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giovedì 11 ottobre 2012

I rischi legati alla diffusione degli OGM in agricoltura


Di seguito una sintetica ma completa analisi dei rischi legati alla diffusione degli OGM in agricoltura. L’analisi è stata svolta dal prof. Raffaele Testolin, Direttore del Dipartimento Produzione Vegetale e Tecnologie Agrarie Università di Udine,  che non è sicuramente un “anti OGM”, in quanto firmatario della “lettera degli scienziati con la richiesta per liberalizzare la sperimentazione OGM”.  Si tratta sicuramente di una analisi obiettiva, che mette in luce ancora una volta la necessità di fare ricerca prima di introdurre piante OGM nel nostro Paese.

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Presidio del territorio e nicchie di mercato
XX Seminario internazionale sulle nuove professionalità
PORDENONE 12 - 16 luglio 2000
Nell'ambito delle attività internazionali
Sostenute dalla Regione Friuli Venezia Giulia
Con la partecipazione di
Fondazione Cassa di Risparmio
di Udine e Pordenone

BIOTECNOLOGIE A OCCHI APERTI  


Raffaele Testolin,
Dipartimento Produzione Vegetale e Tecnologie Agrarie Università di Udine  (Coordinatore del seminario)  


1. Perché si creano organismi geneticamente modificati (OGM) (omissis)
2. Come si creano gli OGM, con particolare riferimento alle piante (omissis)
3. La diffusione degli OGM (omissis)

4. I rischi legati alla diffusione degli OGM

La rapida diffusione di organismi geneticamente modificati (virus, batteri, lieviti, artropodi, animali e piante superiori) ha creato un notevole allarme anche nella comunità scientifica circa i rischi che il rilascio in natura di OGM può creare per la salute dell'uomo e degli animali che si alimentano con questi OGM o prodotti da essi derivati (farine ecc.) e i rischi per l'ambiente (Tab. 2).
Ovviamente gli OGM hanno posto e pongono anche problemi etici che riguardano da una parte i limiti consentiti ad una generazione di alterare il mondo in cui vive senza curarsi delle conseguenze per le generazioni future e dall'altra se sia permesso creare dei rischi per la società a solo scopo di profitto di singole imprese. E' questa per esempio l'accusa che viene mossa alle compagnie che hanno sviluppato piante transgeniche resistenti ad erbicidi e che costringono gli agricoltori ad acquistare oltre che le sementi, l'erbicida adatto. Si tratta di questioni importanti, ma che riguardano campi non trattabili dal punto di vista scientifico.
Al di là degli aspetti etici, la lista dei potenziali rischi che possono o devono avere una risposta scientifica, è lunga e riguarda, ad esempio:
- l'impatto tout court sull'ambiente di OGM (virus, batteri, pesci, animali, ...) che entrano come un soggetto del tutto nuovo in un ecosistema che non ha contribuito a crearli e a selezionarli;
- la possibile tossicità e allergenicità dei prodotti alimentari derivanti dagli OGM;
- il gene flow o flusso di geni da organismi transgenici ad organismi non-transgenici, in particolare da piante transgeniche a colture non transgeniche e specie selvatiche con le quali le piante transgeniche possono ibridare naturalmente (Dale e Scheffler 1996);
- il trasferimento a batteri del terreno di plasmidi artificiali presenti in organismi transgenici in decomposizione (Nielsen et al 1997);
- il cosiddetto horizontal gene transfer, cioè il trasferimento occasionale di geni tra organismi molto diversi: per esempio tra batteri ed eucarioti mediante fenomeni di coniugazione (Tepfer 1993; Droge et al 1998).


