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venerdì 12 ottobre 2012

DAGLI OGM VEGETALI AGLI ANIMALI CLONATI: Scienza, Società, Etica

               Angelo Serra S.I.


            Padre Angelo SERRA è Professore di Genetica Umana presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia “Agostino Gemelli” dell'Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma), in questo articolo intende offrire alcune essenziali informazioni su vari aspetti di questo nuovo campo di ricerche e applicazioni e le nuove responsabilità della scienza, della tecnologia e dell’intera società in questo periodo che è stato definito della «seconda creazione».
In questo scritto di Padre Angelo Serra c'è una affermazione ("l'in­dustria per tutelarsi, oltre il pagamento dei diritti sui semi di varie­tà vegetali brevettate, si assicura che le sementi divengano sterili") che non deve essere interpretata come un errore, in quanto la tecnologia "Terminator" non è ancora stata applicata dall'industria sementiera, ma deve essere intesa come potenziale possibilità applicativa futura.

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Gli ultimi 25 anni del Novecento hanno visto un rapido e cre­scente sviluppo di nuove tecnologie in campo sia vegetale sia anima­le. Fini essenziali sono sempre stati il miglioramento della qualità dei prodotti e la preparazione di «bio reattori» capaci di produrre mole­cole di alto valore nutritivo e terapeutico. Furono denominate «bio­tecnologie» e adottarono come nuovo strumento di lavoro l'«inge­gneria genetica», la quale implica la manipolazione diretta del DNA1. Questo nuovo, ma significativo, ibrido verbale e concettuale fu in­trodotto nel 1965 da un noto genetista, R D. Hotchkiss. Apparve nel titolo di un suo scritto premonitore dal titolo «Presagi per una inge­gneria genetica», dove «presagi» significa «previsione di eventi di grande importanza o di serie calamità». L'Autore aveva previsto, cer­tamente, gli uni e le altre. Ma in questo scritto richiamava l'attenzio­ne soprattutto, e con un'evidente preoccupazione, su rischiose con­seguenze che avrebbero potuto seguire a interventi sull'informazio­ne genetica - o genoma - presente in ogni essere vivente, e con­cludeva: «Coloro che hanno la responsabilità d'insegnare e scrivere di scienza compiranno il loro storico dovere aiutando il nostro pub­blico a riconoscere e valutare queste possibili conseguenze, per evi­tarne gli abusi. Poiché certamente questi si stanno facendo”.
Stava nascendo in realtà, proprio in quegli anni, una nuova tec­nologia, in cui convergevano varie discipline: genetisti, biologi mo­lecolari, biologi cellulari, embriologi, biochimici, medici, veterina­ri, botanici, esperti in scienze dell'agricoltura, fisici, ingegneri e in­formatici. Tecnologia a cui fu attribuita proprio la denominazione di «ingegneria genetica». W. S. Reznikoff, nella sua introduzione al primo Simposio su Progress in Recombinant DNA Technology, tenuto nel 1990, la definiva «la tecnologia con cui l'uomo sceglie e produce mutanti al fine di utilizzare gli organismi risultanti a suo beneficio”3. Anche se - forse - troppo riduttiva, questa defini­zione ne mostra chiaramente il fine: il bene dell'uomo.
Siamo, oggi, in un periodo di sviluppo esponenziale di queste biotecnologie e, quindi, di continuo cambiamento. Se ne tocche­ranno perciò gli aspetti più rilevanti ed essenziali in una prospet­tiva aperta, ma su direttrici indicate da una mente umana che cer­ca la verità. Questo offrirà, da una parte, la possibilità di ammi­rare almeno alcuni traguardi con esse raggiunti o in prospettiva e, dall' altra, la possibilità di comprendere ed esaminare i non pochi interrogativi, sollevati dalle stesse, a livello sia sociale sia etico, al fine di valutare le nuove responsabilità della scienza, della tecnologia e dell'intera società. E’ innanzitutto da affermare con tutta chiarezza che gli sviluppi e le conquiste dell'ingegneria genetica sono stati, sono e saranno straordinari e meravigliosi: espressione, da una parte, della capacità della mente umana di scoprire i mi­steri della natura e svelarne i segreti e, dall'altra, dell'industriosa abilità di plasmarla fino a sentirsene un secondo creatore. Una re­centissima espressione di questa convinzione è il titolo: La secon­da creazione. L’era del controllo biologico4 dato al volume in cui gli stessi scienziati che avevano clonato la pecora Dolly hanno trac­ciato la storia di quell’avventura. Di questa «seconda creazione»fanno parte le nuove biotecnologie in campo vegetale e animale.


