Angelo Serra S.I.
Padre Angelo SERRA è Professore di Genetica Umana presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia “Agostino Gemelli” dell'Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma), in questo articolo intende offrire alcune essenziali informazioni su vari aspetti di questo nuovo campo di ricerche e applicazioni e le nuove responsabilità della scienza, della tecnologia e dell’intera società in questo periodo che è stato definito della «seconda creazione».
In questo scritto di Padre Angelo Serra c'è una affermazione ("l'industria per tutelarsi, oltre il pagamento dei diritti sui semi di varietà vegetali brevettate, si assicura che le sementi divengano sterili") che non deve essere interpretata come un errore, in quanto la tecnologia "Terminator" non è ancora stata applicata dall'industria sementiera, ma deve essere intesa come potenziale possibilità applicativa futura.
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Gli
ultimi 25 anni del Novecento hanno visto un rapido e crescente sviluppo di
nuove tecnologie in campo sia vegetale sia animale. Fini essenziali sono
sempre stati il miglioramento della qualità dei prodotti e la preparazione di
«bio reattori» capaci di produrre molecole di alto valore nutritivo e
terapeutico. Furono denominate «biotecnologie» e adottarono come nuovo
strumento di lavoro l'«ingegneria genetica», la quale implica la manipolazione
diretta del DNA1.
Questo nuovo, ma significativo, ibrido verbale e concettuale fu introdotto nel
1965 da un noto genetista, R D. Hotchkiss. Apparve nel titolo di un suo scritto
premonitore dal titolo «Presagi per una ingegneria genetica», dove «presagi»
significa «previsione di eventi di grande importanza o di serie calamità».
L'Autore aveva previsto, certamente, gli uni e le altre. Ma in questo scritto
richiamava l'attenzione soprattutto, e con un'evidente preoccupazione, su
rischiose conseguenze che avrebbero potuto seguire a interventi
sull'informazione genetica - o genoma - presente in ogni essere vivente, e concludeva:
«Coloro che hanno la responsabilità d'insegnare e scrivere di scienza
compiranno il loro storico dovere aiutando il nostro pubblico a riconoscere e
valutare queste possibili conseguenze, per evitarne gli abusi. Poiché
certamente questi si stanno facendo”.
Stava
nascendo in realtà, proprio in quegli anni, una nuova tecnologia, in cui
convergevano varie discipline: genetisti, biologi molecolari, biologi
cellulari, embriologi, biochimici, medici, veterinari, botanici, esperti in
scienze dell'agricoltura, fisici, ingegneri e informatici. Tecnologia a cui fu
attribuita proprio la denominazione di «ingegneria genetica». W. S. Reznikoff,
nella sua introduzione al primo Simposio su Progress in Recombinant DNA
Technology, tenuto nel 1990, la definiva «la tecnologia con cui l'uomo sceglie
e produce mutanti al fine di utilizzare gli organismi risultanti a
suo beneficio”3.
Anche se - forse - troppo riduttiva, questa definizione ne mostra
chiaramente il fine: il bene dell'uomo.
Siamo,
oggi, in un periodo di sviluppo esponenziale di queste biotecnologie e, quindi,
di continuo cambiamento. Se ne toccheranno perciò gli aspetti più rilevanti ed
essenziali in una prospettiva aperta, ma su direttrici indicate da una mente
umana che cerca la verità.
Questo offrirà, da una parte, la possibilità di ammirare almeno alcuni
traguardi con esse raggiunti o in prospettiva e, dall' altra, la possibilità di
comprendere ed esaminare i non pochi interrogativi, sollevati dalle stesse, a
livello sia sociale sia etico, al fine di valutare le nuove responsabilità
della scienza, della tecnologia e dell'intera società. E’ innanzitutto da
affermare con tutta chiarezza che gli sviluppi e le conquiste dell'ingegneria
genetica sono stati, sono e saranno straordinari e meravigliosi: espressione,
da una parte, della capacità della mente umana di scoprire i misteri della
natura e svelarne i segreti e, dall'altra, dell'industriosa abilità di
plasmarla fino a sentirsene un secondo creatore. Una recentissima espressione
di questa convinzione è il titolo: La seconda creazione. L’era del
controllo biologico4 dato al volume in cui gli stessi scienziati
che avevano clonato la pecora Dolly hanno tracciato la storia di quell’avventura.
Di questa «seconda creazione»fanno parte le nuove biotecnologie in campo
vegetale e animale.
Le
nuove biotecnologie in campo vegetale
I
successi. Nel 1998, in uno stimolante
editoriale della rivista scientifica statunitense Science, P. H.
Abelson tracciava una visione comprensiva e prospettica delle biotecnologie in
campo vegetale con espressioni incisive e, nello stesso tempo, cariche di
entusiasmo: «Il mondo otterrà la maggior parte del cibo, dei carburanti, delle
fibre, dei prodotti nutritivi chimici e dei prodotti farmaceutici da vegetali e
piante geneticamente modificate. [...] Le maggiori industrie stanno spendendo
annualmente miliardi di dollari nell'ingegneria genetica. [...] Semi geneticamente
modificati si stanno producendo su scala sempre più ampia. [...] L'enfasi e lo
sviluppo della ricerca genomica industriale sta ora passando ad altre aree,
tra cui il miglioramento dei valori nutritivi delle proteine vegetali e la
natura e il contenuto dei carboidrati»5.
Molti
traguardi erano stati raggiunti attraverso i processi della transgenizzazione,
ossia mediante l'inserimento di geni desiderati in embrioni di vegetali6.
Processi facilitati da una vasta gamma di forme di embriogenesi vegetale,
capaci di dare inizio allo sviluppo di una pianta senza passare attraverso il
processo della fecondazione, e da due nuove tecniche di trasferimento
dell'informazione genetica: l'ibridazione somatica e l'ingegneria genetica7.