4.1 Rischi per l'uomo e per gli animali che si alimentano con prodotti di OGM

I costrutti utilizzati per il trasferimento di geni a piante, contengono - come abbiamo visto - una copia di un gene che permette la selezione dei trasformati. Molti costrutti contengono come gene marker per la selezione dei trasformati un gene che conferisce resistenza alla kanamicina. Questo gene di origine batterica, noto anche come nptII (neomicina fosfotransferasi II), è ovviamente presente in tutte le cellule di una pianta transgenica.
La paura che il gene nptII possa essere tossico per l'uomo e gli animali sembra infondata, ma esistono un paio di altre questioni che non hanno ancora ricevuto risposta. La prima riguarda la possibilità che il gene nptII possa essere passato ai batteri dell'intestino umano, rendendoli resistenti alla kanamicina e ad altri antibiotici. La seconda riguarda la possibilità che il gene venga trasferito ad altri organismi e quindi rilasciato nell'ambiente con rischi per l'ecosistema.
Nessuna delle questioni ha per ora ricevuto risposta. Sappiamo che i processi digestivi dovrebbero distruggere qualsiasi sequenza codificante prima che questa raggiunga la flora batterica dell'intestino (guai se non fosse così!). Sappiamo anche che un gene che evitasse la distruzione nello stomaco avrebbe comunque poche possibilità di essere trasferito ad un batterio nell'intestino umano. Tuttavia il rischio non è nullo. Le preoccupazioni riguardano soprattutto la possibilità che batteri GM utilizzati come colture starter in formaggi o yoghurt possano trasferire questi geni a specie di batteri relativamente prossime (es. batteri lattici) presenti nell'intestino. Per questo pericolo, le legislazioni dei vari paesi - per quanto è noto - stabiliscono che organismi GM prodotti per alimenti da consumare a crudo non debbano contenere geni di resistenza agli antibiotici.
Per quanto riguarda il pericolo di trasferimento all'ambiente, sappiamo che il gene di resistenza alla kanamicina è piuttosto diffuso in natura e tuttavia un evento imprevisto che possa in qualche maniera causare un danno all'ambiente non può essere escluso a priori.
La presenza di questi rischi è tanto vera che i ricercatori, su sollecitazione delle imprese, si sono preoccupati di mettere a punto una nuova cassetta di espressione contenente un secondo gene (il gene Cre), in grado, una volta avvenuta la trasformazione, di excidere il gene nptII dalla pianta (Brown 1995).
Poiché il gene Cre viene caricato su un vettore diverso da quello preparato con il gene di interesse assieme al gene nptII, i due costrutti verrebbero trasferiti in zone diverse del genoma e segregherebbero alla prima generazione, permettendo così di selezionare piante contenenti il gene di interesse ma non il gene Cre. Il gene nptII non dovrebbe essere presente perché già eliminato da Cre.
Un secondo approccio è stato quello di usare geni marker/eporter diversi dai geni di resistenza ad antibiotici. Tra i nuovi geni un largo spazio hanno trovato alcuni geni di resistenza ad erbicidi, ma sono stati sperimentati anche geni che conferiscono tolleranza a metalli, metodi di complementazione vari, geni che demoliscono zuccheri artificiali come per esempio il lattosaccarosio ecc. (Yoder e Goldsbrough 1994; Gressel 1999). Per questi restano i rischi di diffusione nell'ambiente che vedremo nel prossimo paragrafo.
Per quanto riguarda la tossicità dei prodotti di origine transgenica, la legislazione, data la difficoltà di sviluppare test tossicologici appropriati, ha introdotto il concetto di valutazione della "sostanziale equivalenza" tra il prodotto transgenico e quello non transgenico di analoga origine. Dal punto di vista puramente scientifico, la tossicità di costrutti transgenici è considerata in generale poco verosimile, anche se non può essere esclusa in linea di principio.
Per quanto riguarda le allergie, la base biologica di tali reazioni è poco conosciuta dal punto di vista scientifico e quindi anche la legislazione non può chiedere molto. In pratica, nello screening track, imposto alle ditte che intendono chiedere il permesso di sperimentare e/o commercializzare OGM, vengono considerate le caratteristiche della proteina codificata dal transgene che potrebbero essere fonte di allergia (stabilità al calore, resistenza all'attacco di enzimi digestivi, similarità con allergeni noti ecc.). Il problema è sorto da alcuni casi concreti. Per esempio, la Pioneer Hi-Bred International ha sviluppato in passato una soia GM per un gene che codificava per una proteina ricca in metionina, intendendo così innalzare il profilo nutrizionale della soia utilizzata per l'alimentazione animale. Il gene era stato isolato dalla noce brasiliana, che in alcuni individui può causare reazioni allergiche. La compagnia ha saggiato questa soia GM contro campioni di sangue di persone allergiche alla noce brasiliana ed ha trovato che la soia GM era a sua volta allergenica. A seguito di ciò, il progetto è stato abbandonato, ma la questione è diventata di pubblico dominio ed ha assunto un valore generale perché se è vero che le compagnie conducono prove allergeniche quando il problema esiste - vedi il caso della noce brasiliana - è altrettanto vero che per molti geni che provengono da fonti non alimentari (batteri, insetti ecc.) non è nota l'allergenicità e non esiste il panel di pazienti con allergia conclamata per quel particolare alimento.


