Gli OGM contribuiranno al mantenimento dell’attività agricole
in aree meno dotate da un punto di vista delle capacità produttive dei terreni,
le cosiddette aree marginali?
Lo scopo del Blog è quello di evidenziare le principali problematiche connesse all'adozione di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) in agricoltura......e altro ancora. Per un'agricoltura sostenibile.
Visualizzazioni totali
lunedì 31 dicembre 2012
OGM e deruralizzazione del territorio
Trattasi di una
problematica di estrema rilevanza, in quanto da sempre l’agricoltura svolge un
ruolo di rilievo per la nostra società. Da un lato essa è fonte rinnovabile di
beni di consumo, siano essi alimentari e non, dall'altro costituisce l'unica
attività che consente di "presidiare" costantemente il territorio,
impedendo fenomeni di dissesto idrogeologico e fenomeni legati al degrado
dell'ambiente antropizzato. In particolare, in un'ottica di sviluppo
sostenibile le principali attività che l'agricoltura, e l'agricoltore, deve
assicurare alla collettività possono essere riassunte nelle seguenti:
Etichette:
agricoltura,
agrobiotecnologie,
brevetto,
coesistenza,
colza rr,
ecologia,
esternalità,
etica,
monopolio,
ogm,
principio di precauzione,
reddito,
soia rr
lunedì 17 dicembre 2012
Supersalmone: cresce il doppio in metà tempo e, forse, sarà anche più buono di quello naturale
Il primo animale OGM, geneticamente modificato, in
grado di crescere ad una velocità doppia rispetto alle specie selvatiche, è già
stato “creato”…..è un pesce…….un salmone.
I creatori di questo Supersalmone
affermano che, grazie
all'introduzione nel suo DNA di un transgene che regola la produzione di un ormone della crescita, ogni
individuo sarà in grado di raggiungere la maturità in due anni anziché in tre-quattro,
garantendo un'efficienza maggiore nella conversione del mangime in carne.
L’avventura di coloro
che si sono cimentati in questa impresa,
ovviamente fatta allo scopo di alleviare i problemi alimentari che affliggono
il nostro Pianeta, è iniziata
nel 1991 e ancora non si è conclusa, in quanto la FDA (Food and Drug Administration), pur essendosi
pronunciata positivamente sulle qualità nutrizionali e ambientali di questo
pesce nel 2010, non è ancora completamente convinta delle sue caratteristiche.
Una
forte opposizione al supersalmone arriva dalla Food & Water
Wathc, una delle più grandi associazioni ambientaliste americane, che
denuncia i tentativi di addomesticare i regolamenti dell'FDA in senso
favorevole all'approvazione di animali GM, e definisce il supersalmone inutile
e rischioso.
Occorre infine ricordare
che presupposto indispensabile per lo sfruttamento della Transgenesi (OGM) Animale
è la Clonazione degli animali stessi, poiché la riproduzione sessuale tende a far
scomparire la modifica introdotta, mentre la riproduzione clonata la rende
stabile, consentendo di ottenere animali tutti identici.
A questo punto varrebbe la
pena di riflettere almeno sulla perdita di biodiversità….una perdita di non
poco conto.
Ancora una volta, anche
nell’ambito degli “animali OGM clonati”, si spera che gli interessi economici
non prevalgano su quelli dei cittadini e si auspica che il WTO (Organizzazione
Mondiale del Commercio) non ci obblighi ad importare carne ottenuta da “Animali
OGM Clonati”, poiché ritenuta “Sostanzialmente equivalente” a quella naturale.
martedì 11 dicembre 2012
Il brevetto sul cibo. Aumenterà o diminuirà la libertà dell’uomo?
In questa
sede non si vuole entrare nel merito dell’utilità del Brevetto per lo sviluppo
della nostra Società. E’ risaputo, infatti, che la tutela brevettuale può
rappresentare un incentivo allo sviluppo tecnologico e che molti prodotti di
uso comune, e quindi di elevata utilità, sono stati studiati, creati e diffusi
solo grazie alla tutela brevettuale. In particolare, il Brevetto è lo strumento giuridico che
conferisce all'autore di un'invenzione il monopolio temporaneo di sfruttamento
dell'invenzione stessa, ossia il diritto di escludere terzi dall'attuare
l'invenzione e dal trarne profitto.
Il brevetto,
pertanto, rappresenta una sorta di monopolio legale, seppur limitato
territorialmente e temporalmente. Tale monopolio legale si giustifica con il
fatto che il sistema brevettuale è basato su una forma di scambio: il titolare
del brevetto riceve protezione per la propria invenzione e in cambio è
obbligato a svelare e a descrivere l'invenzione stessa. Durante il periodo
di applicazione del Brevetto, il detentore può sfruttare economicamente la
protezione brevettuale, al fine di ottenere un ritorno economico per le spese di
ricerca e sviluppo sostenute.
In un
contesto di questo tipo si riscontrano tutti gli effetti del monopolio. In
particolare, in un primo momento il Brevetto determina una tenuta dei prezzi di
vendita del prodotto brevettato, in relazione al fatto che il monopolista è
protetto dalla Legge e può applicare o una “politica dei prezzi”, mantenendo
alti prezzi di vendita del prodotto (sarà poi la domanda ad adeguarsi a questi
prezzi) o una “politica delle quantità”, attraverso un contingentamento
volontario delle quantità immesse sul mercato (in questo caso sarà la domanda
che sulla base della quantità richiesta stabilirà il prezzo di mercato). Solo
in un secondo momento, ovvero trascorso il periodo di tutela brevettuale, la
Società otterrà reali benefici dal consumo dei beni coperti da brevetto, in
quanto si aprirà il mercato alla concorrenza, i costi di produzione scenderanno
e con loro i prezzi di mercato. A questo, e con particolare riferimento ai
brevetti in ambito agroalimentare, occorre evidenziare che per le nuove varietà
vegetali i diritti esclusivi nascenti dal brevetto durano 15 anni dalla
concessione del brevetto stesso (30 anni nel caso di piante arboree). Soprattutto
in ambito agroalimentare, è facile immaginare che dopo 15 anni quella
determinata varietà sarà obsoleta, sarà superata, per cui sarà sostituita da
un’altra varietà che a sua volta sarà tutelata dal brevetto per altri 15 anni!
E’ facilmente intuibile che in questo modo il costitutore, mediante una attenta
analisi dei tempi tecnici di introduzione di nuove cultivar, sarà in
grado di mantenere il brevetto sul seme di una determinata pianta per un tempo
illimitato.
