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martedì 30 aprile 2013

LE “MEZZE VERITA’” DI EMMA BONINO SUGLI OGM


Nel novembre 2008 Emma Bonino, allora Vice Presidente del Senato ed attualmente  titolare del Ministero degli Esteri, rispondeva ad un articolo di Carlo Petrini nel quale si metteva in luce il pericolo derivante da un cambiamento della normativa in merito alle soglie di tolleranze di OGM negli alimenti biologici.
Dalla risposta della Bonino traspare senza ombra di dubbio una posizione favorevole nei confronti degli OGM in ambito agroalimentare, sostenuta, però, da argomentazioni opinabili, le solite “mezze verità”.
Tralasciando la prima parte della lettera, che riporta dati di fatto non contestabili, ciò che lascia maggiormente perplessi sono le tre argomentazioni portate a favore degli OGM in ambito agroalimentare. In particolare, tra virgolette ed in grassetto le parole della Bonino:
Invece c’è forse una lezione da trarre dall’esperienza del mais Bt (l’unico Ogm coltivato in alcuni paesi europei),
-         più sicuro per l’ambiente perché non usa pesticidi”…………cara Bonino, mi dispiace dissentire, poiché  non è completamente vero che con il mais Bt non si usano pesticidi, in quanto c’è un problema di aree rifugio, c’è un problema di resistenza genetica degli insetti (piralide) e c’è un problema legato al fatto che la nicchia ecologica lasciata libera dalla piralide viene occupata da altri insetti (diabrotica). Pertanto, il problema degli insetti fitofagi è risolto solo in parte;

-         “più sicuro per il consumatore perché ha meno fumonisine, sostanze altamente tossiche alla salute umana abbondanti nel mais tradizionale ma ancor di più in quello biologico”. Anche questa è una “mezza verità”, in quanto il problema delle micotossine non è completamente eliminato con l’utilizzazione di mais Bt. Negli USA, dove il mais Bt è massicciamente utilizzato il problema delle micotossine rimane;



-         “più conveniente per i coltivatori che arrivano a guadagnare fino a 400 euro in più per ettaro”. Questa, cara Emma, non è una “mezza verità”, ma è proprio una “bufala”. Perché è una bufala? Perché, facendo i conti della serva:

a)    Il trattamento contro la piralide, esagerando,  ha un costo medio di 200 euro/ha, che sarebbero risparmiati, ok;
b)    La semente OGM negli Usa costa il 40% in più, per cui da 150 euro circa del convenzionale, passiamo a 210 euro/ha (+60 euro)
c)     I risparmi si riducono a 140 euro (200-60);
d)    Da dove arrivano gli altri 260 euro (400-140)? Possono arrivare solo da un aumento delle rese…….considerato che il mais ha un prezzo intorno ai 25 euro…….ne consegue che il mais Bt dovrebbe produrre 1 tonnellata in più per ettaro……fatto ancora tutto da dimostrare, anzi molti studi affermano che la produzione degli OGM rispetto al convenzionale è sostanzialmente analoga.
e)     Chi paga i costi di coesistenza?
f)      Chi paga i costi delle aree rifugio?
g)    Chi paga i costi di separazione di filiera?
h)    Chi paga i costi di certificazione e di etichettatura?
i)       Chi paga i costi di analisi?
j)      Paga sempre “pantalone”? Questa, cara Emma, si chiama “privatizzazione dei guadagni e collettivizzazione dei costi”  e in molti non sono d’accordo.


I MOTIVI PER I QUALI IL MINISTRO DELL’AGRICOLTURA ITALIANO NON PUO’ ESSERE FAVOREVOLE AGLI OGM


1 – questi OGM non sono adatti all’agricoltura italiana. L’Italia, anche con gli OGM,  con le sue piccole aziende agricole non potrà mai competere sul mercato mondiale sulla base dei bassi costi e dei bassi prezzi, ma potrà competere solo sulla base della qualità;



2 – con gli OGM l’agricoltore non guadagnerà di più, perché se è vero che calano i costi è altrettanto vero che calano anche i prezzi di mercato, in quanto il prezzo non viene fissato dall’agricoltore (in agricoltura, nel lungo periodo, costo unitario medio, costo marginale e prezzo di mercato tendono a coincidere). Anche l’esplosione delle superfici coltivate a livello mondiale in certi Paesi non è sinonimo di maggior reddito per il coltivatore, ma è dovuta alla mancata etichettatura degli alimenti OGM in questi stessi Paesi;



3 – gli OGM favoriscono la delocalizzazione produttiva. Quando avremo piante che “resistono” ad ogni avversità e ad ogni condizione pedoclimatica, è molto probabile che la loro coltivazione si sposterà in Paesi che hanno situazioni di costo di produzione più favorevoli delle nostre;



4 – il brevetto sugli OGM rende dipendente il coltivatore dalle multinazionali del seme, che potrebbero avviare coltivazioni con contratti di soccida per le piante sulla falsa riga di quello che già avviene nell’allevamento animale;



5 -  non è vero che con gli OGM la produzione per ettaro è superiore a quella delle sementi convenzionali;



6 – gli OGM sono contro la biodiversità, poiché il patrimonio genetico delle piante OGM coltivate deriva da un ristretto numero di cellule trasformate;

http://ogmbastabugie.blogspot.it/2012/10/ogm-e-societa-italiana-di-ecologia.html


7 – gli attuali OGM hanno il transgene inserito nel nucleo e determinano “inquinamento genetico” e, pertanto non rendono possibile la coesistenza con altre forme di agricoltura, sia essa convenzionale o biologica. Da rilevare che, oggigiorno, le moderne tecniche di ingegneria genetica consentirebbero di introdurre il transgene nei cloroplasti, evitando così l’inquinamento genetico;



8 – gli OGM favoriscono le strategie di appropriazionismo e di sostituzionismo del settore industriale nei confronti del settore agricolo. Con gli OGM il reddito dell’agricoltore nel lungo periodo è destinato a diminuire;



9 – gli OGM possono determinare la scomparsa dell’industria sementiera nazionale, determinando così grande preoccupazione per la sicurezza alimentare, sia da un punto di vista quantitativo, sia da un punto di vista qualitativo.