4.2 Rischi relativi agli insetti utili

Il problema ha due facce: la prima riguarda la creazione di resistenze in insetti contro i quali è stata prodotta la pianta transgenica; la seconda riguarda il danno che piante con geni che codificano per biopesticidi (tossine ecc.) possono recare alla entomofauna 'non-target', cioè agli insetti non direttamente obiettivo del biopesticida come i predatori e i visitatori occasionali.
Per entrambi gli aspetti, molte ricerche hanno riguardato e riguardano tuttora l’uso di geni che codificano per tossine Bt, derivanti da Bacillus thuringiensis.
Nel primo caso sono ormai documentate resistenze selezionate in alcuni lepidotteri dall’uso di piante Bt. In particolare sono state trovate resistenze nella tignola delle crucifere (Plutella xylostella) allevata su broccoli Bt e colza Bt (Ramachandaran et al 1998 e Tang et al 1999 citati in Tabashnik et al 2000), nel verme rosa delle capsule di cotone (Pectinophora gossypiella), mentre per quanto riguarda le resistenze rilevate in popolazioni di piralide allevata su mais Bt i dati sono contrastanti. Prevalgono i lavori che riportano il superamento di resistenze e in tali lavori il dibattito è relativo al tipo di resistenza: dominante o recessiva. Come è noto i due tipi di resistenza hanno effetti molto diversi sulla possibilità di diffusione del gene stesso (Huang et al 1999; Tabashnik et al 2000).
Per quanto riguarda il secondo aspetto, al di là delle ormai note vicende della farfalla monarca (Danaus plexippus) e del dibattito creatosi attorno a questa vicenda, i risultati riportati in bibliografia sono piuttosto contrastanti. Ciò è dovuto soprattutto all'eterogeneità dei protocolli e a qualche 'ingenuità' come l'uso di individui adulti come soggetti sperimentali, quando è noto che la tossina del B. thuringiensis è molto più efficace sugli stadi larvali. Molti dei dati che si trovano in bibliografia poi riguardano tests preparati per la registrazione di formulazioni a base di B. thuringiensis da utilizzare nei trattamenti alle colture e sono poco pertinenti al caso (Croft 1990). Solo recentemente si è operato alimentando predatori con prede cresciute su prodotto transgenico contenente la proteina Bt. I primi risultati non hanno riportato effetti negativi, ad eccezione di un caso in cui si sono registrate mortalità elevate in larve di crisopa (Chrysoperla carnea) alimentate con prede allevate a loro volta su mais Bt (Hilbeck et al 1998). Al di là dei risultati, è importante notare come le prime segnalazioni di resistenze siano comparse in letteratura già nel 1998, cioè ad appena due anni dall'inizio della coltivazione di mais, cotone e patata Bt negli USA. L'allarme è stato preso in seria considerazione da diverse società scientifiche e le perplessità che queste società avanzano con i loro documenti possono essere così riassunte (Wallimann 2000; Saxena et al 1999):
1.     la coltivazione su grandi aree a monocoltura di specie come mais o cotone, che esprimono costitutivamente composti ad azione insetticida come la tossina Bt, crea un ecosistema omogeneo con una grande pressione selettiva e quindi facilmente orientato a creare resistenze;
2.     creando resistenze si rischia di perdere un bio-pesticida, come il Bt, di grande valore, in uso con successo ormai da 30 anni;
3.     la tossina Bt, oltre ad agire sui parassiti, sui loro predatori e su visitatori occasionali, viene essudata nel terreno e rimane attiva per oltre 200 giorni, avendo effetti non prevedibili su una miriade di insetti del suolo.


