culturali non soltanto rispetto ai cibi e alle nuove tecnologie de­gli alimenti, ma anche rispetto all'agricoltura e all'ambiente»16.
In realtà, dalla letteratura emergono tre settori principali nei quali possibili rischi non sono ancora sotto pieno controllo17, nonostante le affermazioni delle multinazionali interessate:
1) aumento di allergogeni, i quali, secondo un avvertimento del Comi­tato scientifico del New England Journal of Medicine, potrebbero «essere trasferiti da una pianta all'altra grazie alla manipolazione transgenica»18, come di fatto è accaduto nel caso di una proteina della nocciola brasiliana trasferita nella soia;
2) resistenza agli an­tibiotici19 che potrebbe essere causata dall'integrazione, a fine se­lettivo, di geni di resistenza agli antibiotici nei prodotti transgeni­ci, eventualmente seguita dal loro passaggio alla flora batterica del tubo digerente o della fitosfera con il conseguente aumento di resistenza a terapie antibiotiche; e
3) rischi ecologici, che appaio­no i più preoccupanti20: così, ad esempio, se, da una parte, l'inse­rimento del gene che codifica per una proteina del Bacillus thuringensis induce la produzione di una tossina che agisce quale agente pesticida contro insetti che danneggiano i raccolti, dall'al­tra, essa risulta nociva anche a popolazioni di insetti benefici, dei quali vengono distrutte le larve, e di uccelli predatori di insetti dannosi, alterando così un importante equilibrio ecologico.
Sulla base di queste osservazioni era, perciò, stato chiesto nel 1998 al Governo inglese di introdurre una moratoria della licenza di commercializzazione di prodotti transgenici fino a quando non fosse stato chiarito meglio l'impatto ambientale della produzione di organismi geneticamente modificati. B. Johnson, consigliere del gruppo conservatore English Nature per gli OGM, sulla base di motivate considerazioni ne dava la ragione: <<Il nostro parere è che noi abbiamo bisogno di più tempo per fare ulteriore ricerca sul più vasto impatto dei raccolti geneticamente modificati”2l. Esi­genza confermata da un accuratissimo lavoro pubblicato nel di­cembre 2000 sui rischi ecologici e sui benefici di piante genetica­mente ingegnerizzate, nel quale L. L. Wolfenbarger e P. R. Phifer affermano: «Una revisione della letteratura esistente rivela che mancano esperimenti chiave sia sui rischi sia sui benefici ambien­tali. La complessità dei sistemi ecologici presenta considerevoli difficoltà per tali esperimenti e inevitabili incertezze. Complessivamente gli studi esistenti indicano che questi possono variare nel­lo spazio, nel tempo e con il carattere genetico modificato»22. Una forte istanza etica si è imposta di fronte a questa non superficiale perplessità relativa alla sicurezza dei prodotti e cibi transgenici. Pur dovendo deplorare comportamenti talvolta irragionevoli dei gruppi di resistenza23, è apparsa doverosa 1'esigenza di una valuta­zione rigorosa e di una corretta gestione del rischio24.
Per la «valutazione del rischio», in Europa varie norme sono sta­te emanate, e più volte modificate, per le dovute rilevazioni in vista della notificazione dei prodotti25, e varie tecniche sono state messe a punto per definire la presenza di transgeni nei raccolti e nei cibi26. Alla fine di dicembre 1999, l'Unione Europea adottava ufficial­mente gli emendamenti alla prima Direttiva 90/220/EEC, elabora­ti dal Consiglio dei ministri dell' Ambiente. In particolare, la defi­nizione del rischio non comprenderà soltanto gli effetti diretti e im­mediati, ma anche gli effetti a lungo termine che possono essere stabiliti scientificamente. Estensione richiesta dal «principio di pre­cauzione», che implica maggiore rigore e maggiori restrizioni per controbilanciare le incertezze scientifiche nella determinazione dei rischi e la complessità del sistema, e tende perciò alla minimizzazione del rischio, espressione del rispetto per la persona umana. Principio a cui sembra ispirarsi anche l'lnternational Safety Proto­col detto Cartagena Protocol, approvato nel gennaio 200027.
Alla valutazione del rischio si deve accompagnare la «corretta gestione del rischio», che nell'attuale situazione di dubbio e di re­sistenza, oltre a una corretta e aggiornata informazione, esige l'obbligatorietà della etichettatura. Questa, sottolineano E. Sgreccia e V. Mele, «non soltanto ci sembra in se stessa eticamente cor­retta nei confronti del consumatore, che avrebbe il diritto di co­noscere adeguatamente la composizione di tutti gli alimenti gene­ticamente manipolati e non, ma risulta anche importante in de­terminate circostanze per la tutela della salute”28.
Non mancarono resistenze a questo imperativo morale29 di un'e­tica responsabile, opposte soprattutto dagli Stati Uniti30. Tuttavia ci sono segnali di apertura. A. C. Halsberger, ricordando che recen­temente 49 membri del Congresso statunitense inviarono una let­tera alla FDA chiedendo l'etichettatura obbligatoria dei cibi geneti­camente ingegnerizzati - richiesta fatta anche dal 70% di quanti avevano risposto a un sondaggio - conclude: «Questa significati­va opposizione pubblica all'uso di OGM in molte regioni del mon­do indica chiaramente che soltanto tenendo presenti le preoccupa­zioni ambientali e le richieste dei consumatori e con una maggiore attenzione soprattutto al monitoraggio dei rischi e ad un'appro­priata etichettatura, sarà possibile per l'industria introdurre gli OGM nel mercato mondiale senza significativa resistenza”3l.