Tecniche che diventeranno sempre più fini e complesse quando si potranno
isolare geni singoli di cui si conosce la funzione, o assemblare complessi di
geni, provenienti da altre specie appartenenti anche a regni diversi, atti a
regolare specifiche attività. Si sta già lavorando alla preparazione di piante
produttrici di semi con caratteristici contenuti di carboidrati, proteine,
lipidi e micronutrienti di più elevato valore nutritivo o industriale8.
Anzi, da poco tempo, con il progresso della mappatura genica e della
sequenziazione del genoma anche nei vegetali e con gli sviluppi della genomica
funzionale, si stanno aprendo nuove vie, più promettenti e, apparentemente
almeno, più sicure, che permetteranno l'utilizzazione dei geni di una data
pianta per modificare la regolazione di altri geni e funzioni complesse della
stessa9.
Molti
sono ormai i prodotti transgenici commercializzati o in via di
commercializzazione, anche verso il mondo sottosviluppatol0, in
particolare: frumento, mais, patata, pomodoro, riso, soia. Una buona parte
sono piante modificate per renderle più resistenti ai parassiti e agli insetti,
più tolleranti agli erbicidi e a variazioni di temperatura e, quindi, con rese
di prodotto più elevate e di miglior qualità. Inoltre si hanno già i primi
risultati di piante di migliorato valore nutritivo11; e si sta lavorando
molto intensamente alla produzione di proteine umane di importanza
terapeutica, quali emoglobina, enzimi digestivi, proteine seriche
anticoagulanti, antigeni per vaccini orali 12.
Le perplessità. Allo stato attuale, i risultati raggiunti e le potenzialità
e le attese di queste nuove tecnologie in campo vegetale sono notevoli. Ma non
sono piccole le perplessità sulle conseguenze del loro impiego e sui prodotti
ottenuti. Esse derivano da ragionevoli timori di rischi, collegati all'uso dei
vegetali transgenici e alla loro stessa produzione, o peggio ancora da
possibili - e talvolta anche evidenti - abusi.
Una prima
perplessità riguarda la sicurezza
dei nuovi alimenti, soprattutto da un punto di vista nutrizionale e
salutistico. Negli Stati"Uniti, dove questi prodotti sono entrati nel
mercato dal 1993 e al 1998 erano già saliti a oltre trenta, le regolamentazioni
esistenti che ne controllano la sicurezza sono molto severe: le piante ingegnerizzate
e i cibi contenenti prodotti da queste derivati non possono essere
commercializzati se non sono stati sottoposti al controllo di speciali agenzie:
la USDA (United State Department Of Agricolture), la FDA (Food and Drug
Administration) e la EPA (Environmental Protective Agenry). In un
editoriale di Science del luglio 1999 R N. Beachy13, presidente
del Donald Danlorth Plant Science Center in St. Louis, rilevava che la
fiducia ottenuta dal pubblico negli Stati Uniti era stata la conseguenza di un
lavoro di collaborazione in discussioni aperte tra scienziati, comitati normativi,
coltivatori e ambientalisti, con il risultato che nel 1999 gli ettari di
terreno per coltura di vegetali ingegnerizzati erano già saliti al 40% per il
grano, al 45% per i semi di soia e al 50% per il cotone. Sottolineata, poi, la
pressione fortemente contraria sviluppatasi soprattutto in Europa - la quale,
d'altra parte, aveva collaborato in vari piani di ricerca e produzione di
organismi geneticamente modificati (OGM) -, esortava gli scienziati europei a
usare i mezzi massmediali per guadagnare la fiducia del pubblico.
Tuttavia
le resistenze all'introduzione del loro uso – soprattutto in Europa - sono
ancora notevoli. Le ragioni di ciò sono state ampiamente analizzate con
rigorose metodologie, sia scientifiche14, sia psicosociologiche15.
Quest'ultima, in particolare, svolta da un gruppo di studiosi dell'Istituto di
Metodologia e dal Dipartimento di Psicologia Sociale della London School of Economics
intendeva rispondere alla domanda: <<Perché la gente negli Stati
Uniti apparentemente non è turbata da una tecnologia che pone molte difficoltà
agli europei?». E concludevano che «diversi fattori sono implicati e
intercorrelati [...i quali] riflettono più profonde sensibilità culturali non
soltanto rispetto ai cibi e alle nuove tecnologie degli alimenti, ma anche
rispetto all'agricoltura e all'ambiente»16.
In
realtà, dalla letteratura emergono tre settori principali nei quali possibili
rischi non sono ancora sotto pieno controllo17, nonostante le affermazioni delle
multinazionali interessate:
1) aumento di allergogeni, i quali,
secondo un avvertimento del Comitato scientifico del New England Journal of
Medicine, potrebbero «essere trasferiti da una pianta all'altra grazie alla
manipolazione transgenica»18, come di fatto è accaduto nel caso di
una proteina della nocciola brasiliana trasferita nella soia;
2) resistenza agli antibiotici19
che potrebbe essere causata dall'integrazione, a fine selettivo, di geni di
resistenza agli antibiotici nei prodotti transgenici, eventualmente seguita
dal loro passaggio alla flora batterica del tubo digerente o della fitosfera
con il conseguente aumento di resistenza a terapie antibiotiche; e
3) rischi ecologici, che appaiono i più
preoccupanti20: così, ad esempio, se, da una parte, l'inserimento
del gene che codifica per una proteina del Bacillus thuringensis induce
la produzione di una tossina che agisce quale agente pesticida contro insetti
che danneggiano i raccolti, dall'altra, essa risulta nociva anche a
popolazioni di insetti benefici, dei quali vengono distrutte le larve, e di
uccelli predatori di insetti dannosi, alterando così un importante equilibrio
ecologico.