Dobbiamo
essere convinti del fatto che l’introduzione di Organismi Transgenici (OT) in
agricoltura è fortemente correlato, se non addirittura condizionato, dalla
possibilità di brevettare il risultato della manipolazione genetica; se non ci
fosse il brevetto, con ogni probabilità, non ci sarebbero nemmeno OT e
oggigiorno, forse, non si parlerebbe di questo argomento. Relativamente alla
tutela brevettale delle innovazioni tecnologiche, ciò che lascia maggiormente
perplessi è l’utilizzazione del brevetto in ambito agricolo, soprattutto nel
caso in cui riguardi piante o animali di fondamentale importanza per
l’alimentazione umana. Nella fattispecie, non stiamo parlando di una funzione
fisiologica della quale ognuno di noi, volendo, potrebbe farne a meno; stiamo
parlando di alimentazione, un’azione che bene o male ognuno di noi deve
compiere obbligatoriamente almeno tre volte al giorno. Sono queste
considerazioni che differenziano sostanzialmente i brevetti su materiale
elettronico o su capi di abbigliamento, da quelli su piante ed animali ad uso
alimentare, in quanto essi potrebbero mettere in discussione anche la sovranità
alimentare di un Paese. E di questo, ovviamente, si sono accorte le grandi
multinazionali del seme, che stanno facendo di tutto per ottenere il monopolio
nella produzione e nella distribuzione del seme, poiché non si tratta del solo
seme, ma anche di tutto ciò che è possibile trovare a monte e a valle della
produzione del cibo. In particolare, alcune domande sullo sfruttamento del
brevetto esigono una risposta prima di adottare piante ed animali transgenici
in agricoltura:
- esistono delle limitazioni allo
sfruttamento economico del brevetto?
- chi decide in merito alla qualità
dell’alimento?
- il detentore del brevetto potrà
modificare a suo piacimento le caratteristiche intrinseche del prodotto
alimentare?
- come potranno essere modificate le
caratteristiche nutrizionali?
- il detentore del brevetto potrà
modificare a suo piacimento il legame esistente tra qualità del prodotto e
luogo di produzione?
- da un punto di vista etico, sarà tutto
consentito o vi saranno delle limitazioni?
In questa
sede non si vuole affrontare la problematica, tutta ancora da chiarire,
relativa alla liceità o meno dell’utilizzazione del brevetto per affermare un
diritto privato di proprietà su piante ed animali, ma si vogliono
esclusivamente evidenziare gli effetti che l’applicazione della tutela
brevettuale potrebbe avere sul settore agricolo nazionale. Cosa significa
"brevetto" per il settore agricolo italiano e, in particolare, quali
effetti potrebbe avere per il reddito dell’agricoltore?
In primo
luogo, il brevetto sulle piante e sugli animali contribuirà ad aumentare la
dipendenza economica del settore agricolo nei confronti di quello industriale,
in quanto l'agricoltore sarà costretto ad acquistare tutti gli anni la semente
che intende coltivare o l’animale che intende allevare. Qualcuno potrebbe far
rilevare che, di fatto, questo già accade per la gran parte delle sementi oggi
coltivate. Vero! Nel caso degli OT, a parte la situazione di monopolio che si
verrebbe a determinare, il brevetto significa qualcosa di più, in quanto
l’agricoltore, oltre all’acquisto delle sementi, potrebbe essere “obbligato” ad
acquistare anche la materia prima in grado di far produrre queste sementi (è il
caso delle piante di soia e di mais resistenti ad uno specifico diserbante). In
futuro il problema potrebbe essere amplificato dal fatto che le ditte che
propongono questi nuovi organismi, per proteggersi dall’utilizzazione illecita
di sementi brevettate, potrebbero inserire geni che consentono la germinazione
del seme solo nel caso di contemporanea presenza di una sostanza particolare,
che sarà venduta insieme alla semente. Se sarà vero poi, come ovviamente si
spera, che questi nuovi organismi non avranno alcun effetto sulla salute umana
e sull’ambiente, occorrerà considerare che la loro completa accettazione da
parte del mercato (presenza di una sola filiera di distribuzione, assenza
di etichettatura obbligatoria dei prodotti OGM, ecc.) determinerà un forte
vantaggio competitivo per le ditte sementiere, con creazione di un mercato in
condizioni di monopolio o “quasi monopolio”. Si verrebbe a determinare ciò che,
di fatto, è già avvenuto nei Paesi dove si registra un’accettazione
incondizionata di questi nuovi alimenti: la presenza di un’unica filiera di
distribuzione (per esempio per il mais significa un unico prezzo di mercato),
associata ad una diminuzione dei prezzi di mercato dei prodotti transgenici, ha
determinato un’esplosione delle superfici coltivate con questi nuovi organismi.
In pratica, cos’è accaduto? Il minor costo di produzione delle coltivazioni
transgeniche ha determinato un abbassamento dei prezzi di mercato dei relativi
prodotti, siano essi transgenici e non. Pertanto, anche gli agricoltori che in
un primo momento non volevano coltivare transgenico sono stati costretti a
farlo dal mercato, se volevano mantenere un certo grado di redditività
dall’attività agricola.
Da un punto
di vista della sfruttabilità economica, il detentore del brevetto potrebbe
limitarsi a richiedere il pagamento di una royalty per ogni chilogrammo di
semente venduta, lasciando libertà di scelta all’agricoltore in merito alle
diverse opportunità di vendita sul mercato del prodotto ottenuto. Tale somma di
denaro potrebbe essere vista come il giusto compenso per colui che ha investito
in ricerca e sviluppo ed è riuscito ad ottenere una pianta caratterizzata da un
surplus di utilità per l’agricoltore e per il consumatore. Occorre comunque
rilevare che, soprattutto nel caso in cui il mercato della semente sia in
condizioni di monopolio, a differenza di quanto precedentemente affermato,
l’imposizione di una royalty sulla semente potrebbe limitare il processo di
riduzione dei costi di produzione, in quanto il monopolista, con ogni probabilità,
sarà portato ad aumentare il prezzo di vendita della semente di
un’aliquota prossima al maggior margine che essa sarà in grado di
determinare al produttore agricolo, con annullamento dei potenziali vantaggi
economici per il coltivatore e, conseguentemente, per il consumatore (in
pratica se la semente transgenica determina una diminuzione dei costi di 100
€/ha, il monopolista della semente potrebbe far pagare la semente 99 € in più
ed accaparrarsi tutto il vantaggio). Pertanto, il brevetto potrebbe impedire
l’attesa riduzione dei prezzi di mercato dei prodotti alimentari, annullando
così anche l’auspicato ampliamento delle possibilità di acquisto di cibo da
parte delle classi sociali economicamente più deboli (quelle classi sociali che
in molti Paesi soffrono la fame perché non dispongono del reddito necessario
per acquistare il cibo).