Una seconda perplessità riguarda la riduzione della biodiversità. Sono impressionanti alcune cifre, tutte documentate, riportate dall' economista statunitense J. Rifkin: «L'erosione genetica è già a uno stadio avanzato nella maggior parte dei Paesi. Il raccolto di soia degli Stati Uniti, pari al 75% della soia mondiale, è una monocoltura che può essere ricondotta a sole 6 piante importate dal­la Cina, [...] e 10 varietà di frumento rappresentano la maggio­ranza delle messi, mentre solamente 6 varietà di granoturco costi­tuiscono più del 71 % dei raccolti annuali. In India i contadini, an­cora 50 anni or sono, facevano crescere più di 30.000 varietà tra­dizionali di riso; oggi 10 varietà moderne producono più del 75% del riso coltivato in quel Paese»32.
È difficile prevedere dove potrà condurre questa riduzione molto spinta della biodiversità. Si tratta di un dato che sembra an­dare in senso opposto ai processi evolutivi osservati nella natura libera; interessa, tuttavia, un numero relativamente molto piccolo di specie. Una recente nota sul declino della biodiversità nelle re­gioni agricole della Gran Bretagna in seguito all'introduzione commerciale di raccolti geneticamente modificati per la tolleran­za agli erbicidi (GMHT), commentando un modello di studio di tale problema elaborato da A. R. Watkinson e dai suoi collabora­tori, conclude ponendosi la domanda: «I prodotti GMHT sono buoni o cattivi per la vita che si sviluppa in ambiente naturale (wildlife)?». Risponde: «È semplicemente troppo presto per dir­lo. Il modello di Watkinson e dei suoi collaboratori solleva do­mande scientifiche importanti a cui possono rispondere soltanto delle sperimentazioni. [...] L'analisi di Watkinson dimostra quan­to vitali saranno queste valutazioni, per rivelare gli effetti com­plessivi della coltivazione di prodotti GMHT sulla vita naturale inglese>33. L'istanza etica minima, sotto questo aspetto, è che sia­no tenute in attenta e attiva osservazione e considerazione le eventuali conseguenze che si potrebbero manifestare nell' ampia fascia di vita naturale - sia vegetale sia animale - in seguito all’introduzione di più o meno ampie zone di colture transgeniche, al fine di prevenire eventuali effetti che potrebbero dimostrarsi seriamente pericolosi o dannosi all' ambiente in generale, con le eventuali ripercussioni particolarmente sull'uomo. E la grande re­sponsabilità della scienza e della tecnologia, che non può essere trascurata in vista soprattutto delle future generazioni.
Una terza perplessità riguarda le ripercussioni sociali, soprattutto a due livelli: economico e di giustizia distributiva. Sono i due aspetti, forse i più seri e drammatici, a cui non è possibile qui che ac­cennare ricordando soltanto due dati. Il primo: “[L]'81 % dei 29 miliardi di dollari del mercato mondiale agrochimico e il 37% dei 15 miliardi di dollari annuali del mercato globale delle sementi è controllato da dieci industrie agrochimiche [...]. La Novartis, nata dalla fusione tra la Sandoz e l'agrochimica Ciba-Geigy, è l'industria agro chimica più grande del mondo, la seconda di sementi, la terza farmaceutica e la quarta di medicina veterinaria”34. Il secondo: l'in­dustria per tutelarsi, oltre il pagamento dei diritti sui semi di varie­tà vegetali brevettate, si assicura che le sementi divengano sterili. Sono, evidentemente, strumenti per estendere il monopolio plane­tario, paurose concentrazioni di beni che mettono a rischio la so­pravvivenza delle popolazioni più povere, e completano il quadro dei nuovi e seri problemi di etica sociale che si stanno aprendo con lo sviluppo delle biotecnologie anche soltanto nel campo vegetale. L’istanza etica che, di fatto, si presenta come la più urgente e la più grave, ma anche la più difficile, è la ricerca di vie strategiche per un equo livellamento economico che favorisca il più povero, e una produzione e distribuzione meno accentrata dei nuovi prodotti, ca­paci di favorire la nutrizione e la salute nelle zone più depresse.
In conclusione, per quanto riguarda il campo delle biotecnologie vegetali, ottimo è il fine, straordinari sono i mezzi offerti dall'inge­gneria genetica per raggiungerlo, promettenti sono i risultati; ma me­ritano particolare attenzione le conseguenze, già presenti e prevedibi­li, al fine di trovare, attraverso una serena e accurata riflessione etica - capace di farsi sentire a livello non solo di cultura ma anche di po­litica -, le vie affinché tutto il progresso di questa «seconda creazio­ne» nel campo vegetale risulti, almeno tendenzialmente, soltanto in funzione del vero bene di ogni singolo uomo e dell'intera umanità.


