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sabato 29 settembre 2012

Sovranità energetica o sovranità alimentare? Cibo per gli umani o combustibile per le automobili?

Parole chiave: bioenergia, syngas, agricoltura, bioenergetiche, mais, elettricità, risorse rinnovabili, pirolizzatore, terreno agricolo.

         Negli ultimi anni il mercato ha deciso che “il petrolio è più importante del cibo!”. Qualcuno potrà pensare ad un’affermazione fatta da una persona “scarsamente equilibrata”, poiché si può vivere senza petrolio, ma senza cibo è un po’ più difficile! Purtroppo non è così, in quanto la produzione agricola di “biodiesel” o di “bioetanolo” è divenuta più conveniente della produzione di frumento! In particolare, con il prezzo del petrolio che ha toccato i 150 $ il barile, la produzione agricola di biocombustibili, grazie anche agli incentivi pubblici, risulta economicamente più vantaggiosa della produzione di cibo. Fortunatamente, nel momento in cui si scrive questa nota, il prezzo del petrolio è sceso a 70-80 $ il barile, per cui la convenienza è diminuita, ma non al punto tale da impedire un aumento delle superfici agricole destinate alla produzione di biocombustibili. Sempre più spesso terreni agricoli di elevata fertilità vengono destinati alla produzione di biomasse, sempre più spesso imprese finanziarie che investono capitali laddove maggiore è la loro remunerazione affittano o acquistano terreni per avviare produzioni energetiche di origine agricola.
In termini generali potremmo indicare come biocombustibili tutte quelle sostanze di origine organica (vegetale o animale) in grado di produrre energia. Rientrano tra i biocombustibili i biocarburanti, costituiti principalmente da olio vegetale/biodiesel e bioetanolo specificamente utilizzati per l'alimentazione dei motori a combustione interna, e le biomasse, siano esse di origine erbacea o arborea, utilizzate a scopi energetici per la produzione di calore e/o di energia elettrica.
         La legna da ardere è un classico esempio di biocombustibile, per cui potremmo affermare che da sempre l’uomo utilizza biocombustibili per scopi energetici. Perché, allora, l’argomento è divenuto di estrema attualità? Il motivo è da ricercare nel fatto che a differenza di quanto avveniva in epoche passate, dove il biocombustibile derivava principalmente dagli scarti delle produzioni agricole (scarti di lavorazione del legno, sarmenti, ecc.) e/o da specifiche produzioni ottenute in territori marginali che non erano in grado di produrre cibo (per esempio il bosco ceduo attuato in terreni a forte pendenza), oggigiorno la produzione di biocombustibili deriva dalla coltivazione di terreni di elevata qualità agronomica (“terreni fertili”), che vengono normalmente sottratti alla produzione di cibo.
Da un punto di vista etico, pensare che qualcuno sul nostro pianeta utilizzi la Terra Fertile per alimentare le macchine utensili e/o le automobili piuttosto dell’uomo, è sicuramente un affronto nei confronti di chi quotidianamente soffre il problema della fame. Sono ormai una realtà consolidata stufe per il riscaldamento che funzionano a granella di mais, oppure motori a combustione interna per la produzione di elettricità che funzionano ad olio vegetale, oppure, ancora, caldaie per il riscaldamento di edifici e motori per automobili che funzionano a biodiesel o a bioetanolo. 
         In molti Paesi la produzione di biocombustibili è una realtà! Non solo negli U.S.A. o in Brasile dove le automobili alimentate ad alcool sono una realtà da decenni, ma anche da noi! In particolare, nei Paesi dell’UE sono state emanate Direttive che fissano obiettivi indicativi per la sostituzione dei carburanti convenzionali (diesel e benzina) con i biocarburanti derivanti da colture agricole (biodiesel e bioetanolo) e fornisce un inquadramento giuridico per le misure fiscali ed altri provvedimenti di carattere nazionale destinati alla promozione di questi combustibili. In particolare, ne viene incentivata la coltivazione con un contributo specifico per ettaro dell’ordine di 45,00 Euro.