Rispetto alla
situazione precedente, il detentore del brevetto potrebbe andare oltre. In
particolare, oltre a richiedere il pagamento di una royalty per ogni chilogrammo
di semente venduta, potrebbe richiedere una royalty anche per ogni chilogrammo
di prodotto ottenuto da quella semente. Il brevetto in questo caso porterebbe
grandi vantaggi a colui che ne detiene la proprietà e trasformerebbe
l’agricoltore in un “dipendente” della stessa ditta proprietaria del seme, in
quanto più l’agricoltore produce e più questa ditta guadagna.
Il detentore
del brevetto potrebbe non accontentarsi e potrebbe riservarsi anche la
proprietà della produzione finale, attuando la produzione per conto proprio,
sulla base di un rapporto contrattuale con l’agricoltore. Trattasi di
modalità di produzione che già avvengono in agricoltura (contratti di soccida) e
che sarebbero amplificate dalla presenza di un forte ricorso al brevetto. In
particolare, colui che detiene il brevetto non venderebbe la semente sul
mercato e potrebbe sottoscrivere con l’agricoltore un “contratto di
coltivazione”, nel quale sono indicate le epoche di semina, le modalità di
coltivazione e quant’altro serve per portare a termine il processo produttivo,
riservandosi la proprietà del prodotto una volta giunto a maturazione.
Ovviamente per l’attività prestata l’agricoltore riceverà un compenso, che sarà
commisurato all’impegno richiesto in termini di apporto di fattori della
produzione (terra, lavoro, capitale). In una situazione come quella
evidenziata, l’agricoltore non avrebbe alcun potere contrattuale, per cui la
presenza di un unico detentore della semente, associata al fatto che i
coltivatori non sono in grado di manifestare un’unica controparte, li
metterebbe tra loro in concorrenza per l’acquisizione della commessa di
coltivazione. E’ facilmente intuibile che in questa situazione si
determinerebbe una tendenza verso il basso del compenso relativo allo
svolgimento dell’attività agricola, in quanto, nel peggiore dei casi per la
nostra agricoltura, colui che possiede il brevetto potrebbe trovare in altri
Paesi migliori condizioni contrattuali per attuare il processo produttivo
agricolo.
Ma il grande salto di qualità per le ditte
che detengono il brevetto, potrà essere ottenuto allorquando la manipolazione
genetica sulle piante consentirà di sfruttare l’”apomissia”, ovvero la
possibilità di originare piante identiche alla madre anche nel caso di
riproduzione sessuata. In particolare, lo sfruttamento dell’”apomissia”
consentirà alle ditte sementiere di evitare la produzione e la
successiva commercializzazione del seme, mantenendo comunque la possibilità di
ricavare le royalty dal seme e dalla produzione di cibo; il seme una volta distribuito
sarà annualmente prodotto autonomamente dall’azienda agricola, la quale,
mediante un apposito contratto di sfruttamento della semente, sarà tenuta a
pagare le royalty al detentore del brevetto, ogni qual volta utilizzerà le
sementi apomittiche per una nuova semina. L’”apomissia” semplificherà
notevolmente la vita al detentore del brevetto, che dovrà attuare un’unica
operazione: distribuire una sola volta la semente e incassare le royalty ogni
volta che il seme viene seminato ed il cibo viene prodotto. Qualcuno afferma
che questo scenario è irrealizzabile, in quanto alle ditte sementiere non
converrebbe mettere sul mercato una semente apomittica, poiché lieviterebbero
le frodi e occorrerebbe mettere in atto un sistema di vigilanza decisamente
costoso. Purtroppo queste affermazioni si scontrano con la realtà, in quanto le
grandi multinazionali del seme stanno cercando di evitare questo inconveniente
mediante la creazione di una “Apomissia inducibile chimicamente”. In pratica,
che cosa accade? Accade che la semente apomittica germina ed origina una pianta
identica alla madre solo in presenza di una sostanza chimica che sarà venduta a
parte. Da rilevare che tutto questo non è fantascienza, in quanto il brevetto
sull’”Apomissia inducibile” è già stato richiesto
Il brevetto su una pianta potrebbe
consentire ai Paesi che ne detengono la proprietà di attuare le coltivazioni in
località prossime ai mercati di collocamento, rendendo così competitive
produzioni che attualmente sono penalizzate dagli elevati costi di trasporto/commercializzazione,
evitando nel contempo le problematiche ambientali che queste coltivazioni
potrebbero comportare se fossero attuate sul loro territorio. Per alcune
produzioni questo già avviene. Cos’è accaduto? Alcuni Paesi, vuoi perché non
hanno condizioni pedoclimatiche favorevoli, vuoi perché non sarebbero
concorrenziali sul nostro mercato a causa degli elevati costi di trasporto,
stanno producendo sul nostro territorio su base contrattuale alcuni prodotti
dei quali detengono il brevetto; tali prodotti al momento della raccolta
diverranno di loro proprietà. Ecco che in questo modo qualsiasi Paese, anche
senza alcuna vocazionalità produttiva, e, al limite, senza disponibilità di
territorio agricolo, di strutture e di competenze agricole specifiche, potrebbe
divenire un protagonista nel mercato del cibo; la produzione sarebbe attuata
nel nostro Paese per conto terzi, ovvero per conto di colui che ha il brevetto
del materiale di propagazione, che si approprierà del valore aggiunto di questa
coltivazione.
Gli esempi
precedenti, costituiscono per il nostro Paese un vantaggio o uno svantaggio? Si
adattano a tutte le coltivazioni o solo a quelle brevettate? E il consumatore
otterrà dei vantaggi o degli svantaggi? Occorre rispondere a queste domande
prima di effettuare delle scelte che potrebbero rivelarsi controproducenti per
il nostro Paese.
A conclusione
di quanto precedentemente esposto, è possibile affermare che il brevetto su
piante ed animali transgenici sarà in grado di sconvolgere il modo di produrre
in agricoltura. Lo scenario sarà quello di un settore in cui l’agricoltore avrà
perso ogni potere decisionale; egli diverrà semplicemente un fornitore di mezzi
di produzione a favore di colui che detiene il brevetto di quel prodotto, che
diverrà anche proprietario del cibo. Cibo che potrà essere ottenuto in ogni
parte del Globo, non importa con quale materiale genetico, non importa con
quale tecnica di produzione, non importa con quali tutele sociali. Tutto questo
comporterà la realizzazione di un grande mercato mondiale dei prodotti
alimentari, un mercato dove l’imperativo sarà produrre di tutto ovunque, ai più
bassi costi possibili, per poi vendere il prodotto laddove ci sono i mezzi
economici per acquistarlo.