Le nuove biotecnologie in campo animale

I successi. Come emerge dalle attuali direttive di ricerca35, le nuove biotecnologie in campo animale mirano soprattutto alle seguenti finali­tà: miglioramento della qualità e quantità dei prodotti animali alimenta­ri, carne e latte soprattutto; aumento di resistenza alle malattie; produ­zione di proteine di elevato interesse farmacologico in campo umano; preparazione di modelli sperimentali per lo studio di malattie genetiche umane e loro terapia; modulazione immunologica di organi animali per trapianto; ricerca sull'attività specifica di singoli geni e di complessi ge­nici, per lo sviluppo di una genomica funzionale che permetta di creare le preferibili condizioni genetiche per i miglioramenti produttivi deside­rati, senza mettere a rischio l'animale; e produzione di animali pregiati per particolari caratteristiche. Le tecnologie utilizzate sono principal­mente due: 1) la transduzione genica mediante microiniezione in oociti fertilizzati del DNA portatore dell'informazione genetica desiderata, o mediante adatti vettori in tessuti o organi36; e 2) la clonazione37.
È ancora troppo presto per valutare la portata e i vantaggi di queste nuove vie, aperte da una scienza in ascesa esponenziale e da una tecnolo­gia frenetica. In realtà la transduzione genica ha incontrato notevoli dif­ficoltà. Giustamente G. Bertoni, insieme ai suoi collaboratori, dopo aver esaminato i problemi, le difficoltà e i pericoli inerenti alle tecnologie del­la transduzione genica, osserva: «I reali vantaggi derivanti dall'applica­zione della tecnica transgenica al settore zootecnico possono essere - al­lo stato attuale delle cose e con poche eccezioni - di là da venire”38.  Anche se si stanno superando, almeno in parte, i problemi legati alla semplice inserzione casuale di geni nei cromosomi, mediante le nuove tecni­che di targeting, che permettono di inserire il gene al posto giusto, ri­mangono ancora da individuare le vie per regolare l'espressione dei geni inseriti, di modo che le cellule e l'organismo intero possano continuare a mantenere intatta la loro funzione. In realtà, il modo per avere un mi­glioramento produttivo e per di più senza rischi, per il benessere dell' a­nimale, rimane ancora da trovare. Lo dimostra il fatto che, ancora all'ini­zio del 1999, le procedure di inserimento del o dei geni per gli animali di grande taglia avevano una scarsa efficienza39: soltanto dall'l % al 10% degli animali, che si sviluppavano da uova fecondate e transdotte con il ge­ne desiderato, lo portavano; anzi pochi di questi lo trasmettevano ai discendenti, essendo per lo più mosaici, cioè costituiti da due linee cellula­ri, una contenente il o i geni transdotti e l'altra - tra cui le cellule ger­minali - senza. Situazione che continua a persistere, nonostante notevo­li miglioramenti tecnici del processo di transduzione genica40, e che con­duce a elevati costi - intorno a 500.000 dollari USA ancora nel 1998 - la produzione di un animale transgenico. Le serie difficoltà ancora da su­perare, che sono parte di ogni sviluppo tecnologico di prospettive offer­te dai progressi della scienza, secondo H. Nieman41, richiederanno anco­ra i prossimi dieci anni impegnati ad aumentare le conoscenze di base. Tuttavia i risultati già raggiunti appaiono promettenti. Numerose e note­voli realizzazioni stanno già aumentando nell'area della ricerca nutriceutica, farmacologica e medica. Non è qui possibile che qualche accenno.
Nell'area nutriceutica42 - nuovo campo di ricerca che si interessa a sostanze che svolgono contemporaneamente funzioni di cibo e di far­maco - si sta lavorando per modificare alcuni costituenti del latte, qua­li ad esempio: aumento di α- e β-caseina; riduzione del lattosio per di­minuire o eliminare l'intolleranza al latte; addizione di lattoferrina uma­na per incremento dell'assorbimento del ferro e la protezione contro le infezioni intestinali; sostituzione di geni di proteine del latte bovino con gli equivalenti umani per imitazione del latte materno.
Nell'area farmacologica43, in diverse classi di animali geneticamente modificati, si è già pervenuti alla produzione di malattie-modello44 atte a delucidare processi biologici di rilievo per la ricerca farmacologica, e di farmaci per uso umano quali: fattori di coagulazione, proteina C, an­titrombina, fibrinogeno, albumina umana, insulina45.
Nell'area medica, studi su animali geneticamente modificati46, con ben definiti difetti cardiaci atrio-ventricolari, stanno già dando luce sul­le vie di transduzione dei segnali di elementi strutturali responsabili del­lo sviluppo normale del cuore; e si stanno già preparando animali ge­neticamente modificati per la comprensione definitiva della patogenesi dell' ateroslerosi47 e dell'ipertensione48.