4.3 Rischi per l'ambiente

Abbiamo visto che i rischi sono parecchi e tipici a volte di un singolo OGM. Vediamo alcuni casi che rappresentano i temi di discussione più dibattuti nel mondo scientifico (tab. 2).
Nel 1996 James Kling, un divulgatore scientifico, avviava una riflessione sulla rivista Science sul pericolo che colture transgeniche potessero trasferire geni di resistenza ad erbicidi, a virus, ad antibiotici ecc. a piante spontanee rendendole delle 'super-infestanti' (superweeds è il termine coniato da Kling e diventato poi famoso nella letteratura giornalistica). Kling rappresentava con una notevole obiettività le posizioni del momento. Ecologisti e specialisti di genetica di popolazione ammonivano che il trasferimento di geni eterologhi presenti in colture transgeniche a specie selvatiche sarebbe stata solamente una questione di tempo, dato il ritmo con cui i permessi di coltivazione venivano rilasciati negli USA. Quelli che rilasciavano i permessi, rassicuravano che il problema del trasferimento genico all'ambiente (gene flow) era tenuto in attenta considerazione e che i permessi di coltivazione venivano accordati solamente quando il rischio era nullo. Nel giro di qualche anno s'è accumulata una copiosa quanto inutile letteratura scientifica sulla valutazione del rischio (Gressel e Rotteveel 2000) e sulle distanze di sicurezza per evitare inquinamenti a colture attigue o a specie spontanee (Scheffler e Dale 1994; McPartlan e Dale 1994; Scheffler et al 1995; Conner e Dale 1996). Le pubblicazioni scientifiche sull'argomento ammontano ormai ad oltre un centinaio. E' chiaro, tuttavia, che quando una coltura transgenica assume le dimensioni che hanno assunto il mais, la soia o il colza (Figg. 2 e 3), la speranza di non contaminare l'ambiente e le specie botaniche selvatiche non ha fondamento scientifico. Molto dipende dalle aree in cui si coltiva. Il mais coltivato in Europa probabilmente non darà luogo a flussi genetici nell'ambiente al di fuori delle aree agricole, perché non ci sono specie spontanee che possano ibridare con il mais coltivato; lo stesso non si può dire per il riso transgenico coltivato in Asia o il colza coltivato in Europa o la soia coltivata in Cina. Per inciso, è utile sottolineare che casi di negligenza nella sperimentazione con colture transgeniche (distanze di sicurezza, scelta della coltura successiva, notifiche alle autorità competenti ecc.) sono stati segnalati anche per test preliminari, cioè quelli condotti dalle compagnie costitutrici degli OGM, che avrebbero dovuto operare con la massima cura (Anonymous 1998).
A completamento dell'argomento possiamo dire che colture transgeniche a larga diffusione creano problemi anche agli agricoltori. Per esempio, chi produce mais non transgenico vicino ad un produttore di mais transgenico avrà il proprio prodotto inquinato, che dovrà vendere come prodotto transgenico. Il fatto è ancora più grave per gli agricoltori che fanno produzioni biologiche, ma questi sono ovviamente problemi di natura sociale piuttosto che scientifica.
La riduzione del rischio di trasferimento di geni eterologhi da colture transgeniche a specie selvatiche viene perseguito dalle compagnie attraverso due vie:
- inserimento dei costrutti transgenici nel DNA cloroplastico piuttosto che in quello nucleare, sfruttando il fenomeno dell’eredità materna dei cloroplasti, che è piuttosto comune nelle angiosperme. Questo impedisce la dispersione del costrutto attraverso il polline, che non porta generalmente plastidi;
- riduzione della competitività naturale nei semi della generazione successiva, utilizzando le tecniche del tandem construct, cioè l’inserimento di un secondo gene che si manifesta nella generazione successiva, dando ad esempio maschiosterilità, scarsa vigoria alle piante, nanismo ecc. (Gressel 1999)
Un altro caso dibattuto è l’uso di geni che codificano per proteine del capside di alcuni virus.
La resistenza ad un determinato virus si può ottenere inserendo nella specie ospite il gene che codifica per le proteine del capside di quel virus. La pianta codificando le proteine del capside diventa resistente al virus. E' il caso delle resistenza alla sharka (o PPV = Plum Pox Virus) ottenuta in susino con questa tecnica. Gli stessi ricercatori che hanno ottenuto il risultato di rendere il susino resistente alla sharka hanno anche dimostrato, lavorando con una specie modello di tabacco in grado di esprimere il capside del PPV, che questa proteina prodotta dal tabacco è in grado di incapsidare un altro virus, il virus del mosaico giallo degli zucchini. Questo potyvirus non trasmissibile attraverso gli afidi, una volta incapsidato con il capside prodotto dal tabacco, viene trasmesso dagli afidi come il PPV. Questo significa che è possibile produrre attraverso il rilascio di piante transgeniche nuovi tipi di virus, con caratteristiche epidemiologiche diverse (Lecoq et al 1998). Il rischio per l'ambiente è evidente e i ricercatori francesi stanno lavorando alla sequenza del capside per togliere ad essa le proprietà negative viste sopra, conservandone le caratteristiche che rendono la pianta transgenica immune al virus.