Le nuove biotecnologie in campo vegetale

I successi. Nel 1998, in uno stimolante editoriale della rivista scienti­fica statunitense Science, P. H. Abelson tracciava una visione compren­siva e prospettica delle biotecnologie in campo vegetale con espressio­ni incisive e, nello stesso tempo, cariche di entusiasmo: «Il mondo ot­terrà la maggior parte del cibo, dei carburanti, delle fibre, dei prodotti nutritivi chimici e dei prodotti farmaceutici da vegetali e piante geneti­camente modificate. [...] Le maggiori industrie stanno spendendo annualmente miliardi di dollari nell'ingegneria genetica. [...] Semi geneti­camente modificati si stanno producendo su scala sempre più ampia. [...] L'enfasi e lo sviluppo della ricerca genomica industriale sta ora pas­sando ad altre aree, tra cui il miglioramento dei valori nutritivi delle proteine vegetali e la natura e il contenuto dei carboidrati»5.
Molti traguardi erano stati raggiunti attraverso i processi della transgenizzazione, ossia mediante l'inserimento di geni desiderati in embrio­ni di vegetali6. Processi facilitati da una vasta gamma di forme di em­briogenesi vegetale, capaci di dare inizio allo sviluppo di una pianta sen­za passare attraverso il processo della fecondazione, e da due nuove tec­niche di trasferimento dell'informazione genetica: l'ibridazione somatica e l'ingegneria genetica7. Tecniche che diventeranno sempre più fini e complesse quando si potranno isolare geni singoli di cui si conosce la funzione, o assemblare complessi di geni, provenienti da altre specie ap­partenenti anche a regni diversi, atti a regolare specifiche attività. Si sta già lavorando alla preparazione di piante produttrici di semi con carat­teristici contenuti di carboidrati, proteine, lipidi e micronutrienti di più elevato valore nutritivo o industriale8. Anzi, da poco tempo, con il pro­gresso della mappatura genica e della sequenziazione del genoma anche nei vegetali e con gli sviluppi della genomica funzionale, si stanno apren­do nuove vie, più promettenti e, apparentemente almeno, più sicure, che permetteranno l'utilizzazione dei geni di una data pianta per modificare la regolazione di altri geni e funzioni complesse della stessa9.
Molti sono ormai i prodotti transgenici commercializzati o in via di commercializzazione, anche verso il mondo sottosviluppatol0, in parti­colare: frumento, mais, patata, pomodoro, riso, soia. Una buona parte sono piante modificate per renderle più resistenti ai parassiti e agli in­setti, più tolleranti agli erbicidi e a variazioni di temperatura e, quindi, con rese di prodotto più elevate e di miglior qualità. Inoltre si hanno già i primi risultati di piante di migliorato valore nutritivo11; e si sta lavo­rando molto intensamente alla produzione di proteine umane di im­portanza terapeutica, quali emoglobina, enzimi digestivi, proteine seri­che anticoagulanti, antigeni per vaccini orali 12.