La clonazione sembra avere migliori prospettive. A. Luria scrive: «La crescente attenzione rivolta da molti laboratori alla clonazione animale, testimoniata dalla recente vastissima letteratura e dal moltiplicarsi di cla­morosi esperimenti, fa ritenere che molte barriere biologiche, fino a po­co tempo fa ritenute invalicabili, potranno essere presto abbattute». Ma non sottace una preoccupazione: <<La consapevolezza della straordinaria totipotenza, rivelata dall'impiego a volte anche spregiudicato e discuti­bilmente motivato, delle tecnologie della riproduzione, rende impossibi­le ogni previsione»49. In realtà, non possono essere sottaciuti le gravi difficoltà e i seri problemi che ancora accompagnano questa tecnologia. E. Pennisi e G. Vogel, in un'ampia retrospettiva fino al 9 giugno 2000, ri­assumono così la situazione riportando il pensiero di I. Wilmut, il padre tecnico della pecora Dolly: «Numerosi ostacoli devono ancora essere su­perati prima che la clonazione passi nella pratica e, tantomeno, sia pro­fittevole. Primo, e soprattutto, c'è il problema della efficienza, che rima­ne al meno che impressionante 2%; su 100 tentativi di clonare un ani­male, si ottengono soltanto 2 o 3 nati vivi. Anche quando un embrione si impianta in utero con successo, le gravidanze spesso terminano in aborto; una parte rilevante degli animali che nascono muoiono poco do­po il parto; e alcuni di quelli che sopravvivono presentano serie anoma­lie di sviluppo. Tutto ciò suggerisce che qualche cosa nella formula sia fondamentalmente sbagliata”50. Una delle anomalie più frequentemente osservate, negli animali che sopravvivono, è un esagerato aumento di di­mensione e peso (the large calf syndrome), che non può che provocare nell'animale malessere e sofferenza. Un esempio delle enormi difficoltà che si incontrano può essere rappresentato dall'impressionante cumulo di lavoro occorso per riuscire, dopo tre frustranti anni, a clonare i maia­li, che rappresentano la chiave per gli xenotrapianti51.
Le perplessità. I frutti dell' applicazione dell'ingegneria genetica appaiono promettenti, belli e buoni anche nel campo animale. Qui pure non mancano, tuttavia, perplessità relative ad alcune conse­guenze inerenti alle diverse tecnologie; perplessità le quali impon­gono una riflessione etica52. La prima perplessità53 è relativa ai ri­schi degli alimenti derivanti da organismi geneticamente modifica­ti, come si è già rilevato per i vegetali. Sotto l'aspetto etico perciò valgono le considerazioni già esposte per il campo vegetale. È so­prattutto indispensabile che, prima di introdurre e moltiplicare gli animali transgenici nelle popolazioni riproduttrici, siano accurata­mente esaminati, per qualsiasi area di applicazione, non solo gli ef­fetti favorevoli attesi, ma anche, e soprattutto, quelli eventualmen­te sfavorevoli. La seconda perplessità, assai più grave, è l'evidenza di un abuso – almeno apparente - di un imprecisabile, ma cer­tamente molto grande numero di animali. In realtà le ricerche im­plicano anni di tentativi con un numero notevole di animali: sono milioni gli animali transgenici, chimerici e clonati - dai suini ai primati - oggetto di sperimentazione e, ormai, anche di utilizza­zione per gli sviluppi commerciali. Si sottolinea soltanto un dato; da una recente stima54, il numero degli animali transgenici neces­sari per soddisfare la richiesta annuale di soli cinque prodotti far­maceutici tipicamente umani (fattori della coagulazione, proteina C, antitrombina, fibrinogeno, albumina umana) negli Stati Uniti risulta di circa: 35.000 capi di specie bovina; 525.000 capi di specie caprina; 800.000 capi di specie suina; 1.050.000 capi di specie ovina; e 56 milioni di capi di specie cunicola (conigli).
La riflessione etica, anche su questo aspetto caratteristico dell’applicazione dell'ingegneria genetica in campo animale – oltre agli aspetti già considerati per i vegetali, soprattutto quelli relati­vi agli aspetti economici e sociali -, ha ragion d'essere e non la­scia indifferenti. In base a quanto sarà brevemente ricordato sul significato corretto della «seconda creazione» affidata da Dio all’uomo, è vero che si tratta di ricerche indirizzate a beneficio dell’uomo, al quale è stato affidato anche il mondo animale da «sog­giogare» in vista proprio di quel bene. Non può essere tuttavia trascurato il dovere di evitare anche agli animali, per quanto è possibile, la sofferenza55.