Etichette:
agricoltura,
agrobiotecnologie,
apomissia,
brevetto,
coesistenza,
etichettatura,
gvp,
Herbicide Tolerant,
mais bt,
prezzo,
royalty,
semente,
soia rr
lunedì 10 dicembre 2012
Gli OGM del futuro, di nuova generazione. Gli OGM che vorrei
Che sia chiaro! Nessuno è contro la ricerca scientifica.
Nessuno è contro lo sviluppo tecnologico. In particolare, la ricerca
sugli OGM, se fatta con le dovute cautele, deve andare avanti. Occorre però
considerare che lo sviluppo tecnologico, che non attiene certo al campo della
ricerca scientifica, non è neutro e deve sottostare a giudizi economici,
politici ed etici.
Soprattutto da un punto di vista economico, occorre considerare che il
nostro Paese con il 7% circa della superficie agricola utilizzata (12,7 milioni
di ettari), produce il 13% circa del fatturato agricolo dell'Ue (50.000 milioni
di euro), segno inequivocabile di una produzione
di alto valore aggiunto, decisamente apprezzata dal consumatore. Da un
punto di vista economico e sociale si tratta di un grande patrimonio da
tutelare, in quanto la produzione agricola per il mercato rappresenta solo una
parte dei reali benefici che il settore agricolo apporta alla collettività. Non
dobbiamo dimenticare che nel nostro Paese il ruolo dell'agricoltura è di
fondamentale importanza per il presidio e la manutenzione del territorio, per
la conservazione dell'assetto idrogeologico, per la conservazione e la tutela
del paesaggio, per la conservazione della biodiversità, per la creazione di
spazi ad uso ricreazionale, ecc. Pertanto è riduttivo vedere l'agricoltura solo
dal lato produttivo per il mercato, occorre vederla, e tutelarla, per le
esternalità positive che fornisce.
In questa situazione, in cui i prodotti tipici giocano un ruolo di rilievo per l'economia agricola del nostro Paese, costruita in anni e anni
di impegno produttivo (Assistenza
Tecnica alle aziende, Consorzi dei produttori, ecc.) e legislativo (Leggi sul
biologico, sulle denominazioni di origine, sull’etichettatura, IGP, DOP, ecc.), è
necessario attuare tutte quelle strategie in grado di preservare e di non
disperdere questo importantissimo patrimonio economico/sociale. Tra l’altro, l’unico patrimonio
che ci consente di essere competitivi sul mercato globale, poiché, occorre
essere molto concreti e riconoscerlo, ad essere competitivi sulla base dei
bassi costi di produzione e dei bassi prezzi di vendita proprio non ce la facciamo.
Pertanto,
il vero stallo della situazione, “OGM sì”/”OGM no”, sono gli effetti provocati
da una forzata coesistenza tra coltivazioni transgeniche e coltivazioni
convenzionali, ovvero la possibilità per chi produce di non essere
obbligato a produrli (dal flusso genico, dal mercato, ecc.) e per chi consuma
di non essere obbligato ad acquistarli (soprattutto come derivati dai
trasformati, ovvero carne, latte, uova, ecc.).
E’ possibile una via d’uscita? Come se ne potrebbe uscire? Come
se ne esce?
A molti sembrerà impossibile, ma la tecnologia transgenica
ha fatto passi da gigante e si potrebbe trovare una via di uscita che
consentirebbe di mettere d’accordo sia coloro che gli OGM proprio non li
possono vedere, sia coloro che li vorrebbero mangiare tutti i giorni a
colazione, a pranzo e a cena. In particolare, di seguito alcune azioni, già
possibili da un punto di vista tecnologico, che se messe in atto potrebbero
favorire una soluzione alla problematica della coesistenza tra coltivazioni convenzionali e coltivazioni transgeniche:
1 - transgeni
nei cloroplasti. Il Cloroplasto è un organulo presente nelle cellule ed è preposto a svolgere il processo fotosintetico. Pertanto i Cloroplasti si trovano solo nelle parti verdi della pianta e non sono presenti nel polline e, pertanto, se il transgene fosse inserito nei Cloroplasti, non avremmo il fenomeno di "inquinamento genetico" prodotto dal polline. Se le piante OGM avessero il transgene nei cloroplasti, la coesistenza sarebbe sicuramente possibile e, così, chi vuole continuare a produrre biologico o
convenzionale può continuare a farlo senza la paura di ottenere alla fine della
coltivazione un prodotto che è in parte OGM a causa dell’”Inquinamento genetico”
determinato dagli OGM con transgene inserito nel nucleo, così come hanno gli attuali OGM. Questa strada è
stata indicata anche da eminenti studiosi degli OGM, come il prof. Scarascia
Mugnozza, il prof. Sala
e il prof. Salamini (questo link non funziona più, era dell'Accademia Nazionale di Agricoltura ......... strano, era un documento molto ben fatto sugli OGM! Io l'ho memorizzato e riporto la frase del prof. Salamini ...... "Lo sviluppo, pure recente, di procedure che permettono di trasformare il cloroplasto prefigura la produzione di varietà OGM incapaci di trasmettere, con il polline, il transgene che ospitano, contribuendo così a ridurre i problemi legati alla diffusione di geni ingegnerizzati dall’uomo nei biotopi limitrofi ai campi coltivati.” - T. Maggiore 1, F. Salamini 1,2 - Ricerca,
innovazione e progresso dell’agricoltura -
1 Dipartimento di Produzione Vegetale, Università degli Studi,
Facoltà di Agraria, Via Celoria 2, 20133 Milano
2 Dept. of Plant Breeding and Yield Physiology, Max-Planck Institut
für Züchtungsforschung, Carl-von-Linné Weg 10, D-50829 Köln, Germany). Se proprio ve la sentite di aprire questo documento curato da Battaglia,
potete leggere cosa c’è scritto a pagina 204;
2 - promotori
inducibili. I promotori hanno il compito di attivare il transgene e funzionano a grandi linee come degli interruttori della corrente elettrica (acceso/spento). I promotori possono essere Costitutivi (mantengono sempre attivo il transgene) o Inducibili (attivano il transgene solo in determinate condizione, come per esempio la presenza della saliva dell'insetto che sta mangiando e danneggiando il mais). Le attuali piante OGM hanno promotori Costitutivi e questo è un grosso difetto, poichè nel caso del mais Bt gli insetti si "abituano" alla tossina Bt e maturano una resistenza genetica. Pertanto, sarebbe auspicabile creare piante OGM con promotori Inducibili, al fine di limitare l'insorgenza di insetti con
patrimonio genetico di resistenza al BT, a tutto vantaggio delle prestazioni del mais Bt e degli agricoltori biologici, che, altrimenti, si troverebbero a contrastare sempre nuovi geni di virulenza degli insetti. Si legga a questo proposito un documento,
pag. 208, scritto da un folto gruppo di sostenitori degli OGM. Anche il prof. Sala ne ha parlato di questo difetto degli attuali OGM;