4.4 Rischi di instabilità genetica degli OGM

Un aspetto importante che meriterebbe di essere approfondito riguarda la stabilità genetica degli OGM (Tab. 3).
Il trasferimento genico usa delle tecniche sostanzialmente imprecise (Kononov et al 1997), indipendentemente dall’approccio adottato:
1.     si trasmettono un numero imprecisato di copie del costrutto (da una ad una decina, ma a volte fino ad un centinaio) al genoma dell’ospite;
2.     non tutte le copie sono complete; a volte sono presenti solamente pezzi di costrutto;
3.     non si sa bene dove vadano a finire nel genoma: a volte vanno a finire in regioni molto metilate che impediscono l’espressione; è possibile che vadano a finire all’interno di un gene, silenziandolo senza per questo che ci siano effetti fenotipici rilevabili al momento; è anche possibile che il transgene si ponga a monte di geni non trascritti, riattivandoli.
Tutto questo pone dal punto di vista teorico dei rischi sulla stabilità dei transgeni, sull’effetto della posizione che occupano nel genoma ecc. Più di 30 compagnie hanno avuto esperienze di silenziamento di transgeni in piante transgeniche già avviate alla commercializzazione (Senior IJ e Dale 1996). Purtroppo su questi aspetti, la letteratura scientifica è piuttosto carente.
Abbiamo limitato la trattazione ad alcuni aspetti di carattere generale, ma la casistica è ampia e - come abbiamo detto all'inizio del paragrafo - il problema può riguardare un singolo transgene. Il lettore può mantenersi aggiornato, facendo riferimento ad alcuni siti internet selezionati per la loro autorevolezza e riportati in tab. 4.