Sulla
base di queste osservazioni era, perciò, stato chiesto nel 1998 al Governo
inglese di introdurre una moratoria della licenza di commercializzazione di
prodotti transgenici fino a quando non fosse stato chiarito meglio l'impatto
ambientale della produzione di organismi geneticamente modificati. B. Johnson,
consigliere del gruppo conservatore English Nature per gli OGM, sulla
base di motivate considerazioni ne dava la ragione: <<Il nostro parere è
che noi abbiamo bisogno di più tempo per fare ulteriore ricerca sul più vasto
impatto dei raccolti geneticamente modificati”2l. Esigenza confermata da un
accuratissimo lavoro pubblicato nel dicembre 2000 sui rischi ecologici e sui
benefici di piante geneticamente ingegnerizzate, nel quale L. L. Wolfenbarger
e P. R. Phifer affermano: «Una revisione della letteratura esistente rivela che
mancano esperimenti chiave sia sui rischi sia sui benefici ambientali. La
complessità dei sistemi ecologici presenta considerevoli difficoltà per tali
esperimenti e inevitabili incertezze. Complessivamente gli studi esistenti
indicano che questi possono variare nello spazio, nel tempo e con il carattere
genetico modificato»22. Una forte istanza etica si è imposta
di fronte a questa non superficiale perplessità relativa alla sicurezza dei
prodotti e cibi transgenici. Pur dovendo deplorare comportamenti talvolta
irragionevoli dei gruppi di resistenza23, è apparsa doverosa
1'esigenza di una valutazione rigorosa e di una corretta gestione del rischio24.
Per
la «valutazione del rischio», in Europa varie norme sono state emanate, e più
volte modificate, per le dovute rilevazioni in vista della notificazione dei
prodotti25,
e varie tecniche sono state messe a punto per definire la presenza di transgeni
nei raccolti e nei cibi26. Alla fine di dicembre 1999, l'Unione Europea adottava
ufficialmente gli emendamenti alla prima Direttiva 90/220/EEC, elaborati dal
Consiglio dei ministri dell' Ambiente. In particolare, la definizione del
rischio non comprenderà soltanto gli effetti diretti e immediati, ma anche gli
effetti a lungo termine che possono essere stabiliti scientificamente.
Estensione richiesta dal «principio di precauzione», che implica maggiore
rigore e maggiori restrizioni per controbilanciare le incertezze scientifiche
nella determinazione dei rischi e la complessità del sistema, e tende perciò
alla minimizzazione del rischio, espressione del rispetto per la persona umana.
Principio a cui sembra ispirarsi anche l'lnternational Safety Protocol detto
Cartagena Protocol, approvato nel gennaio 200027.
Alla
valutazione del rischio si deve accompagnare la «corretta gestione del
rischio», che nell'attuale situazione di dubbio e di resistenza, oltre a una
corretta e aggiornata informazione, esige l'obbligatorietà della etichettatura.
Questa, sottolineano E. Sgreccia e V. Mele, «non soltanto ci sembra in se
stessa eticamente corretta nei confronti del consumatore, che avrebbe il
diritto di conoscere adeguatamente la composizione di tutti gli alimenti geneticamente
manipolati e non, ma risulta anche importante in determinate circostanze per
la tutela della salute”28.
Non
mancarono resistenze a questo imperativo morale29 di un'etica responsabile, opposte
soprattutto dagli Stati Uniti30. Tuttavia ci sono segnali di
apertura. A. C. Halsberger, ricordando che recentemente 49 membri del
Congresso statunitense inviarono una lettera alla FDA chiedendo
l'etichettatura obbligatoria dei cibi geneticamente ingegnerizzati - richiesta
fatta anche dal 70% di quanti avevano risposto a un sondaggio - conclude:
«Questa significativa opposizione pubblica all'uso di OGM in molte regioni del
mondo indica chiaramente che soltanto tenendo presenti le preoccupazioni
ambientali e le richieste dei consumatori e con una maggiore attenzione
soprattutto al monitoraggio dei rischi e ad un'appropriata etichettatura, sarà
possibile per l'industria introdurre gli OGM nel mercato mondiale senza
significativa resistenza”3l.
Una seconda
perplessità riguarda la riduzione
della biodiversità. Sono impressionanti alcune cifre, tutte
documentate, riportate dall' economista statunitense J. Rifkin: «L'erosione
genetica è già a uno stadio avanzato nella maggior parte dei Paesi. Il raccolto
di soia degli Stati Uniti, pari al 75% della soia mondiale, è una monocoltura
che può essere ricondotta a sole 6 piante importate dalla Cina, [...] e 10
varietà di frumento rappresentano la maggioranza delle messi, mentre solamente
6 varietà di granoturco costituiscono più del 71 % dei raccolti annuali. In
India i contadini, ancora 50 anni or sono, facevano crescere più di 30.000
varietà tradizionali di riso; oggi 10 varietà moderne producono più del 75%
del riso coltivato in quel Paese»32.
È
difficile prevedere dove potrà condurre questa riduzione molto spinta della
biodiversità. Si tratta di un dato che sembra andare in senso opposto ai
processi evolutivi osservati nella natura libera; interessa, tuttavia, un
numero relativamente molto piccolo di specie. Una recente nota sul declino
della biodiversità nelle regioni agricole della Gran Bretagna in seguito
all'introduzione commerciale di raccolti geneticamente modificati per la
tolleranza agli erbicidi (GMHT), commentando un modello di studio di tale
problema elaborato da A. R. Watkinson e dai suoi collaboratori, conclude
ponendosi la domanda: «I prodotti GMHT sono buoni o cattivi per la vita che si
sviluppa in ambiente naturale (wildlife)?». Risponde: «È semplicemente
troppo presto per dirlo. Il modello di Watkinson e dei suoi collaboratori
solleva domande scientifiche importanti a cui possono rispondere soltanto delle
sperimentazioni. [...] L'analisi di Watkinson dimostra quanto vitali saranno
queste valutazioni, per rivelare gli effetti complessivi della coltivazione di
prodotti GMHT sulla vita naturale inglese>33. L'istanza etica minima,
sotto questo aspetto, è che siano tenute in attenta e attiva osservazione e
considerazione le eventuali conseguenze che si potrebbero manifestare nell'
ampia fascia di vita naturale - sia vegetale sia animale - in seguito all’introduzione
di più o meno ampie zone di colture transgeniche, al fine di prevenire
eventuali effetti che potrebbero dimostrarsi seriamente pericolosi o dannosi
all' ambiente in generale, con le eventuali ripercussioni particolarmente
sull'uomo. E la grande responsabilità della scienza e della tecnologia, che
non può essere trascurata in vista soprattutto delle future generazioni.