Le perplessità. Allo stato attuale, i risultati raggiunti e le poten­zialità e le attese di queste nuove tecnologie in campo vegetale so­no notevoli. Ma non sono piccole le perplessità sulle conseguen­ze del loro impiego e sui prodotti ottenuti. Esse derivano da ra­gionevoli timori di rischi, collegati all'uso dei vegetali transgenici e alla loro stessa produzione, o peggio ancora da possibili - e tal­volta anche evidenti - abusi.
Una prima perplessità riguarda la sicurezza dei nuovi alimenti, soprattutto da un punto di vista nutrizionale e salutistico. Negli Stati"Uniti, dove questi prodotti sono entrati nel mercato dal 1993 e al 1998 erano già saliti a oltre trenta, le regolamentazioni esistenti che ne controllano la sicurezza sono molto severe: le piante inge­gnerizzate e i cibi contenenti prodotti da queste derivati non pos­sono essere commercializzati se non sono stati sottoposti al controllo di speciali agenzie: la USDA (United State Department Of Agricolture), la FDA (Food and Drug Administration) e la EPA (En­vironmental Protective Agenry). In un editoriale di Science del lu­glio 1999 R N. Beachy13, presidente del Donald Danlorth Plant Science Center in St. Louis, rilevava che la fiducia ottenuta dal pubblico negli Stati Uniti era stata la conseguenza di un lavoro di collaborazione in discussioni aperte tra scienziati, comitati norma­tivi, coltivatori e ambientalisti, con il risultato che nel 1999 gli et­tari di terreno per coltura di vegetali ingegnerizzati erano già sali­ti al 40% per il grano, al 45% per i semi di soia e al 50% per il co­tone. Sottolineata, poi, la pressione fortemente contraria sviluppa­tasi soprattutto in Europa - la quale, d'altra parte, aveva colla­borato in vari piani di ricerca e produzione di organismi genetica­mente modificati (OGM) -, esortava gli scienziati europei a usa­re i mezzi massmediali per guadagnare la fiducia del pubblico.
Tuttavia le resistenze all'introduzione del loro uso – soprattutto in Europa - sono ancora notevoli. Le ragioni di ciò sono state ampiamente analizzate con rigorose metodologie, sia scientifiche14, sia psicosociologiche15. Quest'ultima, in particolare, svolta da un gruppo di studiosi dell'Istituto di Metodologia e dal Dipartimento di Psicologia Sociale della London School of Economics intendeva rispondere alla domanda: <<Perché la gente negli Stati Uniti appa­rentemente non è turbata da una tecnologia che pone molte diffi­coltà agli europei?». E concludevano che «diversi fattori sono im­plicati e intercorrelati [...i quali] riflettono più profonde sensibili­tà culturali non soltanto rispetto ai cibi e alle nuove tecnologie de­gli alimenti, ma anche rispetto all'agricoltura e all'ambiente»16.
In realtà, dalla letteratura emergono tre settori principali nei quali possibili rischi non sono ancora sotto pieno controllo17, nonostante le affermazioni delle multinazionali interessate:
1) aumento di allergogeni, i quali, secondo un avvertimento del Comi­tato scientifico del New England Journal of Medicine, potrebbero «essere trasferiti da una pianta all'altra grazie alla manipolazione transgenica»18, come di fatto è accaduto nel caso di una proteina della nocciola brasiliana trasferita nella soia;
2) resistenza agli an­tibiotici19 che potrebbe essere causata dall'integrazione, a fine se­lettivo, di geni di resistenza agli antibiotici nei prodotti transgeni­ci, eventualmente seguita dal loro passaggio alla flora batterica del tubo digerente o della fitosfera con il conseguente aumento di resistenza a terapie antibiotiche; e
3) rischi ecologici, che appaio­no i più preoccupanti20: così, ad esempio, se, da una parte, l'inse­rimento del gene che codifica per una proteina del Bacillus thuringensis induce la produzione di una tossina che agisce quale agente pesticida contro insetti che danneggiano i raccolti, dall'al­tra, essa risulta nociva anche a popolazioni di insetti benefici, dei quali vengono distrutte le larve, e di uccelli predatori di insetti dannosi, alterando così un importante equilibrio ecologico.
Sulla base di queste osservazioni era, perciò, stato chiesto nel 1998 al Governo inglese di introdurre una moratoria della licenza di commercializzazione di prodotti transgenici fino a quando non fosse stato chiarito meglio l'impatto ambientale della produzione di organismi geneticamente modificati. B. Johnson, consigliere del gruppo conservatore English Nature per gli OGM, sulla base di motivate considerazioni ne dava la ragione: <<Il nostro parere è che noi abbiamo bisogno di più tempo per fare ulteriore ricerca sul più vasto impatto dei raccolti geneticamente modificati”2l. Esi­genza confermata da un accuratissimo lavoro pubblicato nel di­cembre 2000 sui rischi ecologici e sui benefici di piante genetica­mente ingegnerizzate, nel quale L. L. Wolfenbarger e P. R. Phifer affermano: «Una revisione della letteratura esistente rivela che mancano esperimenti chiave sia sui rischi sia sui benefici ambien­tali. La complessità dei sistemi ecologici presenta considerevoli difficoltà per tali esperimenti e inevitabili incertezze. Complessivamente gli studi esistenti indicano che questi possono variare nel­lo spazio, nel tempo e con il carattere genetico modificato»22. Una forte istanza etica si è imposta di fronte a questa non superficiale perplessità relativa alla sicurezza dei prodotti e cibi transgenici. Pur dovendo deplorare comportamenti talvolta irragionevoli dei gruppi di resistenza23, è apparsa doverosa 1'esigenza di una valuta­zione rigorosa e di una corretta gestione del rischio24.
Per la «valutazione del rischio», in Europa varie norme sono sta­te emanate, e più volte modificate, per le dovute rilevazioni in vista della notificazione dei prodotti25, e varie tecniche sono state messe a punto per definire la presenza di transgeni nei raccolti e nei cibi26. Alla fine di dicembre 1999, l'Unione Europea adottava ufficial­mente gli emendamenti alla prima Direttiva 90/220/EEC, elabora­ti dal Consiglio dei ministri dell' Ambiente. In particolare, la defi­nizione del rischio non comprenderà soltanto gli effetti diretti e im­mediati, ma anche gli effetti a lungo termine che possono essere stabiliti scientificamente. Estensione richiesta dal «principio di pre­cauzione», che implica maggiore rigore e maggiori restrizioni per controbilanciare le incertezze scientifiche nella determinazione dei rischi e la complessità del sistema, e tende perciò alla minimizzazione del rischio, espressione del rispetto per la persona umana. Principio a cui sembra ispirarsi anche l'lnternational Safety Proto­col detto Cartagena Protocol, approvato nel gennaio 200027.