5. L'identificazione degli OGM (omissis)

6.Conclusioni

L'uso di OGM tocca ormai una serie molto ampia di campi di applicazione, che vanno dalla creazione di nuove varietà per scopi alimentari e industriali, all'uso delle piante per la produzione di molecole a scopo farmaceutico, alla trasformazione a scopi di studio per ricerche in campo biologico.
Purtroppo l'uso fatto da alcune grosse compagnie sementiere di queste applicazioni in campo agroalimentare con la produzione di varietà transgeniche di colture ad ampia diffusione come mais, soia, colza, cotone, patata e pomodoro, portanti costrutti di dubbia utilità per il mercato e con qualche rischio per l'ambiente, ha provocato perplessità nella comunità scientifica e una generale reazione agli OGM in ampi settori dell'opinione pubblica.
Nel 1999, l'Unione europea, recependo le sollecitazioni dei movimenti di opinione contrari agli OGM, ha iniziato a mettere restrizioni all'uso degli OGM, ma contemporaneamente ha anche ridotto i finanziamenti alla ricerca nel settore. L'uso di piante transgeniche per studi di espresssione o per la produzione di presidi farmaceutici non presenta in sè pericoli né per l'uomo né per l'ambiente, ma sta subendo in questo momento lo stesso ostracismo nell'Unione Europea riservato – con ben altre ragioni come abbiamo visto – alle colture transgeniche di pieno campo destinate all'alimentazione umana o degli animali.
Questo è il quadro della situazione.
Per parte nostra speriamo di avere dato al lettore informazioni corrette ed alcuni strumenti di valutazione per una riflessione personale sull'argomento.



Tab. 2 – I principali argomenti del dibattito sugli OGM (adattato da Dale 1999)
Obiezioni sollevate all'uso di OGM Risposte di chi è a favore degli OGM


1. Il trasferimento genico viene fatto superando barriere naturali e quindi è 'innaturale' Falsa associazione tra 'naturale' e 'buono'. I patogeni sono naturali, ma dannosi; i vaccini sono innaturali, ma utili.
2. E' difficile prevedere l'impatto a lungo termine delle colture transgeniche sugli alimenti e sull'ambiente E' vero, tuttavia esistono programmi di monitoraggio a lungo termine. Per nessuna innovazione è facile prevedere gli effetti a lungo termine, ma non per questo abbiamo rinunciato in passato ad introdurre innovazioni (petrolio, auto, energia nucleare ...).
3. I prodotti di piante transgeniche destinate all'alimentazione umana (e animale) possono avere proprietà allergeniche. E' un aspetto che viene preso in considerazione nei protocolli di valutazione degli OGM.
Il pericolo può valere anche per le varietà prodotte con gli incroci tradizionali, soprattutto se si utilizzano specie selvatiche come genitori. Inoltre, molti prodotti 'naturali' contengono allergenici, perchè gli allergeni sono componenti naturali di piante ecc.
4. Quali sono gli effetti dell'inserimento di geni codificanti per biopesticidi (geni Bt, sdl ecc.) in una coltura agraria sugli insetti utili, compresi i pronubi ? I danni su insetti utili sono trascurabili rispetto ai vantaggi legati alla riduzione dell'uso di pesticidi di sintesi e il bilancio costi/benefici è a favore degli OGM.
5. La coltivazione di piante transgeniche porta il rischio di rilascio nell'ambiente di geni, il cui effetto non è facilmente valutabile (gene flow attraverso ibridazioni naturali con specie native, trasferimento a colture non transgeniche vicine, trasporti illegali, accidentali nei centri di origine della specie cui appartiene l’OGM ...) Il rischio è alto per gli OGM di prima generazione, ma ora ci sono molte soluzioni per mitigare il rischio, in particolare i cosiddetti tandem constructs, contenenti un secondo gene per esempio di maschiosterilità.
6. L'uso di varietà transgeniche può ridurre la biodiversità (erosione genetica) L'argomento va preso in seria considerazione, ma non vale per le piante transgeniche più di quanto non valga per le varietà selezionate con i metodi di miglioramento genetico tradizionale.
7. Brevettare la vita (geni e organismi) può essere considerato non etico. Lo sviluppo di brevetti (vegetali) richiede grandi investimenti e le industrie private devono avere un ritorno finanziario dai loro investimenti.

Tab. 3 - Elenco generale dei rischi legati alla introduzione di OGM (piante e batteri).



1.

Organizzazione molecolare del genoma del transgene

1a. Valutazione del costrutto inserito.
Si tratta di valutare se e in quante copie è stato inserito il transgene nel genoma della specie ospite, se ci sono copie incomplete ecc.

