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martedì 5 marzo 2013

Le sementi OGM non sono sterili, però è vietato riseminarle, anche in secondo raccolto.


Negli U.S.A. sono ormai numerose le cause messe in atto da talune ditte sementiere contro agricoltori che, trattenendo una parte del raccolto e riseminandolo, coltivano le loro sementi brevettate "abusivamente". Trattasi, soprattutto, di semi di soia e colza (per il mais, essendo un ibrido, non è possibile attuare questa operazione), poiché non essendo varietà ibride, essi possono essere coltivati e tranquillamente  riseminati tutti gli anni. 

Il caso in oggetto riguarda le produzioni effettuate in secondo raccolto (un raccolto secondario, che viene effettuato dopo la coltivazione principale e che non origina grandi profitti per l’agricoltore). Il secondo raccolto, lo dice la parola stessa, può essere attuato per le coltivazioni che hanno un ciclo molto breve. L'agricoltore semina in primavera il primo raccolto.....raccoglie il prodotto.......trattiene una parte del prodotto per la risemina del secondo raccolto nella stessa annata. Pertanto, negli USA, e nel caso della soia OGM, utilizza per il secondo raccolto un seme che deriva dalla riproduzione di un seme brevettato.   

In particolare, l’oggetto del contendere riguarda anche gli agricoltori che hanno pagato le royalty sul seme di soia utilizzato per il primo raccolto   e che intendono utilizzare una parte del raccolto per la semina del secondo raccolto. Essi, secondo le ditte che hanno il brevetto su quella semente, devono ripagare i diritti sulle sementi, anche se la ditta proprietaria del brevetto non ha manipolato in alcun modo la semente e, pertanto, non ha sostenuto alcun costo di lavorazione e di condizionamento per quella stessa semente.

Da rilevare che non è consentito nemmeno seminare semi acquistati da grossisti locali, poiché il silos in cui si raccolgono e si conservano i semi provenienti da diversi agricoltori della zona (OGM e "non OGM"), contiene sicuramente una parte che è OGM ed è, quindi, oggetto di brevetto.

Per un agricoltore la causa è iniziata nel 2007 presso la corte distrettuale dell’Indiana, la quale ha dato ragione alla ditta proprietaria del brevetto e ha stabilito un risarcimento di 84 000 dollari (60 000 euro) da parte del contadino a favore della ditta detentrice del brevetto. Da rilevare che la Corte d’Appello Federale, specializzata in cause riguardanti i brevetti, ha confermato questo pronunciamento. Ora la Corte Suprema (sorta di Cassazione italiana) avrà l’ultima parola.

L’America guarda a questa sentenza, che potrebbe creare un precedente in grado di mettere in discussione tutti i sistemi basati sul copyright, ma intanto l’auspicio è che almeno in questo campo la Corte Suprema possa restituire ai produttori la possibilità di conservare e di scambiare liberamente le sementi, cancellando quella limitazione che il sistema dei brevetti pone alla velocità di innovazione e sviluppo di nuove varietà.