         Nei Paesi dell’Unione Europea le coltivazioni agricole di maggiore interesse per la produzione di biocombustibili si sono rilevate le colture alcoligene ed oleiche per la produzione di biocarburanti liquidi per autotrazione e le colture da fibra per la produzione di biomassa che può essere utilizzata tal quale, oppure può subire la trasformazione in gas (singas o gas di sintesi da utilizzare poi per la produzione di elettricità e calore). Sinteticamente, le coltivazioni agricole destinate alla produzione di biocombustibili possono essere classificare in:
colture alcoligene, amidacee e zuccherine (canna da zucchero, cereali, sorgo zuccherino, barbabietola da zucchero, topinambur, ecc.) per la produzione di etanolo, da impiegarsi come combustibile oppure per la produzione di additivi per combustibili;
colture oleaginose (girasole, colza, soia, ecc.) per la produzione di biodiesel;
colture erbacee ad alta efficienza fotosintetica (sorgo da fibra, Miscanto, Arundo donax ed altre canne, ecc.);
colture arboree a breve rotazione (robinia, salice, pioppo, ginestra, eucalipto, ecc.).
Al momento non sussistono difficoltà di ordine tecnologico per la produzione e l’utilizzazione di biocombustibili, ma solo difficoltà di ordine economico/fiscale, legate al minor costo di mercato del combustibile fossile rispetto a quello ottenuto dalla filiera agricola (ancora per poco se l’incremento di prezzo del petrolio continuerà con la tendenza attuale). In particolare, in termini generali, sarebbe possibile la completa sostituzione del carburante fossile con bioetanolo o biodiesel; il primo ottenuto da specifiche coltivazioni di canna da zucchero, di mais o di sorgo zuccherino, mentre il secondo potrebbe essere ottenuto dall’esterificazione degli oli di soia, di colza o di girasole. Anche il gas proveniente da giacimenti fossili potrebbe essere in parte sostituito dal singas (gas di sintesi) proveniente dalla pirolisi di specifiche produzioni agricole.
I sostenitori dei biocombustibili affermano che essi presentano dei vantaggi rispetto a quelli di origine fossile. In particolare, si possono produrre facilmente nei Paesi europei, favoriscono la diversificazione delle fonti e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, contribuiscono al rispetto degli impegni assunti dall’Europa in materia di cambiamenti climatici (Protocollo di Kyoto, 1997), data la loro origine non fossile sono meno nocivi per l’ambiente, in quanto l’anidride carbonica emessa durante il processo di combustione è uguale a quella assorbita durante il processo di produzione agricola. Relativamente a quest’ultimo aspetto, però, taluni studiosi affermano che il bilancio energetico complessivo sarebbe negativo, in quanto occorrerebbe considerare anche l’energia consumata durante il processo di produzione agricola. In particolare, secondo taluni autori l’energia consumata durante il processo di produzione agricola (lavorazioni meccaniche, concimazioni, trattamenti antiparassitari, irrigazioni, raccolta, trasporto, ecc.) assorbirebbe una quantità di energia superiore a quella incamerata dal processo fotosintetico e utilizzata durante il processo di sfruttamento energetico.  Si consideri poi che l'utilizzazione dei biocombustibili è concentrata nelle aree ad alta densità abitativa, per cui permangono i problemi di inquinamento determinati dalla produzione di anidride carbonica.
Occorre poi considerare che il costo del combustibile di origine agricola non tiene conto delle esternalità che inevitabilmente essi producono. Tra queste le più importanti sono riferite a:
• inquinamento e sfruttamento del suolo (risorsa non rinnovabile) durante la coltivazione della materia prima da trasformare;
• inquinamento prodotto dai rifiuti ottenuti durante il processo di trasformazione. Per esempio, il processo di esterificazione necessario per la trasformazione dell’olio di semi in biodiesel è caratterizzato da una forte produzione di glicerina;
• non ultimo per importanza, la forte sottrazione di terreno agricolo che in precedenza era destinato alla produzione di alimenti. Si tenga presente che nel nostro Paese per sopperire al 5,75% del consumo di biocombustibili programmato dall’Unione Europea, occorrerebbe investire a coltivazioni energetiche dal 25% al 30% dell’attuale Superficie Agricola. In relazione al fatto che sarà impossibile destinare questa parte del territorio agricolo a coltivazioni energetiche, al fine di soddisfare i programmi dell’Unione Europea, sarà inevitabile l’importazione di olio di palma dai Paesi Meno Avanzati, con aggravamento quindi delle problematiche di deforestazione del territorio e di concorrenza in termini di prezzo  dei biocombustibili con le derrate alimentari prodotte in quegli stessi Paesi. Di fatto, numerosi Paesi Meno Avanzati hanno riconvertito territori che un tempo erano destinati alla foresta o alla produzione di alimenti, in terreni agricoli destinati alla coltivazione di palma da olio (Indonesia 16,5 milioni di ettari, Malesia 6 milioni di ettari, Sumatra e Borneo 4 milioni di ettari. Per operare un confronto e per rendersi conto dell’entità del fenomeno si tenga presente che la superficie dell’Italia è di 30 di milioni di ettari), che, con ogni probabilità, sarà destinato a scopi energetici. Per questi Paesi, nei quali vi è anche una certa carenza di cibo, la produzione di biocombustibili risulterà in competizione con la produzione di alimenti. Pertanto, inevitabilmente, la produzione di biocombustibili  contribuirà ad un aggravamento delle crisi alimentari in atto, dovute principalmente ad  una diminuzione dell’offerta locale di cibo, con conseguente aumento dei relativi prezzi.