Una terza
perplessità riguarda le ripercussioni
sociali, soprattutto a due livelli: economico e di giustizia
distributiva. Sono i due aspetti, forse i più seri e drammatici, a cui non è
possibile qui che accennare ricordando soltanto due dati. Il primo: “[L]'81 %
dei 29 miliardi di dollari del mercato mondiale agrochimico e il 37% dei 15
miliardi di dollari annuali del mercato globale delle sementi è controllato da
dieci industrie agrochimiche [...]. La Novartis, nata dalla fusione tra la
Sandoz e l'agrochimica Ciba-Geigy, è l'industria agro chimica più grande del
mondo, la seconda di sementi, la terza farmaceutica e la quarta di medicina
veterinaria”34. Il secondo: l'industria per tutelarsi, oltre il
pagamento dei diritti sui semi di varietà vegetali brevettate, si assicura che
le sementi divengano sterili. Sono, evidentemente, strumenti per estendere il
monopolio planetario, paurose concentrazioni di beni che mettono a rischio la
sopravvivenza delle popolazioni più povere, e completano il quadro dei nuovi e
seri problemi di etica sociale che si stanno aprendo con lo sviluppo delle
biotecnologie anche soltanto nel campo vegetale. L’istanza etica che,
di fatto, si presenta come la più urgente e la più grave, ma anche la più
difficile, è la ricerca di vie strategiche per un equo livellamento economico
che favorisca il più povero, e una produzione e distribuzione meno accentrata
dei nuovi prodotti, capaci di favorire la nutrizione e la salute nelle zone
più depresse.
In
conclusione, per quanto riguarda il campo delle biotecnologie vegetali, ottimo
è il fine, straordinari sono i mezzi offerti dall'ingegneria genetica per
raggiungerlo, promettenti sono i risultati; ma meritano particolare
attenzione le conseguenze, già presenti e prevedibili, al fine di trovare,
attraverso una serena e accurata riflessione etica - capace di farsi sentire a
livello non solo di cultura ma anche di politica -, le vie affinché tutto il
progresso di questa «seconda creazione» nel campo vegetale risulti, almeno
tendenzialmente, soltanto in funzione del vero bene di ogni singolo uomo e
dell'intera umanità.
Le
nuove biotecnologie in campo animale
I successi. Come emerge dalle attuali direttive di ricerca35,
le nuove biotecnologie in campo animale mirano soprattutto alle seguenti finalità:
miglioramento della qualità e quantità dei prodotti animali alimentari, carne
e latte soprattutto; aumento di resistenza alle malattie; produzione di
proteine di elevato interesse farmacologico in campo umano; preparazione di
modelli sperimentali per lo studio di malattie genetiche umane e loro terapia;
modulazione immunologica di organi animali per trapianto; ricerca sull'attività
specifica di singoli geni e di complessi genici, per lo sviluppo di una
genomica funzionale che permetta di creare le preferibili condizioni genetiche
per i miglioramenti produttivi desiderati, senza mettere a rischio l'animale;
e produzione di animali pregiati per particolari caratteristiche. Le tecnologie
utilizzate sono principalmente due: 1) la transduzione genica mediante
microiniezione in oociti fertilizzati del DNA portatore dell'informazione
genetica desiderata, o mediante adatti vettori in tessuti o organi36;
e 2) la clonazione37.
È
ancora troppo presto per valutare la portata e i vantaggi di queste nuove vie,
aperte da una scienza in ascesa esponenziale e da una tecnologia frenetica. In
realtà la transduzione genica ha incontrato notevoli difficoltà. Giustamente
G. Bertoni, insieme ai suoi collaboratori, dopo aver esaminato i problemi, le
difficoltà e i pericoli inerenti alle tecnologie della transduzione genica,
osserva: «I reali vantaggi derivanti dall'applicazione della tecnica
transgenica al settore zootecnico possono essere - allo stato attuale
delle cose e con poche eccezioni - di là da venire”38.
Anche se si stanno superando, almeno in parte, i problemi legati alla
semplice inserzione casuale di geni nei cromosomi, mediante le nuove tecniche
di targeting, che permettono di inserire il gene al posto giusto, rimangono
ancora da individuare le vie per regolare l'espressione dei geni inseriti, di
modo che le cellule e l'organismo intero possano continuare a mantenere intatta
la loro funzione. In realtà, il modo per avere un miglioramento produttivo e
per di più senza rischi, per il benessere dell' animale, rimane ancora da
trovare. Lo dimostra il fatto che, ancora all'inizio del 1999, le procedure di
inserimento del o dei geni per gli animali di grande taglia avevano una scarsa
efficienza39: soltanto dall'l % al 10% degli animali, che si
sviluppavano da uova fecondate e transdotte con il gene desiderato, lo
portavano; anzi pochi di questi lo trasmettevano ai discendenti, essendo per lo
più mosaici, cioè costituiti da due linee cellulari, una contenente il o i
geni transdotti e l'altra - tra cui le cellule germinali - senza. Situazione
che continua a persistere, nonostante notevoli miglioramenti tecnici del
processo di transduzione genica40, e che conduce a elevati costi - intorno a
500.000 dollari USA ancora nel 1998 - la produzione di un animale transgenico.
Le serie difficoltà ancora da superare, che sono parte di ogni sviluppo
tecnologico di prospettive offerte dai progressi della scienza, secondo H.