Conclusione
«Seconda creazione»: nell'ottica degli artefici della pecora Dolly l'espressione intende certo sottolineare il senso di onnipo­tenza di cui Dolly è la metafora prometeica; ma, in un' ottica ve­ramente umana, che è la nostra ottica, essa è il compito che l'Au­tore della prima creazione ha dato all'uomo quando gliela ha af­fidata. Sono evidenti le parole ispirate della Bibbia che lo affer­mano: «Dio creò l'uomo a sua immagine; maschio e femmina li creò [.. .], li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicate­vi, riempite la terra; soggiogatela"» (Gn 1,27-28). Ma è la stessa mente umana che, pur nel mistero in cui si perde, vede - se ben riflette -l'esigenza di un' origine di tutto il creato da un Esisten­te, la cui infinita sapienza è incisa in ogni atomo dell'universo e il cui volere scopre nel profondo della coscienza. Colpisce e fa ri­flettere l'espressione biblica, riferita al Creatore, ripetuta ad ogni grande passo della prima creazione: «E vide che era cosa buona». E contenuta in questa espressione un'indicazione e un messaggio all'uomo, al quale è stata affidata la seconda creazione: ogni nuo­vo passo di questa seconda creazione dovrebbe lasciare allo scien­ziato, al tecnologo e alla società la certezza che ciò che è fatto è cosa buona. Questo messaggio è, in realtà, il principio fondamen­tale del nostro operare, che ogni persona porta dentro di sé nella profondità del proprio essere, forse talvolta represso o maschera­to, e dovrebbe essere guida per ogni azione umana.

BIBLIOGRAFIA

l Cfr A. SERRA, <<La rivoluzione genomica. Conquiste, attese, rischi», in Civ. Catt. 2001 II 439-453.

2 R. D. HOTCHKISS, <<Portents for a generic engineering», in Journal of Heredity, 1965, 196.

3 W. S. REZNIKOFF, <<Prospectives and challenges in genetic engineering», in Annals of New York Academy o/ Sciences 646 (1991) 1.

4 I. WILMUT - K. CAMPBELL - C. TUDGE, The second creation. The age o/ biological control, London, Headline, 2000.



5 P. H. ABELSON, «A third technological revolution»,in Science 279 (1998) 2.019.

6 Cfr G. ANCORA - E. BENVENUTO, <<Ingegnerizzazione dei vegetali: finalità, tecni­che, rischi, benefici», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA (ed.), Biotecnologie animali e vegetali, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 1999,7- 24.

7 L'ibridazione somatica avviene per due vie: 1) la fusione di due cellule private del­la loro parete cellulare - dette protoplasti - appartenenti per lo più a specie non mol­to distanti: con questa tecnica viene trasferita in una specie una parte (in genere limita­ta) del genoma di un' altra specie, comprensiva di pochi geni di interesse, ottenendo co­sì “Ibridi somatici”; 2) la fusione di citoplasmi, cioè di una cellula nucleata con il cito­plasma - escluso perciò il nucleo - di un'altra cellula: con questa tecnica si trasferi­scono i geni contenuti in altri corpiccioli cellulari, cloroplasti e mitocondri, escludendo cioè i geni nucleari. L'ingegneria genetica comporta essenzialmente l'introduzione di geni desiderati in una cellula, dalla quale sarà generata una nuova pianta, mediante vet­tori opportunamente preparati - quale, tra i più usati, il vettore plasmidico tumore-in­ducente (Ti) presente nell'Agrobacterium tumefaciens - che trasportano il gene o i ge­ni desiderati, o mediante bombardamento con microproiettili di oro o tungsteno, vei­colanti il DNA che si integrerà nel DNA delle cellule.