10 – gli OGM da soli non risolvono il problema delle micotossine;





11 – le piante OGM resistenti ai diserbanti non risolvono il problema delle erbe infestanti, in quanto:
                        - le erbe infestanti dopo pochi anni maturano una resistenza genetica al diserbante;
                        - le erbe infestanti parentali acquisiscono il transgene dalle piante OGM coltivate e diventano esse stesse resistenti al diserbante;
                        - le piante transgeniche coltivate (per esempio colza OGM) in annate successive diventano esse stesse infestanti di altre coltivazioni;



12 – non risolvono il problema degli insetti nocivi (anche utilizzando il mais BT, la piralide dopo pochi anni diventa resistente alla tossina BT);

http://ogmbastabugie.blogspot.it/2012/12/ogm-e-irm-insectresistance-management.html


13 - gli attuali OGM sono adatti a terreni fertili, pertanto favoriscono ancora una volta le aziende di pianura a scapito delle aziende di collina e di montagna, favorendo così l'esodo rurale da questi territori, con tutti i problemi connessi di assetto idrogeologico;

http://ogmbastabugie.blogspot.it/2014/06/motivazionidiverse-da-effetti-sulla.html

lunedì 29 aprile 2013

LA SCOMPARSA DELLA NOSTRA INDUSTRIA SEMENTIERA


In questi ultimi anni il più evidente elemento di trasformazione, a livello mondiale, del settore sementiero, è stato il massiccio ingresso in queste attività di grandi imprese multinazionali che, già attive nel settore chimico e farmaceutico, hanno esteso il proprio campo di azione all’ingegneria genetica e alla commercializzazioni dei prodotti biotecnologici.
         Tale evoluzione ha determinato una forte riduzione della nostra industria sementiera, che rappresenta un reale pericolo per la nostra sicurezza alimentare, sia essa intesa in termini quantitativi, sia essa intesa in termini qualitativi.
In particolare, di seguito saranno evidenziate le principali società che operano nel settore, con le relative quote di mercato a livello mondiale:
1)    Monsanto (USA) …………………23%
2)    DuPont (USA)…………………….15%
3)    Syngenta (Switzerland)……………9%
4)    Groupe Limagrain (France)………6%
5)    Land O’ Lakes (USA)……………...4%
6)    KWS AG (Germany)……………….3%
7)    Bayer (Germany)……………………2%
8)    Sakata (Japan)……………………..<2%
9)    DLF-Trifolium (Denmark)………..<2%
10)                      Takii (Japan)……………...…<2%