Alla valutazione del rischio si deve accompagnare la «corretta gestione del rischio», che nell'attuale situazione di dubbio e di re­sistenza, oltre a una corretta e aggiornata informazione, esige l'obbligatorietà della etichettatura. Questa, sottolineano E. Sgreccia e V. Mele, «non soltanto ci sembra in se stessa eticamente cor­retta nei confronti del consumatore, che avrebbe il diritto di co­noscere adeguatamente la composizione di tutti gli alimenti gene­ticamente manipolati e non, ma risulta anche importante in de­terminate circostanze per la tutela della salute”28.
Non mancarono resistenze a questo imperativo morale29 di un'e­tica responsabile, opposte soprattutto dagli Stati Uniti30. Tuttavia ci sono segnali di apertura. A. C. Halsberger, ricordando che recen­temente 49 membri del Congresso statunitense inviarono una let­tera alla FDA chiedendo l'etichettatura obbligatoria dei cibi geneti­camente ingegnerizzati - richiesta fatta anche dal 70% di quanti avevano risposto a un sondaggio - conclude: «Questa significati­va opposizione pubblica all'uso di OGM in molte regioni del mon­do indica chiaramente che soltanto tenendo presenti le preoccupa­zioni ambientali e le richieste dei consumatori e con una maggiore attenzione soprattutto al monitoraggio dei rischi e ad un'appro­priata etichettatura, sarà possibile per l'industria introdurre gli OGM nel mercato mondiale senza significativa resistenza”3l.
Una seconda perplessità riguarda la riduzione della biodiversità. Sono impressionanti alcune cifre, tutte documentate, riportate dall' economista statunitense J. Rifkin: «L'erosione genetica è già a uno stadio avanzato nella maggior parte dei Paesi. Il raccolto di soia degli Stati Uniti, pari al 75% della soia mondiale, è una monocoltura che può essere ricondotta a sole 6 piante importate dal­la Cina, [...] e 10 varietà di frumento rappresentano la maggio­ranza delle messi, mentre solamente 6 varietà di granoturco costi­tuiscono più del 71 % dei raccolti annuali. In India i contadini, an­cora 50 anni or sono, facevano crescere più di 30.000 varietà tra­dizionali di riso; oggi 10 varietà moderne producono più del 75% del riso coltivato in quel Paese»32.
È difficile prevedere dove potrà condurre questa riduzione molto spinta della biodiversità. Si tratta di un dato che sembra an­dare in senso opposto ai processi evolutivi osservati nella natura libera; interessa, tuttavia, un numero relativamente molto piccolo di specie. Una recente nota sul declino della biodiversità nelle re­gioni agricole della Gran Bretagna in seguito all'introduzione commerciale di raccolti geneticamente modificati per la tolleran­za agli erbicidi (GMHT), commentando un modello di studio di tale problema elaborato da A. R. Watkinson e dai suoi collabora­tori, conclude ponendosi la domanda: «I prodotti GMHT sono buoni o cattivi per la vita che si sviluppa in ambiente naturale (wildlife)?». Risponde: «È semplicemente troppo presto per dir­lo. Il modello di Watkinson e dei suoi collaboratori solleva do­mande scientifiche importanti a cui possono rispondere soltanto delle sperimentazioni. [...] L'analisi di Watkinson dimostra quan­to vitali saranno queste valutazioni, per rivelare gli effetti com­plessivi della coltivazione di prodotti GMHT sulla vita naturale inglese>33. L'istanza etica minima, sotto questo aspetto, è che sia­no tenute in attenta e attiva osservazione e considerazione le eventuali conseguenze che si potrebbero manifestare nell' ampia fascia di vita naturale - sia vegetale sia animale - in seguito all’introduzione di più o meno ampie zone di colture transgeniche, al fine di prevenire eventuali effetti che potrebbero dimostrarsi seriamente pericolosi o dannosi all' ambiente in generale, con le eventuali ripercussioni particolarmente sull'uomo. E la grande re­sponsabilità della scienza e della tecnologia, che non può essere trascurata in vista soprattutto delle future generazioni.
Una terza perplessità riguarda le ripercussioni sociali, soprattutto a due livelli: economico e di giustizia distributiva. Sono i due aspetti, forse i più seri e drammatici, a cui non è possibile qui che ac­cennare ricordando soltanto due dati. Il primo: “[L]'81 % dei 29 miliardi di dollari del mercato mondiale agrochimico e il 37% dei 15 miliardi di dollari annuali del mercato globale delle sementi è controllato da dieci industrie agrochimiche [...]. La Novartis, nata dalla fusione tra la Sandoz e l'agrochimica Ciba-Geigy, è l'industria agro chimica più grande del mondo, la seconda di sementi, la terza farmaceutica e la quarta di medicina veterinaria”34. Il secondo: l'in­dustria per tutelarsi, oltre il pagamento dei diritti sui semi di varie­tà vegetali brevettate, si assicura che le sementi divengano sterili. Sono, evidentemente, strumenti per estendere il monopolio plane­tario, paurose concentrazioni di beni che mettono a rischio la so­pravvivenza delle popolazioni più povere, e completano il quadro dei nuovi e seri problemi di etica sociale che si stanno aprendo con lo sviluppo delle biotecnologie anche soltanto nel campo vegetale. L’istanza etica che, di fatto, si presenta come la più urgente e la più grave, ma anche la più difficile, è la ricerca di vie strategiche per un equo livellamento economico che favorisca il più povero, e una produzione e distribuzione meno accentrata dei nuovi prodotti, ca­paci di favorire la nutrizione e la salute nelle zone più depresse.
In conclusione, per quanto riguarda il campo delle biotecnologie vegetali, ottimo è il fine, straordinari sono i mezzi offerti dall'inge­gneria genetica per raggiungerlo, promettenti sono i risultati; ma me­ritano particolare attenzione le conseguenze, già presenti e prevedibi­li, al fine di trovare, attraverso una serena e accurata riflessione etica - capace di farsi sentire a livello non solo di cultura ma anche di po­litica -, le vie affinché tutto il progresso di questa «seconda creazio­ne» nel campo vegetale risulti, almeno tendenzialmente, soltanto in funzione del vero bene di ogni singolo uomo e dell'intera umanità.