8 Cfr V. B. MAzuR - E. KREBBERS - T. SCOTT, «Gene discovery and product deve­lopment for grain quality traits», in Science 285 (1999) 372-375; D. DELLA PENNA, «Nutritional genomics: Manipulating plant micronutrients to improve human healtll», ivi, 375-379; T. ARAKAVA - W. H. R LANGRIDGE, <<PIants are not just passive creatures: transgenic plants producing foreign proteins can e1icit bom active and passive inlmu­nity in humans», in Nature Medicine 4 (1998) 550 s.

9 Cfr C. C. MANN, «Crop scientist seek a new revolutioD», in Science 283 (1999) 310-316; C. SOMERVll.LE - S. SOMERVILLE, <<PIanct functional genomics», ivi, 285 (1999) 380-383;" A. S. MOFFAT, «Can genetically modified crops go "greener"?», ivi, 290 (2000) 253-254;J. HODGSON, «Crystal gazing the new biotecluiologies», in Nature Biotechnology 18 (2000) 29-31.

lO Cfr A. S. MOFFAT, «Crop engineering goes South», in Science 285 (1999) 370 s; D. NORMILE, «Monsanto donates its share of golden rice», ivi, 289 (2000) 843 s.

11 Cfr D. SHINTANI - D. DELLA PENNA, «Elevating the Vitamin E content of pIants through metabolic engineering», ivi, 282 (1998) 2.098-2.100; C. C. MANN, «Genetic en­gineers aim to soup up crop photosynthesis», ivi, 283 (1999) 314-316; T. GURA, «New genes boost rice nutrients», ivi, 285 (1999) 994 s; X. YE - S. AL BABILI - A. KL6TI ET AL., «Engineering the provitamin A (~-carotene) bios}'Ilthetic pathway into carotenoid­free rice endosperm», ivi, 287 (2000) 303-305; M. L. GUERINOT, «Tbe green revolution strikes goId», ivi, 287 (2000) 241-243.

12 CfrT. GURA, <<Newways to cleanmedicines from plants», ivi,285 (1999) 1.347-1.349.

13 Cfr R N. BEACHY, «Facing fear of biotechnoIogy», ivi, 285 (1999) 335.

14 Cfr N. WILLIAMS, <<Agricultural biotech faces back1ash in Europe», ivi, 281 (1998) 768-771; K. DEVIN, «GM food debate gets spicy», in The Scientist 14 (2000) 10­14; S. HORNIG PRlEsT, «D. S. public oFinion divided over biotechnology?», in Nature Biotechnology 18 (2000) 939-942; D. FERBER, «New com plant drows £ire from GM food opponents». in Science 287 (2000) 1.390.                                              '

15 Cfr G. GASKELL - M. W. BAUER - J. DURANT ET AL., «Worlds apart? The recep­tion of genetically modified foods in Europe and the V.S.», ivi, 285 (1999) 384-389.

16 lvi, 386 s.

17 Cfr N. WILLIAMS, <<Agricultural biotech faces backlash in Europe», cit.; D. PERBER, «GM crops in the cross hairs», in Science 286 (1999) 1.662-1.666; M. ENSERINK, «Ag biotech moves to molIify its critics», ivi, 1.666-1.668; D. E. EVANS - C. R HAWES, «Where next, GMOs? Plant Science research and public hostiIity», in BSCB News Leter, Wmter 2000, 7 s.

18 Cfr M. NESTLE, <<Allergies to transgenie food: question of policy», in New Engl. J. Med., 1996, 726; B. WOTHIuCH, <<Food additives and genetieally modifìed food - a risk for allergie patients?», in Schweitz. Rundsch. Med. Prax, 1999,609-614. 616-618; M. DROGE - A. POHLER - W. SELBITSCHKA, «Horizontal gene transfer as a biosafety is­sue: a natural phenomenon of publie eoneem», in]. Biotechnol. 64 (1998) 75-90.

19 Cfr P. COURVALIN, <<Plantes transgéniques et antibiotiques», in La Recherche,1998,309-315.

20 Cfr W. K. NOVAK - A. G. HALsBERGER, «Substantial equivalenee of antinutrients and inherent plant toxins in genetieally modifìed novel foods», in Food Chem. Toxicol. 38 (2000) 473-483.

21 Cfr N. WILLIAMS, <<Agricultural biotech..,», eit., 771.



22 L. L. WOLFENBARGER - P. R PHIFER, «The ecological risks and benefits of ge­netically engineered plants», in Science 290 (2000) 2.088.

23 Cfr L. F'RANK, «Italian scientists blast GMO restrictions», ivi, 290 (2.000) 2046; J. KAISER, «Words (and axes) fly over transgenic trees», ivi, 292 (2001) 34-36.