TOTALE……………………………68% circa

Le strategie di sviluppo attuate dalle multinazionali hanno sostanzialmente determinato due grandi fenomeni:
i) una crescente concentrazione dell’offerta sia nel settore degli agrofarmaci, che in quello delle sementi;
 ii) una crescente osmosi tra il settore delle sementi e quello degli agrofarmaci, nonché tra tali settori e quello farmaceutico.
Come esito di tali processi, non soltanto si assiste a una progressiva assimilazione dell’identità degli operatori presenti nel settore delle sementi e in quello degli agrofarmaci, ma anche ad un’analoga evoluzione delle dinamiche competitive, incentrate in misura crescente sullo sfruttamento e sulla difesa dei diritti di proprietà intellettuale, così come da anni avviene nel settore farmaceutico.
A livello mondiale, 5 grandi compagnie controllano oltre il 90% delle colture transgeniche (Monsanto, Aventis, Syngenta, DuPont e Dow). Esse sono il risultato di un intenso processo di fusioni e di acquisizioni attuate negli ultimi decenni: Syngenta è, a esempio, il risultato della fusione parziale tra la britannica Zeneca e l'elvetica Novartis, la quale a sua volta era frutto della fusione tra Ciba Geigy e Sandoz; Monsanto si è ingrandita grazie a una serie numerosa di acquisizioni di compagnie quali Asgrow, Agracetus, Dekalb, Cargil, ecc.; Aventis nasce dalla fusione della francese Rhone Poulenc e della tedesca Hoest; Du Pont ha acquistato la Pioneer.
I processi di concentrazione e integrazione descritti, funzionali al perseguimento della massima efficienza tecnico-produttiva, pongono tuttavia il problema dei possibili comportamenti strategici dei grandi gruppi multinazionali diretti a realizzare un maggiore controllo dei mercati e a orientare le scelte degli utilizzatori. Da un lato, infatti, l’evoluzione tecnologica e normativa dei settori in esame ha certamente generato la necessità di disporre di maggiori risorse e dimensioni per affrontare gli ingenti costi legati allo sviluppo e alla registrazione delle nuove varietà e delle nuove molecole; dall’altro, la concentrazione in poche mani delle risorse destinate alla ricerca e allo sviluppo delle varietà di sementi, nonché delle sostanze più idonee a garantirne la coltivazione e la crescita, consente di esercitare un potere di mercato nei confronti degli agricoltori, utilizzatori finali dei prodotti sementieri e fitofarmacologico, aumentandone di fatto il grado di dipendenza dall’industria della produzione degli input.
Al riguardo, è appena il caso di ricordare, ad esempio, come la diffusione di prodotti trasngenici, tutelati dai diritti di protezione intellettuale, ostacoli l'utilizzazione delle sementi di seconda generazione per la semina successiva, garantendo l'impossibilità per gli agricoltori di appropriarsi del seme proveniente dal raccolto dell'anno precedente senza corrispondere i relativi diritti all'azienda costitutrice.
Nonostante in Europa e in Italia l'espansione dei prodotti biotecnologici sia stata sino ad oggi frenata da una normativa ambientale e sanitaria più restrittiva, ispirata al principio di precauzione per evitare gli effetti nocivi degli OGM sulla salute e sull'ambiente, ormai anche in tali aree la tendenza in atto è verso una maggiore concentrazione della produzione in capo alle stesse multinazionali.
Sotto il profilo concorrenziale, il settore sementiero è rappresentato da un insieme estremamente numeroso e composito di mercati, che si differenziano tra di loro sia a livello orizzontale, in funzione della specifica tipologia di coltivazione cui la semente è destinata (riso, mais, soia, orticole, barbabietole, ecc.), sia, a livello verticale, in funzione della specifica fase della catena produttiva e distributiva alla quale si fa riferimento. Ciò in quanto, ad esempio, l’immissione sul mercato di sementi comporta la realizzazione di diverse attività produttive, verticalmente collegate, nelle quali sono spesso presenti soggetti imprenditoriali distinti, caratterizzati da un diverso grado di integrazione verticale. Solo in un numero ristretto di casi, l’attività delle imprese sementiere si estende dalla fase più a monte della ricerca di base sino alla quella più a valle della distribuzione agli utilizzatori finali.
Le ditte sementiere possono ad esempio distinguersi a seconda che:
1) siano attive anche nella fase della ricerca di base finalizzata alla realizzazione del materiale genetico (ricerca genetica);
2) si limitino ad acquistare il materiale genetico di base e a svolgere attività di moltiplicazione;
3) siano costitutori del materiale di moltiplicazione e procedano all’iscrizione delle varietà, commercializzandole con marchio proprio;
4) acquistino le diverse varietà di seme per rivenderle con un proprio marchio.
E' evidente che la struttura dei mercati tende ad essere tanto più concentrata quanto più si risale alla fase produttiva a monte della ricerca di base, la quale richiede ingenti investimenti, non solo legati ai costi specifici dell'innovazione e della sperimentazione, ma anche alla necessità di affrontare i rischi commerciali legati all'immissione sul mercato delle nuove molecole e delle nuove varietà.
Secondo i dati contenuti nell'ultimo rapporto disponibile di Databank  sull'industria sementiera in Italia, nel 2007 le prime 8 imprese controllavano circa il 50% del settore, mentre le prime 4 circa il 40%. Maggiori livelli di concentrazione si riscontravano nei comparti del mais e della soia, mentre si osservava una forte polverizzazione dell'offerta soprattutto nelle aree delle foraggere e delle orticole.
La concentrazione di imprese che forniscono gli strumenti alla produzione agricola, quali le sementi e gli agrofarmaci, configura un regime di oligopolio che incide pesantemente sui rapporti contrattuali tra i soggetti della filiera, specialmente per quanto attiene all'andamento dei prezzi dei suddetti mezzi tecnici di produzione, che mostrano crescite costanti rispetto a quelle registrate per i prezzi alla produzione.
        Gli agricoltori sono costretti a confrontarsi con poche imprese organizzate su basi multinazionali che, di fatto, svolgono sempre e comunque il ruolo di price maker a fronte della concentrazione dell'offerta dei mezzi tecnici di produzione.
Il regime di oligopolio in cui opera il mercato delle sementi favorisce inoltre la riduzione della base genetica e della diversità genetica delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, diminuendo la possibilità di scelta degli agricoltori e quindi la loro libertà imprenditoriale.
        La base genetica andrebbe invece ampliata attraverso la produzione di sementi che siano realmente diversificate (non solo nel nome) in una logica di mercato libero in cui sia garantita la protezione dei diritti brevettuali, rafforzando la vigilanza sull'operato dell'Ufficio europeo dei brevetti.
Per quanto venga sempre più riconosciuta l'importanza del ruolo dei sistemi informali delle sementi nel mantenere la biodiversità agricola, occorrono maggiori sforzi a sostegno delle produzioni locali, per il miglioramento dell'accesso a sementi di qualità e per lo sviluppo dell'imprenditoria su piccola scala.
        Alcuni strumenti atti a favorire la diversificazione delle sementi sono già operativi, ma vanno potenziati in una logica di sistema che coinvolga tutti gli operatori della filiera. Il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, ponendo l'accento sulla speciale natura di tali risorse e sulle peculiarità delle loro caratteristiche, rappresenta la cornice normativa entro la quale attivare una serie di azioni che vanno dall'attuazione delle indicazioni dettate dalle «Linee guida nazionali per la conservazione in situ, on farm ed ex situ della biodiversità vegetale, animale e microbica di interesse agrario» (adottate con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 6 luglio 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 171 del 24 luglio 2012) ad una più attenta riformulazione dei piani di sviluppo rurale.
        La conservazione e il miglioramento delle risorse genetiche vegetali in situ e on farm dipendono tuttavia dalla possibilità effettiva di utilizzare tali risorse in modo duraturo e richiedono pertanto norme che permettano la commercializzazione di materiali genetici diversificati. Il quadro giuridico di riferimento deve pertanto consentire la commercializzazione di varietà provenienti dalla conservazione in situ e non incluse negli elenchi ufficiali delle sementi, che si fondano sui criteri di conformità «DUS» (carattere distintivo, uniformità e stabilità). Occorre cioè consentire la coltivazione e la commercializzazione di sottospecie indigene e varietà che si sono adattate naturalmente alle condizioni locali e regionali e che sono minacciate dall'erosione genetica. In tal senso, per tutelare le varietà da conservazione, ossia quelle dotate di determinate caratteristiche, a partire da un legame tra risorsa genetica, storia e territorio, l'Italia ha disciplinato, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 18 aprile 2008, le condizioni per la commercializzazione di sementi di varietà da conservazione. Queste, dopo essere state iscritte in una apposita sezione del registro nazionale delle varietà di specie agrarie e ortive, possono essere commercializzate in modiche quantità, mediante vendita diretta da parte dei produttori e soltanto in ambito locale.
       In conclusione, gli strumenti per una razionalizzazione del mercato delle sementi esistono, ma occorre che diventino temi rilevanti nell'agenda delle nostre istituzioni. L'insediamento di tavoli di confronto nei quali associazioni degli agricoltori, ministeri competenti, regioni e associazioni di rappresentanza delle case produttrici di sementi e fitofarmaci possano confrontarsi periodicamente su soluzioni operative per migliorare il sistema, potrebbe essere un primo passo per arrecare grandi benefici al settore agroalimentare.