Nieman41, richiederanno ancora i prossimi dieci anni impegnati ad
aumentare le conoscenze di base. Tuttavia i risultati già raggiunti appaiono
promettenti. Numerose e notevoli realizzazioni stanno già aumentando nell'area
della ricerca nutriceutica, farmacologica e medica. Non è qui possibile che
qualche accenno.
Nell'area
nutriceutica42 - nuovo campo di ricerca che si interessa a sostanze che
svolgono contemporaneamente funzioni di cibo e di farmaco - si sta lavorando
per modificare alcuni costituenti del latte, quali ad esempio: aumento di α- e
β-caseina; riduzione del lattosio per diminuire o eliminare
l'intolleranza al latte; addizione di lattoferrina umana per incremento dell'assorbimento
del ferro e la protezione contro le infezioni intestinali; sostituzione di geni
di proteine del latte bovino con gli equivalenti umani per imitazione del latte
materno.
Nell'area
farmacologica43,
in diverse classi di
animali geneticamente modificati, si è già pervenuti alla produzione di
malattie-modello44 atte a delucidare processi biologici di
rilievo per la ricerca farmacologica, e di farmaci per uso umano quali: fattori
di coagulazione, proteina C, antitrombina, fibrinogeno, albumina umana,
insulina45.
Nell'area
medica, studi su
animali geneticamente modificati46, con ben definiti difetti
cardiaci atrio-ventricolari, stanno già dando luce sulle vie di transduzione
dei segnali di elementi strutturali responsabili dello sviluppo normale del
cuore; e si stanno già preparando animali geneticamente modificati per la
comprensione definitiva della patogenesi dell' ateroslerosi47 e
dell'ipertensione48.
La clonazione
sembra avere migliori prospettive. A. Luria scrive: «La crescente
attenzione rivolta da molti laboratori alla clonazione animale, testimoniata
dalla recente vastissima letteratura e dal moltiplicarsi di clamorosi
esperimenti, fa ritenere che molte barriere biologiche, fino a poco tempo fa
ritenute invalicabili, potranno essere presto abbattute». Ma non sottace una
preoccupazione: <<La consapevolezza della straordinaria totipotenza,
rivelata dall'impiego a volte anche spregiudicato e discutibilmente motivato,
delle tecnologie della riproduzione, rende impossibile ogni previsione»49.
In realtà, non possono essere sottaciuti le gravi difficoltà e i seri problemi
che ancora accompagnano questa tecnologia. E. Pennisi e G. Vogel, in un'ampia
retrospettiva fino al 9 giugno 2000, riassumono così la situazione riportando
il pensiero di I. Wilmut, il padre tecnico della pecora Dolly: «Numerosi
ostacoli devono ancora essere superati prima che la clonazione passi nella
pratica e, tantomeno, sia profittevole. Primo, e soprattutto, c'è il problema
della efficienza, che rimane al meno che impressionante 2%; su 100
tentativi di clonare un animale, si ottengono soltanto 2 o 3 nati vivi. Anche
quando un embrione si impianta in utero con successo, le gravidanze spesso
terminano in aborto; una parte rilevante degli animali che nascono muoiono poco
dopo il parto; e alcuni di quelli che sopravvivono presentano serie anomalie
di sviluppo. Tutto ciò suggerisce che qualche cosa nella formula sia
fondamentalmente sbagliata”50. Una delle anomalie più frequentemente
osservate, negli animali che sopravvivono, è un esagerato aumento di dimensione
e peso (the large calf syndrome), che non può che provocare nell'animale
malessere e sofferenza. Un esempio delle enormi difficoltà che si incontrano
può essere rappresentato dall'impressionante cumulo di lavoro occorso per
riuscire, dopo tre frustranti anni, a clonare i maiali, che rappresentano la
chiave per gli xenotrapianti51.
Le perplessità. I frutti dell' applicazione dell'ingegneria genetica
appaiono promettenti, belli e buoni anche nel campo animale. Qui pure non
mancano, tuttavia, perplessità relative ad alcune conseguenze inerenti alle
diverse tecnologie; perplessità le quali impongono una riflessione etica52. La prima
perplessità53 è relativa ai rischi degli alimenti
derivanti da organismi geneticamente modificati, come si è già rilevato per i
vegetali. Sotto l'aspetto etico perciò valgono le considerazioni già esposte
per il campo vegetale. È soprattutto indispensabile che, prima di introdurre e
moltiplicare gli animali transgenici nelle popolazioni riproduttrici, siano
accuratamente esaminati, per qualsiasi area di applicazione, non solo gli effetti
favorevoli attesi, ma anche, e soprattutto, quelli eventualmente sfavorevoli.
La seconda perplessità, assai più grave, è l'evidenza di un abuso –
almeno apparente - di un imprecisabile, ma certamente molto grande numero di
animali. In realtà le ricerche implicano anni di tentativi con un numero notevole di animali:
sono milioni gli animali transgenici, chimerici e clonati - dai suini ai
primati - oggetto di sperimentazione e, ormai, anche di utilizzazione per gli
sviluppi commerciali. Si sottolinea soltanto un dato; da una recente stima54,
il numero degli animali transgenici necessari per soddisfare la richiesta
annuale di soli cinque prodotti farmaceutici tipicamente umani (fattori della
coagulazione, proteina C, antitrombina, fibrinogeno, albumina umana) negli
Stati Uniti risulta di circa: 35.000 capi di specie bovina; 525.000 capi di
specie caprina; 800.000 capi di specie suina; 1.050.000 capi di specie ovina; e
56 milioni di capi di specie cunicola (conigli).
La
riflessione etica, anche su questo aspetto caratteristico dell’applicazione
dell'ingegneria genetica in campo animale – oltre agli aspetti già considerati
per i vegetali, soprattutto quelli relativi agli aspetti economici e sociali
-, ha ragion d'essere e non lascia indifferenti. In base a quanto sarà
brevemente ricordato sul significato corretto della «seconda creazione»
affidata da Dio all’uomo, è vero che si tratta di ricerche indirizzate a
beneficio dell’uomo, al quale è stato affidato anche il mondo animale da «soggiogare»
in vista proprio di quel bene. Non può essere tuttavia trascurato il dovere di
evitare anche agli animali, per quanto è possibile, la sofferenza55.