24 Cfr E. SGRECCLA - V. MELE, «Bioetica e biotecnologie animali e vegetali», in PON­TIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie..., cit., 83-100; A. BOMPlANI, «Riflessioni etiche sulla produzione e commercializzazione di organismi vegetali e animali genetica­mente modfficatÌ>" in Medicina e Morale, 2000, n. 3, 449-503.

25 Cfr A. G. HALSBERGER, «Monitoring and labeling for genetically modi.6ed pro­ducts», in Science 287 (2000) 431-432; V. LUNGAGNANI, «Valutazione e gestione dei ri­schi biologici collegabili alle produzioni ed ai prodotti agricoli e industriSli a scopo ali­mentare», in BioTec 5 (2000) n. 4, 38-49.

26 Cfr S. VOLLENHOFER - K. BURG - J, SCHMIDT ET AL., «Genetically modified or­ganisrns in food-screening and specific detection by polymerase chain reacriom" in J. Agric. Food Chem. 12 (1999) 5.038-5.043; M. P. LIPP - K. PIETSCHK ET AL., <<lUPAC col­laborative trial study of a method to detect genetically modified soy beans and maize in dried powder>" in I. AOAC Int. 82 (1999) 923-928; R N. GENT, «Genetically modi.6ed organisrns: an anafysis of the regtÙatory frarnework currendy employed within the Eu­ropean Union», in]. Public Health Med. 3 (1999) 278-282.

27 Cfr R J. MAHONEY, «Opportunity for Agricultural Biotechnology>', in Science 288 (2000) 615.



28 E. SGRECCIA - V. MELE, «Bioetica e Biotecnologie...», cit, 94.

29 ar D. N. DUVlCK, «How much caution in the fidds?», in Science 286 (1999) 418
s. L'Autore - commentando il volume di A VAN DOMMELEN, Hazard ldentification of Agricultural Biotechnology: Finding relevant questions, Utrecht, International Books, 1999 - dopo aver tradotto, per il caso dei prodotti o cibi transgenici, l'«imperativo morale» nel seguente principio: «L'incertezza scientifica circa la sicurezza di un organi­smo geneticamente modificato imporrebbe che non fo~se commercializzato», commen­ta: «La decisione finale sarà sempre politica ed etica. E da sperare che gli attesi costi e benefici siano definiti razionalmente con l'aiuto dell'analisi dei rischi e che sia tenuto conto delle opinioni del pubblico». Ma, sottolineando gli alti interessi politici e indu­striali, avverte che gli studi necessari alla determinazione dei rischi non dovrebbero es­sere fatti dai produttori, i quali invece dovrebbero finanziarle a gruppi indipendenti.

30 Cfr M. HAGMAN, <<EPA, critics soften stance on pesticidal plants», in Science 284 (1999) 249; H.!. Mn.l.ER, «A rational approach to labeIing bioteCh-derived foods», ivi, 284 (1999) 1.471 Sj ID., <<NAS report under scrutiny», ivi, 288 (2000) 1.343j K. A. GoLDMAN, «Bioengineered food - safety and labding», ivi, 290 (2000) 457459.

31 A. G. HALsBERGER, «Monitoring and Labding...», cit., 432. Cfr anche R J. MA. HONEY, «Opportunity for agricultural biotechnology», in Science 288 (2000) 615.


32 J. RIFKIN, The Biotech Century, New York, Penguin Putnam, 1998, tr. it.: Il secolo Biotecb, Milano, Baldini e Castoldi, 1998, 181.

33 L. G. FIRBANK - F. FORCELLA, «Genetically modified crops and farmland biodiversity», in Science 289 (2000) 1.481 s.

34 J. RIFKIN, The Biotech Century, cit., 122 s.

35 Cfr Y. HE1MAN -]. P. RENARD, «Cloning domestic species», in G. M. STONE - G. EVANS (eds), Animai Reproduction: Research and Practice, Amsterdam, Elsevier, 1996, 427 -436; E. R CAMERON, <<Recent advances in transgenic technology», in Mol. Bio­technol.3 (1997) 253-265; N. Wm, «Transgenic animals as new approaches in phar­macological studies», in Annu. Rev. Pharmacol. Toxicol. 37 (1997) 119-141; D. COOPER - K. C. KEMP - E. PLAn ET AL., Xenotransplantation, Berlin, Springer-Verlag, 1997. .

36 J. W. GORDON - F. H. RUDDLE, «DNA-mediated genetic transformation of mouse embryos and bone marrow - a review», in Gene 33 (1985) 121-136; G. BERI'ONI - P. A. MARsANI - F. LUCCHINI, <<la ingegnerizzazione degli animali: finalità, tecniche possibili, rischi e benefici», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie..., cit., 25-44.