3 - assenza di
marcatori antibiotici. I marcatori di resistenza agli antibiotici vengono utilizzati durante l'operazione di selezione delle cellule vegetali trasformate (marcatori di resistenza alla Kanamicina, alla Neomicina, ecc. Antibiotici vecchi, ormai sostituiti da antibiotici più moderni). Alcuni ricercatori hanno manifestato perplessità nell'utilizzazione dei marcatori antibiotici, poichè vi sarebbe la possibilità, tutta da verificare, che questa resistenza possa essere acquisita dai batteri patogeni per l'uomo, con indubbi elementi di preoccupazione. Sarebbe auspicabile anche l'eliminazione dei marcatori antibiotici che l’EFSA
ha classificato nel “Gruppo 1” (nel gruppo 1 dell’EFSA sono classificati geni
per la resistenza ad antibiotici che (a) sono già ampiamente diffusi nel suolo
e nei batteri enterici e (b) conferiscono resistenza ad antibiotici che non
hanno o hanno una rilevanza terapeutica minima nella medicina umana e
veterinaria), così evitiamo polemiche/discussioni
sulla diffusione delle resistenze agli antibiotici anche a batteri patogeni per
l’uomo;
4 - libera
coesistenza, resa possibile dalle azioni precedenti, poiché se il
polline non contiene il transgene e gli insetti non maturano resistenze
genetiche, è possibile una pacifica coesistenza produttiva e commerciale, senza
la paura che si verifichino effetti indesiderati;
5 - etichettatura
degli alimenti e dei derivati OGM, condizione minima per avere un mercato
trasparente sia per il produttore, che così riuscirebbe a spuntare i giusti prezzi, sia per il consumatore, che potrebbe fare una scelta consapevole. Essa è già
prevista per gli OGM direttamente destinati all’alimentazione umana, mentre non
è prevista (almeno al momento in cui si scrive – dicembre 2012) per i derivati
ottenuti dalla trasformazione di OGM (carne, latte, uova, ecc.). Questo,
ovviamente, è fonte di incertezza per il consumatore, che acquista senza volerlo
OGM, e costituisce una sorta di “concorrenza sleale” per il produttore nazionale
che decide di non acquistare/utilizzare mangimi OGM per l'alimentazione animale;
6 - libero
mercato, allorché il consumatore potrà scegliere tra “alimenti OGM”
e “alimenti Non OGM”, siano essi alimenti direttamente utilizzabili nell'alimentazione umana, siano essi
derivati dalla trasformazione di OGM (carne, latte, uova, ecc.). Così chi ha il prodotto maggiormente gradito
dal consumatore sopravvivrà, l'altro sarà costretto a soccombere.
Come si è potuto vedere, sono piccole/modeste azioni che possono portare alla definitiva risoluzione dell'infinita querelle che ormai da anni caratterizza l'applicazione in ambito agroalimentare di questa innovazione tecnologica.
Come si è potuto vedere, sono piccole/modeste azioni che possono portare alla definitiva risoluzione dell'infinita querelle che ormai da anni caratterizza l'applicazione in ambito agroalimentare di questa innovazione tecnologica.
Etichette:
agricoltura,
agrobiotecnologie,
coesistenza,
etichettatura,
mais bt,
ogm,
parentali selvatiche,
piante infestanti,
piante ogm ht,
principio di precauzione,
rischio,
scienza,
soia rr
mercoledì 5 dicembre 2012
Agrobiotecnologie e OGM: una valutazione di ordine etico
Agrobiotecnologie e OGM: una
valutazione di ordine etico
Prof. Carlo Mons. Rocchetta
Consigliere Ecclesiastico Nazionale
della CNCD
L'utilizzazione delle biotecnologie
in campo agro-alimentare rappresenta una rivoluzione tanto rilevante da poter
essere paragonata all'invenzione del fuoco alle origini dell'umanità, alla
scoperta dell'energia elettrica in epoca moderna o all'utilizzazione
dell'energia atomica in età contemporanea. Come tale, essa porta con sé una
grande quantità di interrogativi etici su cui tutti, e specialmente noi
credenti, siamo chiamati ad interrogarci. E' in gioco infatti il futuro stesso
della comunità umana e del creato, della qualità della vita, dell'agricoltura e
della sicurezza alimentare.
La posizione della Chiesa cattolica
è, in questo senso, di grande prudenza, come è stato perfettamente espresso
nella parole che il Santo Padre ha pronunciato nel Giubileo degli agricoltori,
quando ha invitato gli operatori del mondo agricolo a:
"resistere alle tentazioni di
una produttività e di un guadagno che vadano a discapito del rispetto della
natura. Da Dio la terra è stata affidata all'uomo 'perché la coltivasse la
custodisse' (Gen 2,15). Quando si dimentica
questo principio, facendosi tiranni e non custodi della natura, questa prima o
poi si ribellerà”.
E aggiungeva:
"E' un principio da ricordare
nella stessa produzione agricola quando si tratta di promuoverla con /'applicazione di biotecnologie, che non possono essere valutate solo
sulla base di immediati interessi economici. E' necessario sottoporle
previamente ad un rigoroso controllo scientifico ed etico, per evitare che si
risolvano in disastri per la salute dell' uomo e per l'avvenire della
terra".
Una posizione non di chiusura, ma di
discernimento e di opportuna cautela, in cui sono implicati almeno tre nodi
problematici:
. il dialogo tra scienza e morale, evitando ogni fondamentalismo e operando perché la scienza sia a
servizio della persona umana e della collettività, non solo dell'economia e
degli interessi di pochi gruppi finanziari;
. la questione del rischio etico in
campo agrobiotecnologico, mettendo in primo piano il principio
della massima precauzione rispetto a quello del cosiddetto "danno
calcolato";
. il rispetto della natura, con interventi che non le facciano violenza, ma che salvaguardino l'unità
dell'ecosistema e la biodiversità.
E' chiaro che la mia riflessione si
limita alla questione degli OGM in campo agro alimentare, lasciando da parte
tutta la problematica relativa alla biomedicina e alla farmaceutica. Ritengo
infatti che si debba porre una netta distinzione tra i due ambiti:
. il campo delle applicazioni biomediche
e farmaceutiche è circoscritto alla cura di determinate situazioni di malattia
e puòessere tenuto sotto un sufficiente controllo;
. il discorso delle agrobiotecnologie
avanzate è invece indirizzato ad intervenire sulla natura in una forma
globale, introducendo modifiche sostanziali nel sistema-vita e nella relazione
tra le specie, con effetti a campo aperto certamente più difficili da
controllare.
1. IL DIALOGO TRA SCIENZA E MORALE
La scienza riveste certamente un compito
primario nel cammino dell'umanità, e nessuno si sogna di negarne la validità.