sabato 27 aprile 2013

Nunzia De Girolamo il giusto Ministro contro gli OGM

Sembra proprio che la nuova Ministra dell'Agricoltura Nunzia De Girolamo di OGM non ne voglia nemmeno sentir parlare. Dopo Catania, dopo Pecoraro Scanio, dopo Alemanno, dopo Zaia, dopo Romano anche il prossimo Ministro sembra sia proprio contrario. Che siano tutti oscurantisti, luddisti e antiscientifici?

http://www.corrieredelsannio.it/2010/03/03/nunzia-de-girolamo-necessita-di-etichettatura-ed-informazione-per-tutelare-il-consumatore-dagli-ogm/

E' figlia di un agricoltore, ha un figlio molto piccolo, non può essere a favore degli OGM!

giovedì 25 aprile 2013

ENRICO LETTA è sicuramente favorevole agli OGM


I ben informati lo conoscono da tempo, perché è da tempo che il nostro primo ministro è schierato a favore degli OGM! Perché mai, visto che i ¾ degli italiani sono contrari? Misteri della fede? Protezione di qualche potentato economico? Impostazione di uno sviluppo sostenibile per la nostra società? Magari!

In un post precedente avevamo parlato della posizione del PD nei confronti degli OGM, sicuramente non contraria.

Senza ombra di dubbio il nostro Enrico Letta è uno dei pochi parlamentari a favore degli OGM!!!





http://www.ladige.it/articoli/2009/09/02/bolzano-liberta-ogm

Tra l'altro il nostro Enrico Letta è un ispiratore, nonchè fondatore di veDrò. veDrò è un "think net" nato per riflettere sulle declinazioni future dell’Italia e delineare scenari provocatori, ma possibili, per il nostro Paese. VeDrò è una rete di scambio di conoscenza formata da più di 4.000 persone: professori universitari, imprenditori, scienziati, liberi professionisti, politici, artisti, giornalisti, scrittori, registi, esponenti dell’associazionismo e sapete chi è il loro consulente in materia di OGM? Roberto Defez…….abbiamo detto tutto.

http://www.salmone.org/free-ogm-research/

Tra l'altro, al convegno dell'associazione che si è tenuto a Dro (TN) nell'agosto 2010 l'unico intervento previsto sugli OGM l'ha tenuto il buon Defez.......il titolo "Free OGM........"

http://www.salmone.org/wp-content/uploads/2010/07/programma-17.pdf

http://www.youtube.com/watch?v=c3ahK3JbCEA&list=PL47DB3052054C3168&index=1

Ad Enrico Letta hanno imposto come Ministro dell’Agricoltura   Nunzia De Girolamo, che non dovrebbe proprio essere a favore degli OGM, viste le sue precedenti prese di posizione sull'argomento.

sabato 13 aprile 2013

OGM, brevetto e agricoltore


In questa sede non si vuole entrare nel merito dell’utilità del Brevetto per lo sviluppo della nostra Società. E’ risaputo, infatti, che la tutela brevettuale può rappresentare un incentivo allo sviluppo tecnologico e che molti prodotti di uso comune, e quindi di elevata utilità, sono stati studiati, creati e diffusi anche grazie alla tutela brevettuale. In particolare, il Brevetto è lo strumento giuridico che conferisce all'autore di un'invenzione il monopolio temporaneo di sfruttamento dell'invenzione stessa, ossia il diritto di escludere terzi dall'attuare l'invenzione e dal trarne profitto.

Il brevetto, pertanto, rappresenta una sorta di  monopolio legale, seppur limitato territorialmente e temporalmente. Tale monopolio legale si giustifica con il fatto che il sistema brevettuale è basato su una forma di scambio: il titolare del brevetto riceve protezione per la propria invenzione e in cambio è obbligato a svelare e a descrivere l'invenzione stessa. Durante il periodo di applicazione del Brevetto, il detentore può sfruttare economicamente la protezione brevettuale, al fine di ottenere un ritorno economico per le spese di ricerca e sviluppo sostenute.

In un contesto di questo tipo si riscontrano tutti gli effetti di mercato del monopolio. In particolare, in un primo momento il Brevetto determina una tenuta dei prezzi di vendita del prodotto brevettato, in relazione al fatto che il monopolista è protetto dalla Legge e può applicare o una “politica dei prezzi”, mantenendo alti prezzi di vendita del prodotto (sarà poi la domanda ad adeguarsi a questi prezzi) o una “politica delle quantità”, attraverso un contingentamento volontario delle quantità immesse sul mercato (in questo caso sarà la domanda che sulla base della quantità richiesta stabilirà il prezzo di mercato). Solo in un secondo momento, ovvero trascorso il periodo di tutela brevettuale, la Società otterrà reali benefici dal consumo dei beni coperti da brevetto, in quanto il mercato sarà aperto alla concorrenza, i costi di produzione scenderanno e con loro i prezzi di mercato. A questo, e con particolare riferimento ai brevetti in ambito agroalimentare, occorre evidenziare che per le nuove varietà vegetali i diritti esclusivi nascenti dal brevetto durano 15 anni dalla concessione del brevetto stesso (30 anni nel caso di piante arboree). Soprattutto in ambito agroalimentare, però, è facile immaginare che dopo 15 anni quella determinata varietà sarà obsoleta, sarà superata, per cui sarà sostituita da un’altra varietà che a sua volta sarà tutelata dal brevetto per altri 15 anni! E’ facilmente intuibile che in questo modo il costitutore, mediante una attenta analisi dei tempi tecnici di introduzione di nuove cultivar, sarà  in grado di mantenere il brevetto sul seme di una determinata pianta per un tempo illimitato.