Le nuove biotecnologie in campo animale

I successi. Come emerge dalle attuali direttive di ricerca35, le nuove biotecnologie in campo animale mirano soprattutto alle seguenti finali­tà: miglioramento della qualità e quantità dei prodotti animali alimenta­ri, carne e latte soprattutto; aumento di resistenza alle malattie; produ­zione di proteine di elevato interesse farmacologico in campo umano; preparazione di modelli sperimentali per lo studio di malattie genetiche umane e loro terapia; modulazione immunologica di organi animali per trapianto; ricerca sull'attività specifica di singoli geni e di complessi ge­nici, per lo sviluppo di una genomica funzionale che permetta di creare le preferibili condizioni genetiche per i miglioramenti produttivi deside­rati, senza mettere a rischio l'animale; e produzione di animali pregiati per particolari caratteristiche. Le tecnologie utilizzate sono principal­mente due: 1) la transduzione genica mediante microiniezione in oociti fertilizzati del DNA portatore dell'informazione genetica desiderata, o mediante adatti vettori in tessuti o organi36; e 2) la clonazione37.
È ancora troppo presto per valutare la portata e i vantaggi di queste nuove vie, aperte da una scienza in ascesa esponenziale e da una tecnolo­gia frenetica. In realtà la transduzione genica ha incontrato notevoli dif­ficoltà. Giustamente G. Bertoni, insieme ai suoi collaboratori, dopo aver esaminato i problemi, le difficoltà e i pericoli inerenti alle tecnologie del­la transduzione genica, osserva: «I reali vantaggi derivanti dall'applica­zione della tecnica transgenica al settore zootecnico possono essere - al­lo stato attuale delle cose e con poche eccezioni - di là da venire”38.  Anche se si stanno superando, almeno in parte, i problemi legati alla semplice inserzione casuale di geni nei cromosomi, mediante le nuove tecni­che di targeting, che permettono di inserire il gene al posto giusto, ri­mangono ancora da individuare le vie per regolare l'espressione dei geni inseriti, di modo che le cellule e l'organismo intero possano continuare a mantenere intatta la loro funzione. In realtà, il modo per avere un mi­glioramento produttivo e per di più senza rischi, per il benessere dell' a­nimale, rimane ancora da trovare. Lo dimostra il fatto che, ancora all'ini­zio del 1999, le procedure di inserimento del o dei geni per gli animali di grande taglia avevano una scarsa efficienza39: soltanto dall'l % al 10% degli animali, che si sviluppavano da uova fecondate e transdotte con il ge­ne desiderato, lo portavano; anzi pochi di questi lo trasmettevano ai discendenti, essendo per lo più mosaici, cioè costituiti da due linee cellula­ri, una contenente il o i geni transdotti e l'altra - tra cui le cellule ger­minali - senza. Situazione che continua a persistere, nonostante notevo­li miglioramenti tecnici del processo di transduzione genica40, e che con­duce a elevati costi - intorno a 500.000 dollari USA ancora nel 1998 - la produzione di un animale transgenico. Le serie difficoltà ancora da su­perare, che sono parte di ogni sviluppo tecnologico di prospettive offer­te dai progressi della scienza, secondo H. Nieman41, richiederanno anco­ra i prossimi dieci anni impegnati ad aumentare le conoscenze di base. Tuttavia i risultati già raggiunti appaiono promettenti. Numerose e note­voli realizzazioni stanno già aumentando nell'area della ricerca nutriceutica, farmacologica e medica. Non è qui possibile che qualche accenno.
Nell'area nutriceutica42 - nuovo campo di ricerca che si interessa a sostanze che svolgono contemporaneamente funzioni di cibo e di far­maco - si sta lavorando per modificare alcuni costituenti del latte, qua­li ad esempio: aumento di α- e β-caseina; riduzione del lattosio per di­minuire o eliminare l'intolleranza al latte; addizione di lattoferrina uma­na per incremento dell'assorbimento del ferro e la protezione contro le infezioni intestinali; sostituzione di geni di proteine del latte bovino con gli equivalenti umani per imitazione del latte materno.
Nell'area farmacologica43, in diverse classi di animali geneticamente modificati, si è già pervenuti alla produzione di malattie-modello44 atte a delucidare processi biologici di rilievo per la ricerca farmacologica, e di farmaci per uso umano quali: fattori di coagulazione, proteina C, an­titrombina, fibrinogeno, albumina umana, insulina45.
Nell'area medica, studi su animali geneticamente modificati46, con ben definiti difetti cardiaci atrio-ventricolari, stanno già dando luce sul­le vie di transduzione dei segnali di elementi strutturali responsabili del­lo sviluppo normale del cuore; e si stanno già preparando animali ge­neticamente modificati per la comprensione definitiva della patogenesi dell' ateroslerosi47 e dell'ipertensione48.
La clonazione sembra avere migliori prospettive. A. Luria scrive: «La crescente attenzione rivolta da molti laboratori alla clonazione animale, testimoniata dalla recente vastissima letteratura e dal moltiplicarsi di cla­morosi esperimenti, fa ritenere che molte barriere biologiche, fino a po­co tempo fa ritenute invalicabili, potranno essere presto abbattute». Ma non sottace una preoccupazione: <<La consapevolezza della straordinaria totipotenza, rivelata dall'impiego a volte anche spregiudicato e discuti­bilmente motivato, delle tecnologie della riproduzione, rende impossibi­le ogni previsione»49. In realtà, non possono essere sottaciuti le gravi difficoltà e i seri problemi che ancora accompagnano questa tecnologia. E. Pennisi e G. Vogel, in un'ampia retrospettiva fino al 9 giugno 2000, ri­assumono così la situazione riportando il pensiero di I. Wilmut, il padre tecnico della pecora Dolly: «Numerosi ostacoli devono ancora essere su­perati prima che la clonazione passi nella pratica e, tantomeno, sia pro­fittevole. Primo, e soprattutto, c'è il problema della efficienza, che rima­ne al meno che impressionante 2%; su 100 tentativi di clonare un ani­male, si ottengono soltanto 2 o 3 nati vivi. Anche quando un embrione si impianta in utero con successo, le gravidanze spesso terminano in aborto; una parte rilevante degli animali che nascono muoiono poco do­po il parto; e alcuni di quelli che sopravvivono presentano serie anoma­lie di sviluppo. Tutto ciò suggerisce che qualche cosa nella formula sia fondamentalmente sbagliata”50. Una delle anomalie più frequentemente osservate, negli animali che sopravvivono, è un esagerato aumento di di­mensione e peso (the large calf syndrome), che non può che provocare nell'animale malessere e sofferenza. Un esempio delle enormi difficoltà che si incontrano può essere rappresentato dall'impressionante cumulo di lavoro occorso per riuscire, dopo tre frustranti anni, a clonare i maia­li, che rappresentano la chiave per gli xenotrapianti51.
Le perplessità. I frutti dell' applicazione dell'ingegneria genetica appaiono promettenti, belli e buoni anche nel campo animale. Qui pure non mancano, tuttavia, perplessità relative ad alcune conse­guenze inerenti alle diverse tecnologie; perplessità le quali impon­gono una riflessione etica52. La prima perplessità53 è relativa ai ri­schi degli alimenti derivanti da organismi geneticamente modifica­ti, come si è già rilevato per i vegetali. Sotto l'aspetto etico perciò valgono le considerazioni già esposte per il campo vegetale. È so­prattutto indispensabile che, prima di introdurre e moltiplicare gli animali transgenici nelle popolazioni riproduttrici, siano accurata­mente esaminati, per qualsiasi area di applicazione, non solo gli ef­fetti favorevoli attesi, ma anche, e soprattutto, quelli eventualmen­te sfavorevoli. La seconda perplessità, assai più grave, è l'evidenza di un abuso – almeno apparente - di un imprecisabile, ma cer­tamente molto grande numero di animali. In realtà le ricerche im­plicano anni di tentativi con un numero notevole di animali: sono milioni gli animali transgenici, chimerici e clonati - dai suini ai primati - oggetto di sperimentazione e, ormai, anche di utilizza­zione per gli sviluppi commerciali. Si sottolinea soltanto un dato; da una recente stima54, il numero degli animali transgenici neces­sari per soddisfare la richiesta annuale di soli cinque prodotti far­maceutici tipicamente umani (fattori della coagulazione, proteina C, antitrombina, fibrinogeno, albumina umana) negli Stati Uniti risulta di circa: 35.000 capi di specie bovina; 525.000 capi di specie caprina; 800.000 capi di specie suina; 1.050.000 capi di specie ovina; e 56 milioni di capi di specie cunicola (conigli).
La riflessione etica, anche su questo aspetto caratteristico dell’applicazione dell'ingegneria genetica in campo animale – oltre agli aspetti già considerati per i vegetali, soprattutto quelli relati­vi agli aspetti economici e sociali -, ha ragion d'essere e non la­scia indifferenti. In base a quanto sarà brevemente ricordato sul significato corretto della «seconda creazione» affidata da Dio all’uomo, è vero che si tratta di ricerche indirizzate a beneficio dell’uomo, al quale è stato affidato anche il mondo animale da «sog­giogare» in vista proprio di quel bene. Non può essere tuttavia trascurato il dovere di evitare anche agli animali, per quanto è possibile, la sofferenza55.