Il problema è sapere quale scienza, a servizio di chi e di che cosa? E'
questo l'interrogativo di fondo.
1.1. - Si deve in primo luogo distinguere
tra ricerca scientifica e applicazioni, tra scienza e tecnologia. Non a
caso il Santo Padre parla di "applicazione biotecnologiche", non di
"ricerca scientifica".
La ricerca scientifica è
necessaria, a condizione ovviamente che si attui con mezzi leciti e sia
indirizzata a fini umanistici, e si ponga quindi a servizio della vita
e di una sua migliore qualità, e mai contro.
Le applicazioni biotecnologiche
richiedono invece di essere sottoposte al vaglio delle scienze dello spirito
(dall'etica alla filosofia della scienza, al diritto e alla stessa
politica), evitando ogni forma di integralismo scientifico in base a cui
ciò che è tecnicamente possibile diviene ipso facto, sempre e in ogni
caso, eticamente valido e legittimo. Non è così!
Se ci si deve guardare dal pregiudizio
antiscientifico, ci si deve in pari tempo e con la stessa forza tenere
lontani da ogni determinismo scientifico.
Non è corretto, sotto il profilo
etico, passare direttamente dalle scoperte scientifiche alle loro immediate
applicazioni senza la mediazione delle scienze dello spirito, senza quindi
una verifica interdisciplinare sulle implicazioni che esse possono avere sul
piano del bene della persona e del bene comune.
Non si tratta - come è chiaro - di
fermare anacronisticamente la scienza, ma di farle ritrovare il suo vero
statuto, la sua vera funzione antropologica, mettendola in dialogo con la
comunità civile e con le altre scienze, in modo che si possa attuare:
. come scienza-sapienza, come
un "sapere" a servizio dell'uomo, e non come un potere illimitato,
per lo più in mano ad interessi di parte o di solo mercato;
. come scienza umanistica, cosciente
delle sue enormi responsabilità nei confronti della comunità umana e dell'
ambiente naturale, dell'oggi e del domani del pianeta terra.
1.2. - Ed è qui che interviene il
secondo dato da precisare. A chi e a che cosa deve obbedire la ricerca
scientifica e le sue applicazioni: a criteri solo di guadagno o non a
criteri più alti? Sta in questo interrogativo uno dei punti nodali da
sciogliere.
La quasi totalità della ricerca
scientifica è oggi in mano a grandi gruppi privati che mirano ad applicazioni
solo (o quasi solo) legate al profitto. E' giusto questo? A quali
conseguenze conduce una simile situazione?
Non è giusto e le conseguenze sono
che la scienza e le sue applicazioni finiscono per essere solo a servizio del
grande capitale o della finanziarizzazione dell' economia.
E' urgente rivedere questa situazione
e operare con sempre più forza perché la ricerca scientifica sia affidata
anzitutto ad Enti Pubblici che ricerchino, nelle applicazioni, ciò che è il bene
della collettività e dell’umanità, e non interessi particolari o di mero
guadagno. Penso alla Comunità Europea e ai suoi ingenti fondi. Penso ai singoli
Stati: che cosa fanno per promuovere autonomamente la ricerca scientifica? Più
in particolare è legittimo chiedersi: perché gli enormi investimenti
economici utilizzati per la ricerca dei prodotti transgenici non sono
impiegati in una prospettiva positiva, per la conservazione, il miglioramento e
l’incremento delle diverse specie esistenti, invece che per il loro
impoverimento? Perché, ad esempio, questi enormi investimenti economici non
sono utilizzati:
. per il rafforzamento della variabilità
genetica naturale e il suo miglioramento?
. per la ricerca di antiparassiti
naturali e il controllo delle erbe infestanti?
. per la gestione ecologica dei
rifiuti e l'incremento delle tecniche agronomiche di fertilizzazione?
. per metodi ecologici di produzione
e di conservazione degli alimenti?
. per sostenere l'agricoltura
ecocompatibile, invece di sottoporla al pericolo di contagio derivante dalle
colture transgeniche?
. per l'incremento della qualità e
della tipicità dei prodotti regionali e per un miglior equilibrio
dell'ambiente?
Evidentemente questi settori non sono
remunerativi.
Proprio il caso degli OGM è
emblematico a riguardo: la prudenza che molti di noi manifestano, riguarda gli
attuali OGM, derivanti da incroci transgenici, ossia dalla combinazione
sistematica tra regni e specie diverse. Sono questi OGM che creano forti dubbi
sia sul piano del rispetto della natura che per gli effetti che si possono
avere sull'ambiente, sulla salute e la salubrità dei cibi.
Non è escluso che si possa pensare a
OGM, chiamiamoli "ecocompatibili", ossia ad organismi rafforzati
usufruendo delle loro stesse risorse o di incroci naturali, come si è sempre
fatto in agricoltura, usufruendo per questo delle enormi possibilità che la
scienza mette oggi a disposizione. Sarebbe questo un investimento importante,
perché eliminerebbe alcuni eccessi di pesticidi e renderebbe la pianta capace,
da sola, di difendersi da alcuni parassiti, senza fare violenza alla natura
o correre il rischio di determinare effetti non previsti.
Perché non si fa? Evidentemente è un
procedimento più lungo e non fa guadagnare come gli attuali OGM. Sono un po' transcent,
ma non credo ci siano altre spiegazioni. E' una via percorribile? Personalmente
e concretamente se, a livello di principi, vedo l'opportunità di questa via, ne
colgo al tempo stesso la difficoltà di attuazione, dato che tutto il discorso
degli OGM è ormai gestito dal grande potere economico. Ma qualcosa bisognerà
pur fare!
2. LA QUESTIONE DEL RISCHIO ETICO IN CAMPO AGROBIOTECNOLOGICO: "DANNO CALCOLATO" O
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE?
Eticamente quanto più un'azione può
avere effetti gravi, estesi, irreversibili e incontrollabili tanto più
esige di essere attentamente vagliata e sottoposta al criterio della massima
precauzione.
Su questo aspetto la comunità
scientifica mondiale è oggi divisa. Un numero sufficiente di scienziati ha
sollevato dubbi sugli alimenti a base di OGM, dall' aumento di allergie e di
intolleranze, al calo dei valori nutritivi, all'aumento della tossicità e della
resistenza agli antibiotici. Tra i potenziali rischi ambientali, sono
segnalati i problemi dell'impollinazione incrociata, l'aumento nell'uso dei
pesticidi e la distruzione di molte specie. Non manca perfino chi arriva a
paventare una possibile serie di effetti a catena, derivanti dall'uso sempre
più esteso di OGM, che potrebbero mettere in crisi lo stesso sistema-vita sul
pianeta, come una potenziale "bomba biologica".