1b. Valutazione di eventuali modifiche non volute al genoma dell'ospite.
Il trasferimento genico è un processo non preciso, per cui si tratta di valutare che il nuovo costrutto non abbia silenziato altri geni presenti (per esempio interrompendo una sequenza codificante), non abbia attivato geni silenti, non abbia messo in movimento transposoni ecc.

1c. Stabilità genetica.
Valutare se il transgene è stato inserito nel genoma in maniera stabile e se viene trasmesso alla progenie.
2.

Effetti sul consumatore finale

2a. Possibilità di trasferimento di materiale genetico al consumatore (uomo, animali) o ad organismi presenti nell'intestino.
Le preoccupazioni riguardano soprattutto la possibilità che geni di resistenza ad antibiotici, usati per l'identificazione dei transgeni, ed inseriti in batteri GM utilizzati come colture starter in formaggi o yoghurt possano trasferire questi geni a specie di batteri relativamente prossime (es. batteri lattici) presenti nell'intestino.

2b. Tossicità e allergie
Da valutare caso per caso sulla base dei costrutti inseriti.
Per quanto riguarda la tossicità, la legislazione, data la difficoltà di sviluppare test tossicologici appropriati, ha introdotto il concetto di valutazione della "sostanziale equivalenza" tra il prodotto transgenico e quello non transgenico di analoga origine.
Per quanto riguarda le allergie, la base biologica di tali reazioni è poco conosciuta dal punto di vista scientifico e quindi anche la legislazione non può chiedere molto. In pratica, nello screening track vengono considerate le caratteristiche della proteina codificata dal transgene, che potrebbero essere fonte di allergia (stabilità al calore, resistenza all'attacco di enzimi digestivi, similarità con allergeni noti ecc.).
3.

Pericolo di diffusione nell'ambiente e danni ad altri organismi

3a. Inquinamento di specie spontanee mediante impollinazione incrociata

3b. Trasferimento ad organismi che vivono nell'ambiente
Il problema riguarda principalmente il trasferimento di costrutti a batteri che degradano i residui vegetali di piante transgeniche.

3c. Danni a pronubi, insetti utili ecc.
Il problema riguarda ad esempio i pronubi che bottinano su specie trasformate con geni che codificano per biopesticidi (es. gene Bt).
Le compagnie devono presentare la documentazione opportuna per i potenziali ospiti della coltura. E’ tuttavia difficile prevedere per una coltura molto diffusa quali saranno i potenziali ospiti nei vari ambienti di coltivazione e soprattutto l'effetto a lungo termine di questi geni sull'entomofauna




Tab. 4 - Indirizzi Internet utili per una informazione sugli OGM.
Indirizzo internet Gestore, finalità e contenuti del sito


www.msissues.org John Innes centre, Norwich, Scotland UK.
Mette a disposizione informazioni di pubblico dominio e "bilanciate" (cioè non esclusivamente a favore o contro gli OGM) relative alla ricerca sugli OGM ed argomenti affini.
www.aphis.usda.gov/biotech United States Department of Agriculture - Anumal and Plant Health Inspection Service (USDA-APHIS), Riverdale MD, USA.
Informazioni sulla regolamentazione degli OGM negli USA: norme per sperimentazioni di campo, procedure di notificazione, permessi ed interessanti rapporti informativi a carattere scientifico.
www.isaaa.org/frbrief8htm The International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAAA), Cornell University, Ithaca, NY, USA.
Dichiara di avere lo scopo di "contribuire ad alleviare la povertà, aumentando la produttività delle colture ed il reddito derivante, in particolare per gli agricoltori con scarse risorse …".
L'aspetto più interessante del sito è la disponibilità di dati aggiornati sulla diffusione degli OGM sul mercato.
www.icgeb.trieste.it/biosafety ICGEB, International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology. Trieste, Italy.
database delle pubblicazioni sulla biosicurezza, suddivise per argomento ed altre 'entries', statistiche.