37 Cfr A. SERRA, «Verso la clonazione dell'uomo? Una nuova frontiera della scien­za», in Civ. Catt. 1998 I 224-234; A. McLAREN, «Cloning: Pathways to a pluripotent fu­ture», in Science 288 (2000) 1.775-1.780.

38 G. BERTONI - P. A. MARSANI - F. LUCCHINI, «La ingegnerizzazione degli animali...», cit., 40.

39 Cfr A. S. MOFFAT, «Improving gene transfer into livestock», in Science 282(1998) 1.619 s.


40 Cfr A. W. S. CHAN - E. J. HOMAN - R D. BREMEL ET AL., «Transgenic cattle by reverse-transcribed gene transfer in oocytes», in Proc. Nati. Acad. Sci. USA 95 (1998) 14.028-14.033.

41 Cfr H. NIEMAN, «Transgenic farm animals get off the ground», in Transgenic Research 7 (1998) 73-75.

42 Cfr D. MATASSINO, «Biotecnologie: timori alimentari e speranze per farmaci e salute», in L’Informatore Agrario, novembre 2000, http://informatoreagrario.itlInfoagriILia2200/biotec.asp

43 Cfr P. W. KLEYN - E. S. VESELL, «Genetic variation as a guide to drug devdopment», in Science 281 (1998) 1.820 s; L WICKELGREN, «Mining tbe genome for drugs», ivi,285 (1999) 998-1.001.

44 Cfr S. ROBINE - F. JAlSSER - D. LOUVARD, «Epithelial cell growth and differen­tiation. IV. Controlled spatiotemporal expression of transgenes: new tools to study nor­mal and pathological states», in Am. J. Physiol. 273 (1997) 759-762; U. RUDOLPH - H. MCHLER, «Genetically modified animals in pharmacological research: future trends», in Eur. J. Pharmacol. 375 (1999) 327-337.

45 Cfr D. MATASSINO, «Biotecnologie: timori...», cito

46 Cfr J. Y A-M. W. SCHILHAM ET AL., «Animal modds of congenital defects in the ventriculoarterial connectioD», in]. Mol. Med. 75 (1997) 551-566.

47 Cfr P. PA]UKANTA - L. PELTONEN, «How to tackle genetic Loci predisposing to atherosclerosis?», in CUN'. Opin. Lipidol. 8 (1997) 95-100.

48 Cfr G. L. BARRETT - J. J. MULLINS, «Strategies toward a transgenic modd of es­sential hypertensiot1», in Biocbem. Pharmacol. 43 (1992) 925-930.

49 A. LURIA, «Note sulla clonazione animale», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie..., cit., 58.

50 Cfr E. PENNISI - G. VOGEL, «Clones: A hard act to follow», in Science 288 (2000). 1.722-1.727.

51 Cfr E. PENNISI - D. NORMILE, «Perseverance leads to cloned pig in Japan», ivi, 289 (2000) 1.118 s; A. ONISm - M. IWAMOTO ET AL., «Pig cloning by microinjection of fetal fibroblast nuclei», ivi, 1188-1190.

52 Cfr P. B. THOMPSON, «Genetically modified animals: ethical issues», in J. Anim. Sci. 71 (1993) Supp1.3,51-56; E. SGRECCIA - M. B. FIsso, «Etica dell'ambiente», in Me­diCIna e Morale, 1997 SuppI.; E. SGRECCIA, «Liceità dell'intervento sull'animale nel­l'ambito delle biotecnologie», in Problemi di Bioetica nell'Allevamento Animale. Sim­posio XIII Congresso Nazionale ASPA, Piacenza, 21-24 giugno 1999,5-21. .         .

53 Cfr M. J. BOLAND - J. P. Hn.L - L. K. CREAMER, «Genetic manipulation of milk protein and its consequences for the dairy industry», in Australas. Biotechnol. 2 (1992) 355-360; E. P. BRUGGEMANN, «Environmental safety issues for genetically modified animals», in J. Anim. Sci. 71 (1993) Supp. 3, 47-50; L. V. CUNDIFF - D. P. BISHOM - R K. TOHNSON, «Challenges and opportunities for integrating genetically modified ani­maIs into traditional animal breeding», ivi, 20-25.

54 Cfr D. MATASSINO, «Biotecnologie:...», cit., 6, che riporta l'elaborazione dei da­ti riferiti da R J. W ALL alla 8th World Con/erence on AnimaI Production, Seoul 28 Ju­ne-4 July 1998.

55 Cfr «Gli animali hanno "diritti"?», in Civ. CalI. 1999 1319-331; «Il rapporto uo­mo-natura nella visione cristiana», ivi, 531-543.'