Conclusione
«Seconda creazione»: nell'ottica degli artefici della pecora Dolly l'espressione intende certo sottolineare il senso di onnipo­tenza di cui Dolly è la metafora prometeica; ma, in un' ottica ve­ramente umana, che è la nostra ottica, essa è il compito che l'Au­tore della prima creazione ha dato all'uomo quando gliela ha af­fidata. Sono evidenti le parole ispirate della Bibbia che lo affer­mano: «Dio creò l'uomo a sua immagine; maschio e femmina li creò [.. .], li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicate­vi, riempite la terra; soggiogatela"» (Gn 1,27-28). Ma è la stessa mente umana che, pur nel mistero in cui si perde, vede - se ben riflette -l'esigenza di un' origine di tutto il creato da un Esisten­te, la cui infinita sapienza è incisa in ogni atomo dell'universo e il cui volere scopre nel profondo della coscienza. Colpisce e fa ri­flettere l'espressione biblica, riferita al Creatore, ripetuta ad ogni grande passo della prima creazione: «E vide che era cosa buona». E contenuta in questa espressione un'indicazione e un messaggio all'uomo, al quale è stata affidata la seconda creazione: ogni nuo­vo passo di questa seconda creazione dovrebbe lasciare allo scien­ziato, al tecnologo e alla società la certezza che ciò che è fatto è cosa buona. Questo messaggio è, in realtà, il principio fondamen­tale del nostro operare, che ogni persona porta dentro di sé nella profondità del proprio essere, forse talvolta represso o maschera­to, e dovrebbe essere guida per ogni azione umana.

BIBLIOGRAFIA

l Cfr A. SERRA, <<La rivoluzione genomica. Conquiste, attese, rischi», in Civ. Catt. 2001 II 439-453.

2 R. D. HOTCHKISS, <<Portents for a generic engineering», in Journal of Heredity, 1965, 196.

3 W. S. REZNIKOFF, <<Prospectives and challenges in genetic engineering», in Annals of New York Academy o/ Sciences 646 (1991) 1.

4 I. WILMUT - K. CAMPBELL - C. TUDGE, The second creation. The age o/ biological control, London, Headline, 2000.



5 P. H. ABELSON, «A third technological revolution»,in Science 279 (1998) 2.019.

6 Cfr G. ANCORA - E. BENVENUTO, <<Ingegnerizzazione dei vegetali: finalità, tecni­che, rischi, benefici», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA (ed.), Biotecnologie animali e vegetali, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 1999,7- 24.

7 L'ibridazione somatica avviene per due vie: 1) la fusione di due cellule private del­la loro parete cellulare - dette protoplasti - appartenenti per lo più a specie non mol­to distanti: con questa tecnica viene trasferita in una specie una parte (in genere limita­ta) del genoma di un' altra specie, comprensiva di pochi geni di interesse, ottenendo co­sì “Ibridi somatici”; 2) la fusione di citoplasmi, cioè di una cellula nucleata con il cito­plasma - escluso perciò il nucleo - di un'altra cellula: con questa tecnica si trasferi­scono i geni contenuti in altri corpiccioli cellulari, cloroplasti e mitocondri, escludendo cioè i geni nucleari. L'ingegneria genetica comporta essenzialmente l'introduzione di geni desiderati in una cellula, dalla quale sarà generata una nuova pianta, mediante vet­tori opportunamente preparati - quale, tra i più usati, il vettore plasmidico tumore-in­ducente (Ti) presente nell'Agrobacterium tumefaciens - che trasportano il gene o i ge­ni desiderati, o mediante bombardamento con microproiettili di oro o tungsteno, vei­colanti il DNA che si integrerà nel DNA delle cellule.

8 Cfr V. B. MAzuR - E. KREBBERS - T. SCOTT, «Gene discovery and product deve­lopment for grain quality traits», in Science 285 (1999) 372-375; D. DELLA PENNA, «Nutritional genomics: Manipulating plant micronutrients to improve human healtll», ivi, 375-379; T. ARAKAVA - W. H. R LANGRIDGE, <<PIants are not just passive creatures: transgenic plants producing foreign proteins can e1icit bom active and passive inlmu­nity in humans», in Nature Medicine 4 (1998) 550 s.

9 Cfr C. C. MANN, «Crop scientist seek a new revolutioD», in Science 283 (1999) 310-316; C. SOMERVll.LE - S. SOMERVILLE, <<PIanct functional genomics», ivi, 285 (1999) 380-383;" A. S. MOFFAT, «Can genetically modified crops go "greener"?», ivi, 290 (2000) 253-254;J. HODGSON, «Crystal gazing the new biotecluiologies», in Nature Biotechnology 18 (2000) 29-31.

lO Cfr A. S. MOFFAT, «Crop engineering goes South», in Science 285 (1999) 370 s; D. NORMILE, «Monsanto donates its share of golden rice», ivi, 289 (2000) 843 s.

11 Cfr D. SHINTANI - D. DELLA PENNA, «Elevating the Vitamin E content of pIants through metabolic engineering», ivi, 282 (1998) 2.098-2.100; C. C. MANN, «Genetic en­gineers aim to soup up crop photosynthesis», ivi, 283 (1999) 314-316; T. GURA, «New genes boost rice nutrients», ivi, 285 (1999) 994 s; X. YE - S. AL BABILI - A. KL6TI ET AL., «Engineering the provitamin A (~-carotene) bios}'Ilthetic pathway into carotenoid­free rice endosperm», ivi, 287 (2000) 303-305; M. L. GUERINOT, «Tbe green revolution strikes goId», ivi, 287 (2000) 241-243.