Conclusione
«Seconda creazione»:
nell'ottica degli artefici della pecora Dolly l'espressione intende certo
sottolineare il senso di onnipotenza di cui Dolly è la metafora prometeica;
ma, in un' ottica veramente umana, che è la nostra ottica, essa è il compito
che l'Autore della prima creazione ha dato all'uomo quando gliela ha affidata.
Sono evidenti le parole ispirate della Bibbia che lo affermano: «Dio creò
l'uomo a sua immagine; maschio e femmina li creò [.. .], li benedisse e disse
loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra;
soggiogatela"» (Gn 1,27-28). Ma è la stessa mente umana che, pur
nel mistero in cui si perde, vede - se ben riflette -l'esigenza di un' origine
di tutto il creato da un Esistente, la cui infinita sapienza è incisa in ogni
atomo dell'universo e il cui volere scopre nel profondo della coscienza.
Colpisce e fa riflettere l'espressione biblica, riferita al Creatore, ripetuta
ad ogni grande passo della prima creazione: «E vide che era cosa buona». E
contenuta in questa espressione un'indicazione e un messaggio all'uomo, al quale
è stata affidata la seconda creazione: ogni nuovo passo di questa seconda
creazione dovrebbe lasciare allo scienziato, al tecnologo e alla società la
certezza che ciò che è fatto è cosa buona. Questo messaggio è, in
realtà, il principio fondamentale del nostro operare, che ogni persona porta
dentro di sé nella profondità del proprio essere, forse talvolta represso o
mascherato, e dovrebbe essere guida per ogni azione umana.
BIBLIOGRAFIA
l Cfr A. SERRA, <<La rivoluzione genomica. Conquiste,
attese, rischi», in Civ. Catt. 2001
II 439-453.
2 R. D.
HOTCHKISS, <<Portents for a generic engineering», in Journal of
Heredity, 1965, 196.
3 W. S. REZNIKOFF,
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New York Academy o/ Sciences 646 (1991) 1.
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London, Headline, 2000.
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revolution»,in Science 279 (1998) 2.019.
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tecniche, rischi, benefici», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA (ed.), Biotecnologie
animali e vegetali, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 1999,7- 24.
7
L'ibridazione somatica avviene per due vie: 1) la fusione di due cellule
private della loro parete cellulare - dette protoplasti - appartenenti
per lo più a specie non molto distanti: con questa tecnica viene trasferita in
una specie una parte (in genere limitata) del genoma di un' altra specie,
comprensiva di pochi geni di interesse, ottenendo così “Ibridi somatici”; 2)
la fusione di citoplasmi, cioè di una cellula nucleata con il citoplasma -
escluso perciò il nucleo - di un'altra cellula: con questa tecnica si trasferiscono
i geni contenuti in altri corpiccioli cellulari, cloroplasti e mitocondri,
escludendo cioè i geni nucleari. L'ingegneria genetica comporta essenzialmente
l'introduzione di geni desiderati in una cellula, dalla quale sarà generata una
nuova pianta, mediante vettori opportunamente preparati - quale, tra i più
usati, il vettore plasmidico tumore-inducente (Ti) presente nell'Agrobacterium
tumefaciens - che trasportano il gene o i geni desiderati, o mediante
bombardamento con microproiettili di oro o tungsteno, veicolanti il DNA che si
integrerà nel DNA delle cellule.
8 Cfr V. B. MAzuR - E. KREBBERS - T. SCOTT, «Gene
discovery and product development for grain quality traits», in Science 285
(1999) 372-375; D. DELLA PENNA, «Nutritional genomics: Manipulating plant
micronutrients to improve human healtll», ivi, 375-379; T. ARAKAVA - W. H. R
LANGRIDGE, <<PIants are not just passive creatures: transgenic plants
producing foreign proteins can e1icit bom active and passive inlmunity in
humans», in Nature Medicine 4 (1998) 550 s.
9 Cfr C. C. MANN, «Crop scientist seek a new
revolutioD», in Science 283 (1999) 310-316; C. SOMERVll.LE - S.
SOMERVILLE, <<PIanct functional genomics», ivi, 285 (1999) 380-383;"
A. S. MOFFAT, «Can genetically modified crops go "greener"?», ivi,
290 (2000) 253-254;J. HODGSON, «Crystal gazing the new biotecluiologies», in Nature
Biotechnology 18 (2000) 29-31.
lO Cfr A. S. MOFFAT, «Crop engineering goes
South», in Science 285 (1999) 370 s; D. NORMILE, «Monsanto donates its
share of golden rice», ivi, 289 (2000) 843 s.
11 Cfr D. SHINTANI - D. DELLA PENNA, «Elevating
the Vitamin E content of pIants through metabolic engineering», ivi, 282 (1998)
2.098-2.100; C. C. MANN, «Genetic engineers aim to soup up crop
photosynthesis», ivi, 283 (1999) 314-316; T. GURA, «New genes boost rice
nutrients», ivi, 285 (1999) 994 s; X. YE - S. AL BABILI - A. KL6TI ET AL.,
«Engineering the provitamin A (~-carotene) bios}'Ilthetic pathway into
carotenoidfree rice endosperm», ivi, 287 (2000) 303-305; M. L. GUERINOT, «Tbe
green revolution strikes goId», ivi, 287 (2000) 241-243.
12 CfrT. GURA, <<Newways to cleanmedicines
from plants», ivi,285 (1999) 1.347-1.349.
13 Cfr R N. BEACHY, «Facing fear of
biotechnoIogy», ivi, 285 (1999) 335.