Dobbiamo essere convinti del fatto che l’introduzione di Organismi Transgenici (OT) in agricoltura è fortemente correlata, se non addirittura condizionata, dalla possibilità di brevettare il risultato della manipolazione genetica; se non ci fosse il brevetto, con ogni probabilità, non ci sarebbero nemmeno OT e oggigiorno, forse, non si parlerebbe di questo argomento.

Relativamente alla tutela brevettale delle innovazioni tecnologiche, ciò che lascia maggiormente perplessi è l’utilizzazione del brevetto in ambito agricolo, soprattutto nel caso in cui riguardi piante o animali di fondamentale importanza per l’alimentazione umana. Nella fattispecie, non stiamo parlando di una funzione fisiologica della quale ognuno di noi, volendo, potrebbe fare a meno; stiamo parlando di alimentazione, un’azione che bene o male ognuno di noi deve compiere obbligatoriamente almeno tre volte al giorno. Sono queste considerazioni che differenziano sostanzialmente i brevetti su materiale elettronico o su capi di abbigliamento, da quelli su piante ed animali ad uso alimentare, in quanto essi, per assurdo, potrebbero mettere in discussione anche la sovranità alimentare di un Paese. E di questo, ovviamente, si sono accorte le grandi multinazionali del seme, che stanno facendo di tutto per ottenere il monopolio nella produzione e nella distribuzione del seme, poiché non si tratta del solo seme, ma anche di tutto ciò che è possibile trovare a monte e a valle della produzione del cibo. In particolare, alcune domande sullo sfruttamento del brevetto esigono una risposta prima di adottare piante ed animali transgenici in agricoltura:

 - esistono delle limitazioni allo sfruttamento economico del brevetto? 

- chi decide in merito alla qualità dell’alimento?

- il detentore del brevetto potrà modificare a suo piacimento le caratteristiche intrinseche del prodotto alimentare?

- come potranno essere modificate le caratteristiche nutrizionali?

- il detentore del brevetto potrà modificare a suo piacimento il legame esistente tra qualità del prodotto e luogo di produzione?

- da un punto di vista etico, sarà tutto consentito o vi saranno delle limitazioni?

Consapevoli del fatto che l’agricoltura italiana è di fondamentale importanza per lo sviluppo sostenibile del territorio, dobbiamo chiederci che cosa potrebbe significare il "brevetto" per il settore agricolo italiano e, in particolare, quali effetti potrebbe avere per il reddito dell’agricoltore?

In primo luogo, il brevetto sulle piante e sugli animali contribuirà ad aumentare la dipendenza economica del settore agricolo nei confronti di quello industriale, in quanto l'agricoltore sarà costretto ad acquistare tutti gli anni la semente che intende coltivare o l’animale che intende allevare. Qualcuno potrebbe far rilevare che, di fatto, questo già accade per la gran parte delle sementi oggi coltivate. Vero! Nel caso degli OT, a parte la situazione di monopolio che si verrebbe a determinare, il brevetto significa qualcosa di più, in quanto l’agricoltore, oltre all’acquisto delle sementi, potrebbe essere “obbligato” ad acquistare anche la materia prima in grado di far produrre queste sementi (è il caso delle piante di soia e di mais resistenti ad uno specifico diserbante). In futuro il problema potrebbe essere amplificato dal fatto che le ditte che propongono questi nuovi organismi, per proteggersi dall’utilizzazione illecita di sementi brevettate non ibride, potrebbero inserire geni che consentono la germinazione del seme solo nel caso di contemporanea presenza di una sostanza particolare, che sarà venduta insieme alla semente. Se sarà vero poi, come ovviamente si spera, che questi nuovi organismi non avranno alcun effetto sulla salute umana e sull’ambiente, occorrerà considerare che la loro completa accettazione da parte del mercato  (presenza di una sola filiera di distribuzione, assenza di etichettatura obbligatoria dei prodotti OGM, ecc.) determinerà un forte vantaggio competitivo per le ditte sementiere, con creazione di un mercato in condizioni di monopolio o “quasi monopolio”. Si verrebbe a determinare ciò che, di fatto, è già avvenuto nei Paesi dove si registra un’accettazione incondizionata di questi nuovi alimenti: la presenza di un’unica filiera di distribuzione (per esempio, per il mais significa assenza di etichettatura e un unico prezzo di mercato), associata ad una diminuzione dei prezzi di mercato dei prodotti transgenici, ha determinato un’esplosione delle superfici coltivate con questi nuovi organismi. In pratica, cos’è accaduto? Il minor costo di produzione delle coltivazioni transgeniche ha determinato un abbassamento dei prezzi di mercato dei relativi prodotti, siano essi transgenici e non. Pertanto, anche gli agricoltori che in un primo momento non volevano coltivare transgenico sono stati costretti a farlo dal mercato, se volevano mantenere un certo grado di redditività dall’attività agricola.