12 CfrT. GURA, <<Newways to cleanmedicines from plants», ivi,285 (1999) 1.347-1.349.

13 Cfr R N. BEACHY, «Facing fear of biotechnoIogy», ivi, 285 (1999) 335.

14 Cfr N. WILLIAMS, <<Agricultural biotech faces back1ash in Europe», ivi, 281 (1998) 768-771; K. DEVIN, «GM food debate gets spicy», in The Scientist 14 (2000) 10­14; S. HORNIG PRlEsT, «D. S. public oFinion divided over biotechnology?», in Nature Biotechnology 18 (2000) 939-942; D. FERBER, «New com plant drows £ire from GM food opponents». in Science 287 (2000) 1.390.                                              '

15 Cfr G. GASKELL - M. W. BAUER - J. DURANT ET AL., «Worlds apart? The recep­tion of genetically modified foods in Europe and the V.S.», ivi, 285 (1999) 384-389.

16 lvi, 386 s.

17 Cfr N. WILLIAMS, <<Agricultural biotech faces backlash in Europe», cit.; D. PERBER, «GM crops in the cross hairs», in Science 286 (1999) 1.662-1.666; M. ENSERINK, «Ag biotech moves to molIify its critics», ivi, 1.666-1.668; D. E. EVANS - C. R HAWES, «Where next, GMOs? Plant Science research and public hostiIity», in BSCB News Leter, Wmter 2000, 7 s.

18 Cfr M. NESTLE, <<Allergies to transgenie food: question of policy», in New Engl. J. Med., 1996, 726; B. WOTHIuCH, <<Food additives and genetieally modifìed food - a risk for allergie patients?», in Schweitz. Rundsch. Med. Prax, 1999,609-614. 616-618; M. DROGE - A. POHLER - W. SELBITSCHKA, «Horizontal gene transfer as a biosafety is­sue: a natural phenomenon of publie eoneem», in]. Biotechnol. 64 (1998) 75-90.

19 Cfr P. COURVALIN, <<Plantes transgéniques et antibiotiques», in La Recherche,1998,309-315.

20 Cfr W. K. NOVAK - A. G. HALsBERGER, «Substantial equivalenee of antinutrients and inherent plant toxins in genetieally modifìed novel foods», in Food Chem. Toxicol. 38 (2000) 473-483.

21 Cfr N. WILLIAMS, <<Agricultural biotech..,», eit., 771.



22 L. L. WOLFENBARGER - P. R PHIFER, «The ecological risks and benefits of ge­netically engineered plants», in Science 290 (2000) 2.088.

23 Cfr L. F'RANK, «Italian scientists blast GMO restrictions», ivi, 290 (2.000) 2046; J. KAISER, «Words (and axes) fly over transgenic trees», ivi, 292 (2001) 34-36.

24 Cfr E. SGRECCLA - V. MELE, «Bioetica e biotecnologie animali e vegetali», in PON­TIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie..., cit., 83-100; A. BOMPlANI, «Riflessioni etiche sulla produzione e commercializzazione di organismi vegetali e animali genetica­mente modfficatÌ>" in Medicina e Morale, 2000, n. 3, 449-503.

25 Cfr A. G. HALSBERGER, «Monitoring and labeling for genetically modi.6ed pro­ducts», in Science 287 (2000) 431-432; V. LUNGAGNANI, «Valutazione e gestione dei ri­schi biologici collegabili alle produzioni ed ai prodotti agricoli e industriSli a scopo ali­mentare», in BioTec 5 (2000) n. 4, 38-49.

26 Cfr S. VOLLENHOFER - K. BURG - J, SCHMIDT ET AL., «Genetically modified or­ganisrns in food-screening and specific detection by polymerase chain reacriom" in J. Agric. Food Chem. 12 (1999) 5.038-5.043; M. P. LIPP - K. PIETSCHK ET AL., <<lUPAC col­laborative trial study of a method to detect genetically modified soy beans and maize in dried powder>" in I. AOAC Int. 82 (1999) 923-928; R N. GENT, «Genetically modi.6ed organisrns: an anafysis of the regtÙatory frarnework currendy employed within the Eu­ropean Union», in]. Public Health Med. 3 (1999) 278-282.

27 Cfr R J. MAHONEY, «Opportunity for Agricultural Biotechnology>', in Science 288 (2000) 615.



28 E. SGRECCIA - V. MELE, «Bioetica e Biotecnologie...», cit, 94.

29 ar D. N. DUVlCK, «How much caution in the fidds?», in Science 286 (1999) 418
s. L'Autore - commentando il volume di A VAN DOMMELEN, Hazard ldentification of Agricultural Biotechnology: Finding relevant questions, Utrecht, International Books, 1999 - dopo aver tradotto, per il caso dei prodotti o cibi transgenici, l'«imperativo morale» nel seguente principio: «L'incertezza scientifica circa la sicurezza di un organi­smo geneticamente modificato imporrebbe che non fo~se commercializzato», commen­ta: «La decisione finale sarà sempre politica ed etica. E da sperare che gli attesi costi e benefici siano definiti razionalmente con l'aiuto dell'analisi dei rischi e che sia tenuto conto delle opinioni del pubblico». Ma, sottolineando gli alti interessi politici e indu­striali, avverte che gli studi necessari alla determinazione dei rischi non dovrebbero es­sere fatti dai produttori, i quali invece dovrebbero finanziarle a gruppi indipendenti.

30 Cfr M. HAGMAN, <<EPA, critics soften stance on pesticidal plants», in Science 284 (1999) 249; H.!. Mn.l.ER, «A rational approach to labeIing bioteCh-derived foods», ivi, 284 (1999) 1.471 Sj ID., <<NAS report under scrutiny», ivi, 288 (2000) 1.343j K. A. GoLDMAN, «Bioengineered food - safety and labding», ivi, 290 (2000) 457459.

31 A. G. HALsBERGER, «Monitoring and Labding...», cit., 432. Cfr anche R J. MA. HONEY, «Opportunity for agricultural biotechnology», in Science 288 (2000) 615.


32 J. RIFKIN, The Biotech Century, New York, Penguin Putnam, 1998, tr. it.: Il secolo Biotecb, Milano, Baldini e Castoldi, 1998, 181.