Se fossero veri questi pericoli,
anche solo una parte, ci troveremmo di
fronte a conseguenze devastanti e probabilmente non più sanabili all'interno
dell' ecosistema.
Data questa incertezza e finché essa
perdura, non è moralmente accettabile sottoporre /'umanità ad un rischio planetario di una tale portata.
L'industria mondiale degli OGM si
difende affermando che nessun progresso è privo di rischi: i treni e gli aerei
hanno i loro costi in vite umane; eppure nessuno sarebbe disposto a rinunciare
ad essi. Ma siamo
sicuri che sia la stessa cosa? Treni e aerei dipendono in gran parte dall'uso
improprio che se ne fa e se possono comportare degli effetti negativi ciò
riguarda generalmente ambiti circoscritti o singoli fruitori.
Gli interventi di ingegneria genetica
in campo agro-alimentare concernono invece modificazioni permanenti,
probabilmente irreversibili e, a lungo andare, imprevedibili impresse
nel quadro della struttura biologica stessa egli esseri viventi, e
riguardanti /'universalità del pianeta e del suo futuro. Non è etico
attuare una sperimentazione, di questa portata, quando non si è moralmente
certi degli effetti che si possono generare, non solo nell'immediato, ma anche
a medio e lungo termine.
Il principio di precauzione deve
prevalere sulla logica del solo rischio o, come si usa dire oggi, del
"danno calcolato". Giovanni Paolo II sta ripetendo, in modo
instancabile, che non si può fare della vita umana un oggetto di
sperimentazioni, tanto più pericolose in quanto minacciano il valore stesso
della vita e la sopravvivenza dell'umanità. La vita non è un oggetto in nostro
possesso, e ogni applicazione delle tecniche agrobiotecnologiche non è mai
una questione unicamente scientifica; è sempre una questione di grande
responsabilità morale.
L'etica da promuovere è l'etica della
responsabilità, fondata:
. su informazione e formazione circa
quelli che sono i meccanismi che stanno subordinando l'etica alla scienza e la
scienza a1l' economia;
. su scelte etiche che mettano
al primo posto la persona e il suo habitat, e non interessi di parte;
. sull'impegno a prevenire i rischi, e non limitarsi a riparare i danni
quando potrebbe essere troppo tardi;
. sulla capacità di andare incontro ai cambiamenti e di governarli, e non
di subirli passivamente.
3.
IL RISPETTO DELLA NATURA: INTERVENIRE ENTRO CERTI CONFINI, RISPETTANDO
L'ECOSISTEMA E SALVAGUARDANDO LA BIODIVERSITÀ
Ed ecco allora il terzo nodo
problematico: fino a che punto è lecito intervenire nel quadro della natura?
Qual è il ruolo dell' uomo nel creato: è il ruolo di un padrone assoluto o non
piuttosto di un fedele amministratore?
E' noto come non siano mancati
storici e ambientalisti che hanno ritenuto o ritengono la tradizione
giudaico-cristiana responsabile del degrado ambientale, facendo risalire
l'origine di questa responsabilità al comando biblico di Gen 1,28: "Siate
fecondi e dominate la terra, soggiogatela e dominatela". Una corretta
esegesi dei testi biblici va però in tutt'altra direzione.
Gen 1,26.28. I due verbi aramaici corrispondenti a "soggiogare" e
"dominare", contrariamente al significato immediato che sembrano evocare,
contengono, nel linguaggio biblico, due immagini estremamente significative.
Il primo verbo (soggiogare) serve a descrivere il dominio di un re saggio che
si prende cura dei suoi sudditi e fa di tutto, perché non manchi loro niente;
in quanto tale, il verbo non indica affatto un potere dispotico o sfrenato che
fa scempio della terra e dei suoi frutti, ma un compito sapienziale. Non
saremmo più di fronte ad un re saggio, ma ad un tiranno. Il secondo verbo (dominare,
radah) rimanda ad una missione di guida, come un pastore che conduce
il gregge all'ovile, evitando che vada incontro alla morte o alla perdita di sé
e descrive il ruolo dell'uomo come un ruolo di responsabilità. In entrambi le
formulazioni, la signoria data da Dio alle sue creature, a1l 'uomo e alla
donna, non rappresenta mai una potestà assoluta, ma relativa: è una signoria
ricevuta da Dio, attenta a proteggere quanto è stato loro affidato.
Gen 2,15. Il testo del secondo racconto è più facile da comprendere e implica
un'ulteriore immagine di notevole significato: quella del giardiniere: "Il
Signore prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse". I due verbi ("coltivare" e "custodire")
esprimono il compito di un custode che si prende cura del giardino che gli
è stato consegnato, coltivandolo e custodendolo appunto. "Coltivare"
si oppone ad abbandonare; "custodire" a "distruggere",
inquinare o devastare. L'uomo è quindi considerato come il giardiniere di Dio e
il fruitore del bene-terra, non un suo despota.
E' quanto viene richiamato,
indirettamente, dalla stessa immagine dell'albero del bene e del male, come
spiega Giovanni Paolo II, nell'enciclica
"Sollicitudo rei socialis": "Il dominio accordato dal Creatore
all' uomo non è un potere assoluto, né si può parlare di libertà di 'usare e
abusare', o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta
dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la
proibizione di "mangiare il frutto dell' albero" (Gen 2,16), mostra
con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo
sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono
impunemente trasgredire" (SRS 34).
Dunque è lecito intervenire nel mondo
della natura, ma entro precisi confini, non spadroneggiandola a piacimento o
creando condizioni di invivibilità. "Risulta evidente - sottolinea
ancora Giovanni Paolo II nell'enciclica appena citata - che lo sviluppo,
l'uso delle risorse della terra e la maniera di utilizzarle non possono essere
distaccati dal rispetto delle esigenze morali. Una di queste impone senza
dubbio limiti all'uso della natura visibile" (SRS 34). La natura è un
dono da rispettare e migliorare, non da violentare.
"Dio perdona, la natura non
perdona", afferma un antico detto della
saggezza cristiana. E' pericoloso far violenza alla natura; essa conserva la
memoria di quanto subisce e prima o poi si ribellerà. Oggi questo pericolo non
riguarda più solo questo o quel caso particolare, ma il "villaggio
globale" dell'umanità del cosmo.
Siamo sicuri, ad esempio, che il mancato
rispetto delle diverse specie, l'incrocio fra geni di piante, di animali e geni
umani sempre più estesa e capillare non finisca per sconvolgere l'ordine
strutturale stesso della natura e non introduca situazioni di squilibrio non
più controllabili?
. Altro è l'intervento per migliorare
la natura al suo interno e renderla capace di difendersi da parassiti mortali,
come si è detto, ma all'interno del loro stesso essere e utilizzando o
incrementando le loro stesse risorse di natura.