Il brevetto su una pianta potrebbe consentire ai Paesi che ne detengono la proprietà di attuare le coltivazioni in località prossime ai mercati di collocamento, rendendo così competitive produzioni che attualmente sono penalizzate dagli elevati costi di trasporto/commercializzazione, evitando nel contempo le problematiche ambientali che queste coltivazioni potrebbero comportare se fossero attuate sul loro territorio. Per alcune produzioni questo già avviene. Cos’è accaduto? Alcuni Paesi, vuoi perché non hanno condizioni pedoclimatiche favorevoli, vuoi perché non sarebbero concorrenziali sul nostro mercato a causa degli elevati costi di trasporto, stanno producendo sul nostro territorio su base contrattuale alcuni prodotti dei quali detengono il brevetto; tali prodotti al momento della raccolta diverranno di loro proprietà. Ecco che in questo modo qualsiasi Paese, anche senza alcuna vocazionalità produttiva, e, al limite, senza disponibilità di territorio agricolo, di strutture e di competenze agricole specifiche, potrebbe divenire un protagonista nel mercato del cibo; la produzione sarebbe attuata nel nostro Paese per conto terzi, ovvero per conto di colui che ha il brevetto del materiale di propagazione, che si approprierà del valore aggiunto di questa coltivazione.

Da un punto di vista della sfruttabilità economica, il proprietario del brevetto potrebbe limitarsi a richiedere il pagamento di una royalty per ogni chilogrammo di semente venduta, lasciando libertà di scelta all’agricoltore in merito alle diverse opportunità di vendita sul mercato del prodotto ottenuto. Tale somma di denaro potrebbe essere vista come il giusto compenso per colui che ha investito in ricerca e sviluppo ed è riuscito ad ottenere una pianta caratterizzata da un surplus di utilità per l’agricoltore e per il consumatore. Occorre comunque rilevare che, soprattutto nel caso in cui il mercato della semente  sia in condizioni di monopolio, a differenza di quanto precedentemente affermato, l’imposizione di una royalty sulla semente potrebbe limitare il processo di riduzione dei costi di produzione, in quanto il monopolista, con ogni probabilità, sarà portato ad aumentare il prezzo di vendita della semente di un’aliquota  prossima al maggior margine che essa sarà in grado di determinare al produttore agricolo, con annullamento dei potenziali vantaggi economici per il coltivatore e, conseguentemente, per il consumatore (in pratica se la semente transgenica determina una diminuzione dei costi di 100 €/ha, il monopolista della semente potrebbe far pagare la semente 99 € in più ed accaparrarsi tutto il vantaggio). Pertanto, il brevetto potrebbe impedire l’attesa riduzione dei prezzi di mercato dei prodotti alimentari, annullando così anche l’auspicato ampliamento delle possibilità di acquisto di cibo da parte delle classi sociali economicamente più deboli (quelle classi sociali che in molti Paesi soffrono la fame perché non dispongono del reddito necessario per acquistare il cibo).
Rispetto alla situazione precedente, il detentore del brevetto potrebbe andare oltre. In particolare, oltre a richiedere il pagamento di una royalty per ogni chilogrammo di semente venduta, potrebbe richiedere una royalty anche per ogni chilogrammo di prodotto ottenuto da quella stessa semente. Il brevetto in questo caso porterebbe grandi vantaggi a colui che ne detiene la proprietà  e trasformerebbe l’agricoltore in un “dipendente” della stessa ditta proprietaria del seme, in quanto più l’agricoltore produce e più questa ditta guadagna.

Il detentore del brevetto potrebbe non accontentarsi  delle due precedenti strategie e potrebbe riservarsi anche la proprietà della produzione finale, attuando la produzione per conto proprio, sulla base di un rapporto contrattuale con l’agricoltore.  Trattasi di modalità di produzione che già avvengono in agricoltura (contratti di soccida) e che sarebbero amplificate dalla presenza di un forte ricorso al brevetto. In particolare, colui che detiene il brevetto non venderebbe la semente sul mercato e potrebbe sottoscrivere con l’agricoltore un “contratto di coltivazione”, nel quale sono indicate le epoche di semina, le modalità di coltivazione e quant’altro serve per portare a termine il processo produttivo, riservandosi la proprietà del prodotto una volta giunto a maturazione. Ovviamente per l’attività prestata l’agricoltore riceverà un compenso, che sarà commisurato all’impegno richiesto in termini di apporto di fattori della produzione (terra, lavoro, capitale). In una situazione come quella evidenziata, l’agricoltore non avrebbe alcun potere contrattuale, per cui la presenza di un unico  detentore della semente, associata al fatto che i coltivatori non sono in grado di manifestare un’unica controparte, li metterebbe tra loro in concorrenza per l’acquisizione della commessa di coltivazione.  E’ facilmente intuibile che in questa situazione si determinerebbe una tendenza verso il basso del compenso relativo allo svolgimento dell’attività agricola, in quanto, nel peggiore dei casi per la nostra agricoltura, colui che possiede il brevetto potrebbe trovare in altri Paesi migliori condizioni contrattuali per attuare il processo produttivo agricolo.

Ma il grande salto di qualità per le ditte che detengono il brevetto, potrà essere ottenuto allorquando la manipolazione genetica sulle piante consentirà di sfruttare l’”apomissia”, ovvero la possibilità di originare piante identiche alla madre anche nel caso di riproduzione sessuata. In particolare, lo sfruttamento dell’”apomissia” consentirà alle ditte sementiere  di  evitare la produzione e la successiva commercializzazione del seme, mantenendo comunque la possibilità di ricavare le royalty dal seme e dalla produzione di cibo; il seme una volta distribuito sarà annualmente prodotto autonomamente dall’azienda agricola, la quale, mediante un apposito contratto di sfruttamento della semente, sarà tenuta a pagare le royalty al detentore del brevetto, ogni qual volta utilizzerà le sementi apomittiche per una nuova semina. L’”apomissia” semplificherà notevolmente la vita al detentore del brevetto, che dovrà attuare un’unica operazione: distribuire una sola volta la semente e incassare le royalty ogni volta che quella pianta viene seminata ed il cibo viene prodotto. Qualcuno afferma che questo scenario è irrealizzabile, in quanto alle ditte sementiere non converrebbe mettere sul mercato una semente apomittica, poiché lieviterebbero le frodi e occorrerebbe mettere in atto un sistema di vigilanza decisamente costoso. Purtroppo queste affermazioni si scontrano con la realtà, in quanto le grandi multinazionali del seme stanno cercando di evitare questo inconveniente mediante la creazione di una “Apomissia inducibile chimicamente”. In pratica, che cosa accade? Accade che la semente apomittica germina ed origina una pianta identica alla madre solo in presenza di una sostanza chimica che sarà venduta a parte. Da rilevare che tutto questo non è fantascienza, in quanto il brevetto sull’”Apomissia inducibile” è già stato richiesto 