14 Cfr N. WILLIAMS, <<Agricultural biotech
faces back1ash in Europe», ivi, 281 (1998) 768-771; K. DEVIN, «GM food debate
gets spicy», in The Scientist 14 (2000) 1014; S. HORNIG PRlEsT, «D. S.
public oFinion divided over biotechnology?», in Nature Biotechnology 18
(2000) 939-942; D. FERBER, «New com plant drows £ire from GM food opponents».
in Science 287 (2000) 1.390. '
15 Cfr G.
GASKELL - M. W. BAUER - J. DURANT ET AL., «Worlds apart? The reception of
genetically modified foods in Europe and the V.S.», ivi, 285 (1999)
384-389.
16 lvi, 386
s.
17 Cfr N.
WILLIAMS, <<Agricultural biotech faces backlash in Europe», cit.; D.
PERBER, «GM crops in the cross hairs», in Science 286 (1999)
1.662-1.666; M. ENSERINK, «Ag biotech moves to molIify its critics», ivi,
1.666-1.668; D. E. EVANS - C. R HAWES, «Where next, GMOs? Plant Science
research and public hostiIity», in BSCB News Leter, Wmter 2000, 7 s.
18 Cfr M. NESTLE, <<Allergies to transgenie
food: question of policy», in New Engl. J. Med., 1996, 726; B.
WOTHIuCH, <<Food additives and genetieally modifìed food - a risk for
allergie patients?», in Schweitz. Rundsch. Med. Prax, 1999,609-614.
616-618; M. DROGE - A. POHLER - W. SELBITSCHKA, «Horizontal gene transfer as a
biosafety issue: a natural phenomenon of publie eoneem», in]. Biotechnol.
64 (1998) 75-90.
19 Cfr P. COURVALIN,
<<Plantes transgéniques et antibiotiques», in La Recherche,1998,309-315.
20 Cfr W. K. NOVAK - A. G. HALsBERGER,
«Substantial equivalenee of antinutrients and inherent plant toxins in
genetieally modifìed novel foods», in Food Chem. Toxicol. 38 (2000)
473-483.
21 Cfr N.
WILLIAMS, <<Agricultural biotech..,», eit., 771.
22 L. L.
WOLFENBARGER - P. R PHIFER, «The ecological risks and benefits of genetically
engineered plants», in Science 290 (2000) 2.088.
23 Cfr L.
F'RANK, «Italian scientists blast GMO restrictions», ivi, 290 (2.000) 2046; J.
KAISER, «Words (and axes) fly over transgenic trees», ivi, 292 (2001) 34-36.
24
Cfr E. SGRECCLA - V. MELE, «Bioetica e biotecnologie animali e vegetali», in
PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie..., cit., 83-100; A.
BOMPlANI, «Riflessioni etiche sulla produzione e commercializzazione di organismi
vegetali e animali geneticamente modfficatÌ>" in Medicina e Morale,
2000, n. 3, 449-503.
25
Cfr A. G. HALSBERGER, «Monitoring and labeling for genetically modi.6ed products»,
in Science 287 (2000) 431-432; V. LUNGAGNANI, «Valutazione e gestione dei
rischi biologici collegabili alle produzioni ed ai prodotti agricoli e
industriSli a scopo alimentare», in BioTec 5 (2000) n. 4, 38-49.
26 Cfr S. VOLLENHOFER - K. BURG - J, SCHMIDT ET
AL., «Genetically modified organisrns in food-screening and specific detection
by polymerase chain reacriom" in J. Agric. Food Chem. 12 (1999)
5.038-5.043; M. P. LIPP - K. PIETSCHK ET AL., <<lUPAC collaborative
trial study of a method to detect genetically modified soy beans and maize in
dried powder>" in I. AOAC Int. 82 (1999) 923-928; R N. GENT,
«Genetically modi.6ed organisrns: an anafysis of the regtÙatory frarnework
currendy employed within the European Union», in]. Public Health Med. 3
(1999) 278-282.
27 Cfr R J. MAHONEY, «Opportunity for Agricultural
Biotechnology>', in Science 288 (2000) 615.
28 E.
SGRECCIA - V. MELE, «Bioetica e Biotecnologie...», cit, 94.
29 ar D. N. DUVlCK, «How much caution in the fidds?»,
in Science 286 (1999) 418
s.
L'Autore - commentando il volume di A VAN DOMMELEN, Hazard ldentification of
Agricultural Biotechnology: Finding relevant questions, Utrecht,
International Books, 1999 - dopo aver tradotto, per il caso dei prodotti o cibi
transgenici, l'«imperativo morale» nel seguente principio: «L'incertezza
scientifica circa la sicurezza di un organismo geneticamente modificato
imporrebbe che non fo~se commercializzato», commenta: «La decisione finale
sarà sempre politica ed etica. E da sperare che gli attesi costi e benefici
siano definiti razionalmente con l'aiuto dell'analisi dei rischi e che sia
tenuto conto delle opinioni del pubblico». Ma, sottolineando gli alti interessi
politici e industriali, avverte che gli studi necessari alla determinazione
dei rischi non dovrebbero essere fatti dai produttori, i quali invece
dovrebbero finanziarle a gruppi indipendenti.
30 Cfr M. HAGMAN, <<EPA, critics soften stance
on pesticidal plants», in Science 284 (1999) 249; H.!. Mn.l.ER, «A
rational approach to labeIing bioteCh-derived foods», ivi, 284 (1999) 1.471 Sj
ID., <<NAS report under scrutiny», ivi, 288 (2000) 1.343j K. A. GoLDMAN,
«Bioengineered food - safety and labding», ivi, 290 (2000) 457459.
31 A. G. HALsBERGER, «Monitoring and Labding...»,
cit., 432. Cfr anche R
J. MA. HONEY, «Opportunity for agricultural biotechnology»,
in Science 288 (2000) 615.
32 J. RIFKIN, The Biotech Century, New York,
Penguin Putnam, 1998, tr. it.: Il secolo Biotecb, Milano, Baldini e
Castoldi, 1998, 181.