. Altro è la violazione sistematica e
globale delle leggi biologiche degli esseri e delle loro relazioni con
l'immissione di situazioni nuove che vi si oppongono e possono creare situazioni
non più controllabili.
Finché l'applicazione delle
biotecnologie in campo agro-alimentare non avrà sciolto ogni riserva in questo
campo sarà un preciso dovere etico chiedere almeno una moratoria. L'uomo deve
guardarsi dal rischio di ridurre il cosmo ad una preda da conquistare o ad una
casa da saccheggiare. Già in un discorso del 24.3.97, Giovanni Paolo II aveva
denunciato questo pericolo: "L'ambiente è diventato spesso una preda a
vantaggio di alcuni forti gruppi industriali e a scapito dell' umanità nel suo
insieme, con un conseguente danno per gli equilibri dell' ecosistema,
della salute degli abitanti e delle generazioni future".
Le parole del Santo Padre richiamano
due problematiche attualissime, collegate alle agrobiotecnologie: l'unità
dell' ecosistema e la salvaguardia della biodiversità.
L'ecosistema rappresenta un 'unità
interattiva, dove ogni essere è in relazione dinamica con l'altro da sé e ogni
modificazione che vi viene introdotta agisce in modo diacronico e sincronico
sul circuito vitale degli esseri e del rapporto uomo-natura. Per questa ragione
è sbagliato applicare alle scienze biologiche i principi delle scienze fisiche:
. la fisica è per definizione il campo delle leggi rigide e sempre eguali (posta una
causa si dà un effetto);
. la biologia è invece il
campo delle interdipendenze: il patrimonio genetico del DNA non una semplice
fila di perline, dove ne puoi togliere una e sostituirla con ultra, senza che
ciò non provochi un cambiamento nella struttura stessa dell'essere. E' pericoloso
trasportare la logica deterministica della fisica all'interno della biologia e
delle sue applicazioni in campo agro-alimentare.
L'unità dell'ecosistema è un bene da
difendere, non un oggetto da mercanteggiare o da lasciare in balia del business
economico. E' in gioco la sopravvivenza stessa della vita e dell'ambiente.
Non si può disattendere questa responsabilità, agendo senza una coscienza informata
da principi etici. Giovanni Paolo II ha messo ripetutamente in guardia da una
simile tentazione e ha parlato di mercanti che ''fanno del mercato la loro
'religione' , fino a calpestare, in nome di dio-potere, di dio-denaro, la
dignità della persona umana e della sua vita". E' da questa nuova
religione del profitto a tutti i costi che occorre guardarsi, ritrovando
un'autentica spiritualità del creato, comprensiva di un atteggiamento
estetico verso la natura, che sia in grado di rimandare al Creatore di tutte
le cose, con meraviglia e gratitudine, e ci orienti verso una dimensione
contemplativa, e non distruttiva, del creato.
Lo stesso discorso vale per la
biodiversità; essa è un valore da apprezzare e da promuovere, non da impoverire
o ridurre sempre più. La questione non è soltanto ambientale; è etica. Non è
moralmente lecito impoverire la varietà e la differenza della flora e della
fauna, indebolendo o addirittura cancellando le molteplici specie di piante e
di animali che la natura ha prodotto in migliaia e migliaia di anni e il
Creatore ci ha donato, lasciando alle generazioni future una natura omologata a
pochissime specie. Le applicazioni biotecnologiche, se vogliono essere
utilizzate in senso umanistico, devono rafforzare la biodiversità, e non
accellerarne la diminuzione e la scomparsa.
Intervenire sulla natura è legittimo,
come si è detto, ma ciò deve sempre avvenire entro precisi confini e nel
rispetto dell'unità dell'ecosistema, delle configurazione delle singole specie
e della biodiversità. L'uomo è custode della natura, non despota.
La stessa questione della brevettazione
degli OGM andrebbe ripensata in questo quadro. E' noto come il 12 maggio 1998
il Parlamento Europeo e il Consiglio dell' UE abbia approvato la "direttiva
sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche"; una
direttiva che non è priva di interrogativi etici per le implicazioni che può
avere sia in campo agrobiologico e biozoologico che in campo bioagroalimentare.
Brevettare le sequenze geniche
significa brevettare organismi viventi, e brevettare organismi viventi è
brevettare la vita, finendo per ridurla ad un manufatto, ad un prodotto fatto dall'uomo e commerciabile come ogni altro un
oggetto di consumo. E' legittimo tutto questo? A che cosa condurrà? Dietro
questa scelta, oltre che una questione di soldi (le famose royalties), non
si nasconde forse una sorta di "delirio di onnipotenza"?
Il patrimonio genico appartiene a Dio
e quindi a tutta l'umanità; e come tale deve essere considerato e valutato. Su
questo punto, si è pronunciata la stessa UNESCO, affermando che "il
materiale genetico è patrimonio comune dell'umanità" e "non deve
produrre alcun guadagno economico". Purtroppo questa regola non è affatto
rispettata dalla direttiva europea. La stessa distinzione che essa elabora tra
"scoprire" e "inventare" non è per nulla convincente.
Anche in questo caso siamo di fronte ad un problema morale di rilevanza
mondiale. Le applicazioni biotecnologiche devono salvaguardare il principio
che il patrimonio genico (da qualunque essere provenga, umano, animale o
vegetale) deve servire al bene di tutti e di ciascuno, senza diventare dominio
esclusivo di qualche potentato economico e dell' arbitrio di interessi di
parte.
4.
CONCLUSIONE
Nei confronti delle agrobiotecnologie
è dunque opportuno tenere al momento - un atteggiamento critico. La scoperta,
di per sé legittima, di nuove possibilità tecnologiche innovative non può
indurre automaticamente alloro impiego, senza una verifica che consideri i
rischi etici e faccia prevalere sempre e comunque gli interessi della collettività
su quello dei grandi potentati economici. Mai come oggi la nostra libertà
dev'essere sottoposta al criterio della responsabilità e della prudenza. Chi
non lo facesse, diverrebbe colpevole tra l0 o 20 anni degli eventuali danni che
potrebbero essere provocati da un uso degli OGM non sufficientemente vagliato o
valutato in tutti i loro effetti. La comunità cristiana è oggi in prima fila
in questa ricerca, per dare il proprio specifico apporto alla difesa della vita
e dell' ambiente e promuovere uno sviluppo integrale e sostenibile dell’umanità.
Etichette:
agricoltura,
agrobiotecnologie,
brevetto,
coesistenza,
colza rr,
ecoetica,
etica,
mais bt,
monopolio,
morale,
ogm,
principio di precauzione,
scienza,
semente,
soia rr
Iscriviti a:
Post (Atom)