Gli esempi precedenti, costituiscono per il nostro Paese un vantaggio o uno svantaggio? Si adattano a tutte le coltivazioni o solo a quelle brevettate? E il consumatore otterrà dei vantaggi o degli svantaggi? Occorre rispondere a queste domande prima di effettuare delle scelte che potrebbero rivelarsi controproducenti per il nostro Paese.
A conclusione di quanto precedentemente esposto, è possibile affermare che il brevetto su piante ed animali transgenici sarà in grado di sconvolgere il modo di produrre in agricoltura. Lo scenario sarà quello di un settore in cui l’agricoltore avrà perso ogni potere decisionale; egli diverrà semplicemente un fornitore di mezzi di produzione a favore di colui che detiene il brevetto di quel prodotto, che diverrà anche proprietario del cibo. Cibo che potrà essere ottenuto in ogni parte del Globo, non importa con quale materiale genetico, non importa con quale tecnica di produzione, non importa con quali tutele sociali. Tutto questo comporterà la realizzazione di un grande mercato mondiale dei prodotti alimentari, un mercato dove l’imperativo sarà produrre di tutto ovunque, ai più bassi costi possibili, per poi vendere il prodotto laddove ci sono i mezzi economici per acquistarlo. 

Link utili:

http://www.agriregionieuropa.univpm.it/dettart.php?id_articolo=72

martedì 9 aprile 2013

Mozione dell’On. Susanna Cenni sugli OGM in ambito agroalimentare



MOZIONE

La Camera

premesso che,

l’agroalimentare è uno dei settori che resiste meglio alla crisi economica in atto e, in particolare,
l’agricoltura italiana registra risultati migliori dell’industria e dell’economia nel complesso sia in
termini di contributo alla crescita economica (Pil) che di occupazione; ancora meglio si posiziona
l’industria alimentare che presenta indicatori in termini di valore aggiunto che sono costantemente
migliori della media dell’industria in generale; l'export si conferma il motore dell'agroalimentare
italiano, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4% sul 2011), e un
avvio di 2013 molto promettente (Ismea su dati Istat);

le performance attuali del settore dipendono sia da fattori generali del sistema Paese, che specifici
del settore caratterizzati da un enorme sforzo dei produttori italiani a tutela della qualità e della
tracciabilità della produzione agroalimentare nazionale che si contrappone ad una visione che a
livello internazionale tende a considerare la produzione agricola solo una commodity che, al pari del
petrolio, può determinare ingenti fortune finanziarie; in tale ultimo contesto, l’attività lobbistica
delle multinazionali che vogliono trarre profitto dal transgenico, a prescindere dalle conseguenze
che derivano dalla loro coltivazione e commercializzazione, ha spesso il sopravvento nelle decisioni
in materia di alimentazione ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi
detenuti;

ad oggi i nodi da sciogliere connessi al transgenico sono ancora molti: oltre ai rischi per la salute e
l’economia del nostro Paese, che si contraddistingue per i suoi tradizionali prodotti tipici e di
qualità, resta irrisolto il problema dell’impossibilità di coesistenza tra le colture Ogm con quelle
convenzionali, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione che
determina un inquinamento dell’ambiente irreversibile;

una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità e
significative resistenze all’impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura richiamando
l’attenzione sull’importanza che sia la comunità dei cittadini a prendere le decisioni di merito
sull’uso di tali tecnologie, in considerazione delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e
ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione;
una eventuale introduzione di colture transgeniche avrebbe inoltre come diretta conseguenza la
messa in discussione di uno dei principali fattori di creazione di valore aggiunto del Paese e, cioè, il
nostro modello agricolo, fondato su produzioni di qualità apprezzate sul mercato interno ma, anche
di più, all’estero che danno vita a quel Made in Italy così apprezzato da essere costantemente
minacciato da imitazioni e falsificazioni;

in realtà la maggioranza dei cittadini italiani ed europei ha già manifestato la propria volontà di non
autorizzare la coltivazione di sementi transgeniche sui propri territori al fine di tutelarne l’integrità
per le future generazioni;

la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale, in punto sia
di “immissione in commercio” di OGM, sia di “emissione deliberata” di OGM nell'ambiente e
prevede, per i singoli stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come
libero da Ogm attraverso l'applicazione del principio di “salvaguardia”;

la direttiva n. 2001/18/CE sull’emissione deliberata di organismi geneticamente modificati è stata
recepita in Italia con il decreto legislativo n. 224/2003. Con tale atto il Ministero dell’Ambiente è
stato indicato quale autorità competente a livello nazionale con il compito di coordinare l’attività
amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e le comunicazioni istituzionali
con la Commissione Europea, con il supporto della Commissione Interministeriale di Valutazione.
il decreto 224/2003, all’articolo 25 recepisce quanto stabilito dall’articolo 23 della direttiva n.
2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta “clausola di salvaguardia” mediante la quale le autorità
nazionali preposte – per l’Italia i Ministeri dell’ambiente, delle politiche agricole e della salute -
possono bloccare l’immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso.
Con l’attivazione di tale clausola si dà luogo ad una serie di consultazioni fra la Commissione
europea, le autorità nazionali, il produttore, gli organismi che sono intervenuti nella procedura di
valutazione della conformità e tutte le parti interessate. La normativa comunitaria consente
comunque alla Commissione europea di annullare il ricorso alla clausola di salvaguardia in caso di
evidenze scientifiche contrarie;