33 L. G. FIRBANK - F. FORCELLA, «Genetically modified crops and farmland biodiversity», in Science 289 (2000) 1.481 s.

34 J. RIFKIN, The Biotech Century, cit., 122 s.

35 Cfr Y. HE1MAN -]. P. RENARD, «Cloning domestic species», in G. M. STONE - G. EVANS (eds), Animai Reproduction: Research and Practice, Amsterdam, Elsevier, 1996, 427 -436; E. R CAMERON, <<Recent advances in transgenic technology», in Mol. Bio­technol.3 (1997) 253-265; N. Wm, «Transgenic animals as new approaches in phar­macological studies», in Annu. Rev. Pharmacol. Toxicol. 37 (1997) 119-141; D. COOPER - K. C. KEMP - E. PLAn ET AL., Xenotransplantation, Berlin, Springer-Verlag, 1997. .

36 J. W. GORDON - F. H. RUDDLE, «DNA-mediated genetic transformation of mouse embryos and bone marrow - a review», in Gene 33 (1985) 121-136; G. BERI'ONI - P. A. MARsANI - F. LUCCHINI, <<la ingegnerizzazione degli animali: finalità, tecniche possibili, rischi e benefici», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie..., cit., 25-44.

37 Cfr A. SERRA, «Verso la clonazione dell'uomo? Una nuova frontiera della scien­za», in Civ. Catt. 1998 I 224-234; A. McLAREN, «Cloning: Pathways to a pluripotent fu­ture», in Science 288 (2000) 1.775-1.780.

38 G. BERTONI - P. A. MARSANI - F. LUCCHINI, «La ingegnerizzazione degli animali...», cit., 40.

39 Cfr A. S. MOFFAT, «Improving gene transfer into livestock», in Science 282(1998) 1.619 s.


40 Cfr A. W. S. CHAN - E. J. HOMAN - R D. BREMEL ET AL., «Transgenic cattle by reverse-transcribed gene transfer in oocytes», in Proc. Nati. Acad. Sci. USA 95 (1998) 14.028-14.033.

41 Cfr H. NIEMAN, «Transgenic farm animals get off the ground», in Transgenic Research 7 (1998) 73-75.

42 Cfr D. MATASSINO, «Biotecnologie: timori alimentari e speranze per farmaci e salute», in L’Informatore Agrario, novembre 2000, http://informatoreagrario.itlInfoagriILia2200/biotec.asp

43 Cfr P. W. KLEYN - E. S. VESELL, «Genetic variation as a guide to drug devdopment», in Science 281 (1998) 1.820 s; L WICKELGREN, «Mining tbe genome for drugs», ivi,285 (1999) 998-1.001.

44 Cfr S. ROBINE - F. JAlSSER - D. LOUVARD, «Epithelial cell growth and differen­tiation. IV. Controlled spatiotemporal expression of transgenes: new tools to study nor­mal and pathological states», in Am. J. Physiol. 273 (1997) 759-762; U. RUDOLPH - H. MCHLER, «Genetically modified animals in pharmacological research: future trends», in Eur. J. Pharmacol. 375 (1999) 327-337.

45 Cfr D. MATASSINO, «Biotecnologie: timori...», cito

46 Cfr J. Y A-M. W. SCHILHAM ET AL., «Animal modds of congenital defects in the ventriculoarterial connectioD», in]. Mol. Med. 75 (1997) 551-566.

47 Cfr P. PA]UKANTA - L. PELTONEN, «How to tackle genetic Loci predisposing to atherosclerosis?», in CUN'. Opin. Lipidol. 8 (1997) 95-100.

48 Cfr G. L. BARRETT - J. J. MULLINS, «Strategies toward a transgenic modd of es­sential hypertensiot1», in Biocbem. Pharmacol. 43 (1992) 925-930.

49 A. LURIA, «Note sulla clonazione animale», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie..., cit., 58.

50 Cfr E. PENNISI - G. VOGEL, «Clones: A hard act to follow», in Science 288 (2000). 1.722-1.727.

51 Cfr E. PENNISI - D. NORMILE, «Perseverance leads to cloned pig in Japan», ivi, 289 (2000) 1.118 s; A. ONISm - M. IWAMOTO ET AL., «Pig cloning by microinjection of fetal fibroblast nuclei», ivi, 1188-1190.

52 Cfr P. B. THOMPSON, «Genetically modified animals: ethical issues», in J. Anim. Sci. 71 (1993) Supp1.3,51-56; E. SGRECCIA - M. B. FIsso, «Etica dell'ambiente», in Me­diCIna e Morale, 1997 SuppI.; E. SGRECCIA, «Liceità dell'intervento sull'animale nel­l'ambito delle biotecnologie», in Problemi di Bioetica nell'Allevamento Animale. Sim­posio XIII Congresso Nazionale ASPA, Piacenza, 21-24 giugno 1999,5-21. .         .

53 Cfr M. J. BOLAND - J. P. Hn.L - L. K. CREAMER, «Genetic manipulation of milk protein and its consequences for the dairy industry», in Australas. Biotechnol. 2 (1992) 355-360; E. P. BRUGGEMANN, «Environmental safety issues for genetically modified animals», in J. Anim. Sci. 71 (1993) Supp. 3, 47-50; L. V. CUNDIFF - D. P. BISHOM - R K. TOHNSON, «Challenges and opportunities for integrating genetically modified ani­maIs into traditional animal breeding», ivi, 20-25.

54 Cfr D. MATASSINO, «Biotecnologie:...», cit., 6, che riporta l'elaborazione dei da­ti riferiti da R J. W ALL alla 8th World Con/erence on AnimaI Production, Seoul 28 Ju­ne-4 July 1998.

55 Cfr «Gli animali hanno "diritti"?», in Civ. CalI. 1999 1319-331; «Il rapporto uo­mo-natura nella visione cristiana», ivi, 531-543.'