È piuttosto evidente che al prezzo attuale del petrolio, e fino a quando le imposte sui biocarburanti saranno le stesse di quelle dei carburanti fossili, difficilmente nel nostro Paese potrà avviarsi la produzione e la commercializzazione di biocombustibili su larga scala. Diverso è il discorso relativo alla coltivazione di biomasse per la produzione di energia elettrica, che già oggi, grazie ai “certificati verdi”, garantisce saggi di redditività dei capitali investiti di un certo interesse.
Ma il prezzo del petrolio, inevitabilmente, tenderà a salire, per cui prima o poi si toccherà il punto di pareggio e sarà pertanto conveniente utilizzare biocarburanti agricoli in sostituzione di quelli fossili. Se sarà questa la prospettiva, occorrerà considerare che una buona parte dei terreni agricoli sarà sottratta alla produzione di alimenti e siccome occorre mangiare per vivere, in quanto il bioetanolo o il biodiesel non è un buon nutriente, occorrerà considerare che nei rimanenti terreni vi sarà una intensificazione dei processi produttivi agricoli (maggior impiego di concimi, di fitofarmaci, di acqua di irrigazione, ecc.), al fine di mantenere la produzione quantitativa di cibo ad un certo livello. Tale incremento nell’uso di fattori produttivi esterni all’agricoltura, sarà incentivato anche dall’inevitabile aumento del prezzo del cibo, in quanto la “distrazione” dei terreni agricoli ad altre utilizzazioni determinerà una diminuzione della loro offerta sul mercato. In questo contesto diverrà poi sempre più importante il discorso relativo alle caratteristiche qualitative del cibo, in quanto di solito l’intensificazione dei processi produttivi avviene attraverso una maggior utilizzazione di sostanze chimiche, siano esse fertilizzanti e/o antiparassitari.
In conclusione si può affermare che sempre più spesso le funzioni dell’agricoltura, che dovrebbero essere concentrate nella produzione di cibo in quantità adeguata e con elevati standard qualitativi, subiscono radicali modificazioni nel tempo. In particolare, un tempo l’agricoltore era chiamato a produrre “alimenti”. Oggigiorno l’agricoltore produce prevalentemente “materie prime”  che saranno poi utilizzate dall’industria che realizzerà valore aggiunto dalla successiva produzione di alimenti e/o di energia (gli allevamenti sono senza terra e utilizzano mangimi complessi di origine agricola, gli alimenti semplici non esistono quasi più e sono frutto della preparazione industriale, la coltivazione di biocombustibili è in espansione). E’ ovvio che in questa situazione il settore agricolo non può pretendere di acquisire dalla propria attività le stesse remunerazioni che riusciva ad ottenere quando produceva alimenti e non materie prime.            
A questo punto occorre interrogarsi sulle strategie di sviluppo della nostra società, troppo spesso legate ad una utilizzazione delle risorse finalizzata solo ed esclusivamente alla massimizzazione del profitto. In particolare, non è possibile accettare che possa crearsi una contrapposizione tra la “nutrizione umana” e la “nutrizione delle automobili”! Se contrapposizione si verificherà, ancora una volta il mercato dovrà tener conto di questo aumento della domanda di materie prime agricole, con un inevitabile aumento del prezzo delle derrate agro-alimentari. Soprattutto in un momento in cui secondo i dati della FAO 1 miliardo di persone nel mondo soffre la fame, ed in un momento in cui l’aumento generalizzato dei prezzi delle derrate alimentari ha  determinato in alcuni Paesi la “Guerra del pane” creando nuovi poveri, non è possibile accettare che ancora una volta la parte più ricca del pianeta metta in atto strategie produttive che sono in competizione con le esigenze di garantire un’esistenza dignitosa ad una buona parte della popolazione del Globo. E’ necessario un cambiamento di mentalità e di priorità, al fine di comprendere ed intraprendere le strategie realmente sostenibili ed al fine di maturare una nuova consapevolezza nei confronti delle altre popolazioni che con noi condividono il Pianeta, che hanno esigenze minime: vivere e non sopravvivere!