la Direttiva 2001/18/CE costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta
coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Infatti, con l’articolo 22 è previsto
che gli OGM autorizzati in conformità alla direttiva devono poter circolare liberamente all’interno
dell’Unione Europea, mentre con l’articolo 26 bis (introdotto dal Reg. 1829/2003), si dispone che
«gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di
OGM in altri prodotti». Questa disposizione consente quindi agli stati membri di poter introdurre,
nel proprio ordinamento, norme specifiche per regolare la coesistenza;

con il decreto legge n. 279/2004, convertito con la legge n. 5/2005, erano state previste disposizioni
per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte
costituzionale con la sentenza n. 116/2006 ha dichiarato la parziale incostituzionalità del D-L
279/2004 nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura.
L’intervento della Corte ha causato un vuoto normativo molto dannoso poiché sono stati mantenuti
in vigore sia il principio della libertà di scelta dell’imprenditore sia il principio della coesistenza,
mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che
ogni norma nazionale o regionale che vieta l’utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al
principio di coesistenza stabilito a livello europeo;

tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di Giustizia Europea
dell’ottobre 2012 (sul caso di specie Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle Politiche
agricole alimentari e forestali) con cui la Corte si è pronunciata in via pregiudiziale
sull'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE. Per la Corte uno Stato membro,
ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati, solo
nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate. Viceversa uno Stato membro
non può, nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale
di organismi geneticamente modificati in altre colture, vietare in via generale la coltivazione di
prodotti OGM autorizzati ai sensi della normativa dell'Unione e iscritti nel catalogo comune;
fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica
della direttiva 2001/18/CE - attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee - che
consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni OGM sulla base di più ampi
criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell’ambiente; più in generale e in ambito
comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante
dall’uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in
merito all’ambiente e alla salute;

al riguardo si evidenzia l’intenzione del commissario europeo alla salute Tonio Borg di rilanciare il
negoziato Ue sugli Ogm rendendo gli stati membri maggiormente autonomi sulle linee guida da
autorizzare a livello nazionale;
anche le Regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all’introduzione di
colture transgeniche in Italia sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento
europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per
gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di Ogm sul loro territorio sia il più possibile
adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;

a tal proposito la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un ordine del
giorno con cui impegna il “Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, nelle more
dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili
divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, di procedere con l'esercizio della
clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio del 12 marzo 2001” (..) e “tenuto conto delle competenze in materia riconosciute
dalla Costituzione impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare
al Ministro dell'ambiente e in occasione delle riunioni in sede comunitaria la posizione unanime
delle Regioni e delle Province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della
coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale;”

il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale, in assenza di una chiara posizione del
Governo con l’adozione della clausola di salvaguardia, potrebbe essere imminente se, come si
apprende da alcune notizie stampa, fosse vero che “nei silos di stoccaggio della Lombardia, del
Veneto, dell’Emilia e del Friuli ci sono 52 mila sacchi di mais transgenico autorizzato dalla UE
MON810, sufficienti a coltivare 32 mila ettari, pronti per le semine di primavera”;

la tutela e la valorizzazione della qualità del nostro sistema agroalimentare è un obiettivo di
rilevanza strategica che trova attuazione attraverso una concreta tutela istituzionale del comparto
primario dall’inquinamento transgenico ed un efficace sistema di tracciabilità, di riconoscibilità e di
etichettatura dei prodotti agroalimentari;

in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture
transgeniche che potrebbe verificarsi a causa di una normativa nazionale e comunitaria
contraddittoria e incompleta lo stesso Ministro delle politiche agricole, lo scorso 28 gennaio, ha
chiesto formalmente al Ministro dell’Ambiente, in qualità di Autorità nazionale in materia, di
“guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di Ogm
in Italia”; ad oggi otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia,
Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di Ogm
autorizzate nei loro territori;

in realtà l’ultimo Rapporto del Servizio Internazionale per l’acquisizione delle applicazioni
biotecnologiche per l’agricoltura (ISAA) sullo Status globale della commercializzazione di colture
biotech/Ogm dello scorso febbraio, ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque paesi
(Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare Ogm, con 129.000 ettari di
mais transgenico piantati nel 2012, una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria
che conferma l’opposizione in Europa alla diffusione del transgenico in agricoltura;
al fine di difendere le produzioni nazionali da possibili contaminazioni da colture geneticamente
modificate e collocarne i prodotti ad un livello di maggiore interesse e competitività nel panorama
economico mondiale;
che in data 29 marzo il Ministro della Salute Balduzzi ha inoltrato alla Direzione  generale Salute e Consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia e nel resto d'Europa di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal ministro del MIPAF Catania a norma dell'art.34 del regolamento(CE)1829/2003 ;


impegna il Governo:

ad adottare la clausola di salvaguardia, di cui all’articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003,
di recepimento della direttiva n. 2001/18/CE, al fine di evitare ogni forma di coltivazione in Italia di
Ogm autorizzati a livello europeo e di tutelare la sicurezza del modello economico e sociale di
sviluppo dell’agroalimentare italiano;

a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avviata in gran parte del Paese, l'incremento delle attività di controllo per potenziare, d'intesa con le Regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri in corso di distribuzione ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate.





  1. Cenni
  2. Rosato Ettore
  3. Braga Chiara
  4. Gnecchi
  5. Benamati
  6. Mongiello
  7. Realacci
  8. Lenzi
  9. Arlotti
  10. Magorno
  11. Fanucci
  12. Lodolini
  13. Miotto
  14. Manfredi
  15. Rubinato
  16. Murer
  17. Moscatt Tonino
  18. Antezza Maria
  19. D’Incecco
  20. Petrini
  21. Fossati
  22. Marantelli
  23. Marchi
  24. Bianchi
  25. Mariani
  26. Fregolent
  27. Dallai
  28. Bratti