33 L. G. FIRBANK - F. FORCELLA, «Genetically modified
crops and farmland biodiversity», in Science 289 (2000) 1.481 s.
34 J. RIFKIN, The Biotech Century, cit., 122 s.
35 Cfr Y. HE1MAN -]. P. RENARD, «Cloning domestic
species», in G. M. STONE - G. EVANS (eds), Animai Reproduction: Research and
Practice, Amsterdam, Elsevier, 1996, 427 -436; E. R CAMERON, <<Recent
advances in transgenic technology», in Mol. Biotechnol.3 (1997)
253-265; N. Wm, «Transgenic animals as new approaches in pharmacological
studies», in Annu. Rev. Pharmacol. Toxicol. 37 (1997) 119-141; D. COOPER - K. C. KEMP - E. PLAn ET
AL., Xenotransplantation, Berlin, Springer-Verlag, 1997. .
36 J. W. GORDON
- F. H. RUDDLE, «DNA-mediated genetic transformation of mouse embryos and bone
marrow - a review», in Gene 33 (1985) 121-136; G. BERI'ONI - P. A.
MARsANI - F. LUCCHINI, <<la ingegnerizzazione degli animali: finalità,
tecniche possibili, rischi e benefici», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie...,
cit., 25-44.
37 Cfr A.
SERRA, «Verso la clonazione dell'uomo? Una nuova frontiera della scienza», in Civ.
Catt. 1998 I 224-234; A. McLAREN, «Cloning:
Pathways to a pluripotent future», in Science 288 (2000) 1.775-1.780.
38 G.
BERTONI - P. A. MARSANI - F. LUCCHINI, «La ingegnerizzazione degli animali...»,
cit., 40.
39 Cfr A. S. MOFFAT, «Improving gene transfer into
livestock», in Science 282(1998) 1.619 s.
40 Cfr A. W. S. CHAN - E. J. HOMAN - R D. BREMEL ET
AL., «Transgenic cattle by reverse-transcribed gene transfer in oocytes», in Proc.
Nati. Acad. Sci. USA 95 (1998) 14.028-14.033.
41 Cfr H. NIEMAN, «Transgenic farm animals get off the
ground», in Transgenic Research 7 (1998) 73-75.
42 Cfr D.
MATASSINO, «Biotecnologie: timori alimentari e speranze per farmaci e salute»,
in L’Informatore Agrario, novembre 2000, http://informatoreagrario.itlInfoagriILia2200/biotec.asp
43 Cfr P. W. KLEYN - E. S. VESELL, «Genetic variation
as a guide to drug devdopment», in Science 281 (1998) 1.820 s; L
WICKELGREN, «Mining tbe genome for drugs», ivi,285 (1999) 998-1.001.
44 Cfr S. ROBINE - F. JAlSSER - D. LOUVARD,
«Epithelial cell growth and differentiation. IV. Controlled spatiotemporal
expression of transgenes: new tools to study normal and pathological states»,
in Am. J. Physiol. 273 (1997) 759-762; U. RUDOLPH - H. MCHLER,
«Genetically modified animals in pharmacological research: future trends», in Eur.
J. Pharmacol. 375
(1999) 327-337.
45 Cfr D.
MATASSINO, «Biotecnologie: timori...», cito
46 Cfr J. Y A-M. W. SCHILHAM ET AL., «Animal modds of
congenital defects in the ventriculoarterial connectioD», in]. Mol. Med. 75
(1997) 551-566.
47 Cfr P. PA]UKANTA - L. PELTONEN, «How to
tackle genetic Loci predisposing to atherosclerosis?», in CUN'. Opin.
Lipidol. 8 (1997) 95-100.
48 Cfr G. L. BARRETT - J. J. MULLINS, «Strategies
toward a transgenic modd of essential hypertensiot1», in Biocbem.
Pharmacol. 43 (1992)
925-930.
49 A.
LURIA, «Note sulla clonazione animale», in PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA, Biotecnologie...,
cit., 58.
50 Cfr E. PENNISI - G. VOGEL, «Clones: A hard act to
follow», in Science 288 (2000). 1.722-1.727.
51 Cfr E. PENNISI - D. NORMILE, «Perseverance leads to
cloned pig in Japan», ivi, 289 (2000) 1.118 s; A. ONISm - M. IWAMOTO ET AL.,
«Pig cloning by microinjection of fetal fibroblast nuclei», ivi, 1188-1190.
52 Cfr P.
B. THOMPSON, «Genetically modified animals: ethical issues», in J. Anim.
Sci. 71 (1993) Supp1.3,51-56; E. SGRECCIA - M. B. FIsso, «Etica
dell'ambiente», in MediCIna e Morale, 1997 SuppI.; E. SGRECCIA,
«Liceità dell'intervento sull'animale nell'ambito delle biotecnologie», in Problemi
di Bioetica nell'Allevamento Animale. Simposio
XIII Congresso Nazionale ASPA, Piacenza, 21-24 giugno
1999,5-21. . .
53 Cfr M. J. BOLAND - J. P. Hn.L - L. K. CREAMER,
«Genetic manipulation of milk protein and its consequences for the dairy
industry», in Australas. Biotechnol. 2 (1992) 355-360; E. P. BRUGGEMANN,
«Environmental safety issues for genetically modified animals», in J. Anim.
Sci. 71 (1993) Supp. 3, 47-50; L. V. CUNDIFF - D. P. BISHOM - R K. TOHNSON,
«Challenges and opportunities for integrating genetically modified animaIs
into traditional animal breeding», ivi, 20-25.
54 Cfr D.
MATASSINO, «Biotecnologie:...», cit., 6, che riporta l'elaborazione dei dati
riferiti da R J. W ALL alla 8th World Con/erence on AnimaI Production, Seoul
28 June-4 July 1998.
55 Cfr «Gli animali hanno "diritti"?», in Civ. CalI. 1999
1319-331; «Il rapporto uomo-natura nella visione cristiana», ivi, 531-543.'